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di Gianluca Ceccarini
L’origine dell’Antropologia come Scienza delle società primitive è da ricercare all‘interno del clima intellettuale dell’Evoluzionismo positivista dove la storia della società umana appariva come il risultato di leggi cumulative sempre identiche: i primitivi contemporanei rappresentavano quindi lo stadio più remoto dello sviluppo culturale.
Una visione etnocentrica che presupponeva una suddivisione delle società in inferiori e superiori. Le etnie extraeuropee venivano osservate ed analizzate in quanto fossili viventi di stadi evolutivi sorpassati dalla civiltà occidentale, utili da studiare come cavie per gettare luce sul nostro passato.
Lo schema dello sviluppo storico e culturale adottato dagli antropologi evoluzionisti vittoriani era quello dei tre stadi evolutivi di derivazione settecentesca. I popoli venivano classificati e posti su tre scalini evolutivi: selvaggio-barbaro-civilizzato.
Un’Antropologia fondata su questi concetti fortemente etnocentrici era funzionale agli Stati colonialisti che vedevano nella scienza dei popoli primitivi uno strumento efficace per governare su etnie considerate inferiori: conoscere per meglio governare si diceva.
Parallelamente alla visione del selvaggio come rappresentante di un’umanità ferma nel cammino evolutivo, maturava il falso mito idealista e carico di stereotipi del buon selvaggio, frutto di una visione romantica e non indenne da derive etnocentriche.
L’Antropologia moderna fortunatamente si svincolerà dalle maglie del potere fino ad arrivare ad essere una scienza autoriflessiva spesso attiva nella difesa dei diritti delle minoranze etniche, facendo dell’osservazione partecipante un metodo centrale: l’antropologo per comprendere deve piantare la propria tenda nel centro del villaggio.
Il progetto The Golden Bough, titolo mutuato dal famoso saggio dell’antropologo evoluzionista James Frazer, vuole indagare l’immaginario di questo periodo così controverso che ha visto scomparire intere etnie e soggiogare milioni di esseri umani per mano dei colonialisti europei in nome del progresso e di una presunta superiorità.
Ma quanto dell’etnocentrismo vittoriano sopravvive ancora nel nostro immaginario, nel pensiero politico e nelle scienze, quanto ci pensiamo ancora in piedi su quel gradino più alto?
Il progetto The Golden Bough é stato pubblicato sul magazine on line Yogurt Magazine ed é tra i selezionati della Open Call for abstract and Photo Essay Visual Ethnography and Photography today. New perspectives, technologies and narratives e verrá pubblicato nel numero speciale di Visual Ethnography Journal 2021,
La versione dummy é tra i selezionati del Charta Dummy Award 2021, esposto presso la Paper Room di Yogurt Magazine durante il Charta Festival 2021 a Roma.
Il progetto The Golden Bough ha avuto una lunga gestazione, dall’idea iniziale alla versione finale (anche se voglio pensarlo ancora aperto) è passato più di un anno. Si tratta di un tipo di fotografia forse difficile da categorizzare, costituita da immagini provenienti da diverse fonti, con diversi stili e talvolta modificate con interventi digitali e/o analogici.
Fotografia di ricerca che guarda ai linguaggi contemporanei dove la fotografia diviene solo un mezzo, uno dei tanti, per declinare un tema, qualcosa quindi che tende a trascendere la fotografia classica e guarda più ai linguaggi e alle tecniche dell’arte contemporanea dove siamo più abituati a progetti di Mixed media e Collage.
Segnatamente in The Golden Bough ho usato miei scatti originali digitali, elaborati in post produzione, selezionati per un loro particolare potenziale metaforico collegato al tema del progetto. Molte immagini inoltre provengono dal meraviglioso archivio open source Smithsonian Open Access da dove è possibile scaricare, condividere e riutilizzare milioni di immagini e dati provenienti dai 19 musei dello Smithsonian, centri di ricerca, biblioteche e archivi.
Altre sono foto note di antropologi, come Claude Lévi-Strauss ad esempio, da me semplicemente riprodotte dalla pagina di un libro e poi rielaborate, modificate in post produzione.
Inoltre nella versione dummy del progetto, oltre al media fotografico, ho utilizzato anche alcuni interventi di grafica curati da Nahid Rezashateri.
La fotografia di ricerca, con i suoi linguaggi sperimentali e l’apertura all’interazione con altri media, è un potente mezzo di indagine del contemporaneo. Con The Golden Bough ho tentato di indagare un immaginario, quello colonialista, che dovrebbe appartenere al nostro passato ma che forse ancora ci riguarda più di quanto immaginiamo.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
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Gianluca Ceccarini, laureato in Antropologia presso l’Università la Sapienza di Roma con una tesi sulle dinamiche di identità territoriale dei culti micaelici nei santuari ipogei, nel 2001 è stato socio fondatore dell’ARSDEA Associazione Ricerche e Studi Demo-Etno-Antropologici, tramite la quale svolge diverse attività: ricerche sul territorio, allestimenti museografici, partecipazione e organizzazione di convegni, pubblicazione di articoli. Si occupa di ricerca demo-etno-antropologica, con un particolare interesse rispetto alle tematiche dell’Antropologia del Paesaggio, del Corpo e dell’Etnomusicologia, privilegiando l’uso della fotografia. Con Nahid Rezashateri, fotografa-moviemaker iraniana, nel 2018 ha fondato il collettivo SARAB che si occupa di progetti fotografici, antropologia visuale, cortometraggi e Media Art, con particolare attenzione ai temi dell’identità, della memoria e del paesaggio come processo culturale.
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