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Trattori, aree interne, biodiversità

migrante-suicida-dueCIP

di Pietro Clemente 

Tornare in Africa 

Se dovessi morire riportate il mio corpo in Africa, mia madre ne sarà lieta. I militari italiani non capiscono niente solo i soldi. L’Africa mi manca molto e anche mia madre che soffre molto a causa mia. Possa la mia anima riposare in pace. 

Questa è ciò che Gusmene Sylla, 22 anni, proveniente dalla Guinea ha lasciato scritto su un muro di un CPR (Centro di Permanenza e Rimpatrio) domenica 4 febbraio prima di togliersi la vita. (La Stampa 5 febbraio 2024). È una cosa questa che fa male al cuore perché vengono in evidenza tutti gli orrori nascosti del liberalismo e dell’universalismo dell’Occidente, che di fatto prevedono diritti solo per i bianchi benestanti che godono così del privilegio di esserlo. Tutto questo fa star male anche perché non si ha la forza per impedirlo o per riuscire a che qualcosa possa cambiare. E così questo ragazzo ha provveduto da sé al respingimento del proprio corpo senza vita verso il Paese d’origine. Mi auguro che almeno questo suo desiderio di essere sepolto in patria venga accontentato. Lui l’ha chiesto scrivendolo sul muro di un campo di concentramento mascherato da centro di permanenza. E chissà quanti altri ne moriranno, resteranno provati nel corpo e nello spirito. Il fenomeno dell’emigrazione è un tema epocale che tende a cambiare le nostre vite. Nessuno però vuole affrontarlo seriamente, nemmeno la sinistra, paralizzata dalla paura di perdere voti. Ma una minoranza, come furono i radicali negli anni Settanta, seppe lanciare i grandi referendum sui diritti civili conquistando il consenso popolare.     

 Partorire in autostrada     

Due coniugi, residenti a Maissana, un paesino di 590 abitanti sulle colline della alta val Petronio (La Spezia), alle prime avvisaglie delle doglie sono partiti in auto per raggiungere l’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, distante diverse decine di chilometri. Durante il viaggio si sono resi conto che non avrebbero fatto in tempo ad arrivare all’ospedale e hanno chiesto l’intervento del 118. Si sono quindi fermati al casello e nel parcheggio della adiacente stazione di servizio è nato il bimbo con l’assistenza dei militi e del medico della Croce Verde sestrese. Fortunatamente tutto è andato bene e mamma e neonato sono ora nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Lavagna e godono ottima salute.

 A questo proposito, cito l’articolo 3 della Costituzione che recita

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

A quanto pare a Maissana non è proprio così. E così non è per quasi tutti i paesi delle aree interne e al di sotto di 5000 abitanti. Il sistema sanitario deve trovare il modo di garantire i servizi necessari ai cittadini. 

cognetti-libroLe valli sono belle e buone perché lo dicono i sindaci 

Sono davvero perplesso nel vedere il dibattito che ha suscitato il libro di Cognetti Giù nella valle (2023). Infatti alcuni sindaci della Val di Sesia, valle in cui è ambientato il libro, hanno protestato perché, secondo loro, la valle non era adeguatamente rappresentata ed era descritta negativamente. Hanno perfino chiesto a Cognetti di chiedere scusa alla valle e ai suoi abitanti. L’UNCEM dei Comuni montani, in genere dinamica e benemerita, si è accodata alle proteste e ha tenuto bordone ai sindaci. Sono rimasto turbato perché è come riattivare la censura, di memoria andreottiana, addirittura su un’opera letteraria. Il voler costruire l’immagine di un territorio, che deve essere bello, buono, migliore di quelli vicini, è una pratica di falsificazione immorale. Fa pensare ad una sorta di concorrenza per accaparrarsi i turisti. Ma anche così non tiene, perché il turista può essere curioso di conoscere un territorio anche nella sua complessità bella o brutta che sia.

Ho letto il libro di Cognetti. Mi è sembrato un bel romanzo. L’ambientazione è davvero interessante e ricca di spunti conoscitivi e di complesse metafore sul nostro mondo. Il fastidio, percepito dai sindaci della valle, dipende dalla non consuetudine a vedersi rappresentati, Questa è l’opinione di un amico regista sardo che ricordava le proteste che si levarono in Sardegna all’uscita del film Padre padrone dei fratelli Taviani, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Gavino Ledda. Secondo lui i siciliani, abituati ad anni alle più disparate rappresentazioni sulla loro isola, digeriscono tutto, mentre al contrario i sardi, che hanno avuto una cinematografia più limitata, non riescono ad accettare le rappresentazioni che sentono difformi dalle loro. Potrebbe essere questa una attenuante per il desiderio di censura dei sindaci della Val di Sesia e dell’UNCEM, Ma con uno scarso senso del ridicolo hanno scritto su La Stampa del 22/11/23:

«Chi ama la montagna, i territori, le comunità, chi vuole vivere e abitare la montagna prima di tutto la rispetta, la apprezza, la ama per l’appunto. Tutta la montagna….Cognetti chieda scusa alla montagna». 

Voglio dire che tutto ciò che ho letto di Cognetti è un omaggio alla montagna, che per scelta e per vita hanno anche plasmato la sua scrittura. Di certo la montagna lo sa. 

trattori-gruppo-facebook-cra-agricoltori-traditiTrattori 

Ho cercato sui giornali approfondimenti sul significato delle manifestazioni dei contadini nelle grandi città europee. A Bruxelles i manifestanti coi loro trattori incutevano timore e hanno addirittura abbattuto una statua. In molti hanno notato che l’atteggiamento verso i giovani ecologisti che imbrattano con materiali lavabili un monumento è molto diverso rispetto a quello verso i contadini che, anche se abbattono una statua, non sono passibili di alcuna sanzione. Ma i contadini sono votanti e produttori che interessano tutte le parti politiche. Ritengo che quello che i trattoristi hanno fatto a Bruxelles è molto più eversivo di quanto hanno fatto in Italia gli studenti medi e universitari per rivendicare la pace e protestare contro le stragi dei palestinesi, posizioni del resto sostenute anche dall’ONU. Eppure la destra grida che gli studenti sono violenti, mentre per i trattoristi afferma che non fanno che rivendicare i loro diritti.

Insomma cercavo di capire. In qualche modo mi sembrava di assistere a una nuova fase dei forconi, dei gilet gialli, dei pastori sardi che buttavano il latte e bloccavano gli scali aeroportuali, movimenti che mi parevano eversivi e corporativi e di sicuro minacciosi e violenti. Movimenti per lo più causati da disagi reali, ma attraverso proteste gestite da leadership estreme e populiste. Ho l’impressione che questa volta si tratti di una fase nuova del movimento, anche se caratterizzato da tante diverse facce e sotto diverse organizzazioni.

Legambiente ricorda che

«Gli agricoltori possono essere aiutati in altro modo. A livello nazionale (…) servono interventi per supportare la transizione ecologica del settore ma al tempo stesso garantire il reddito: si snellisca la burocrazia, si garantisca assistenza tecnica e politiche che premino economicamente chi punta su agrogeologia e servizi ecosistemici, si incentivi lo sviluppo delle rinnovabili in ambito agricolo per ridurre i costi energetici e si approvi l’inserimento dei delitti delle agromafie nel codice penale per fermare l’illegalità e la concorrenza sleale del settore». 

UNCEM dichiara che

«non basta mettere soldi in più per l’agricoltura, tantomeno dire che è colpa dell’UE, di Bruxelles, delle politiche europee. Oppure, si può fare, ma poi occorre fare proposte operative per intervenire. Leggendo la Dichiarazione di Cork 2.0, del 2016, scopriamo tutti i punti chiave per trasformare il rurale in Europa. Poco si è fatto. E invece da lì si può ripartire. Il Green New Deal non può essere burocrazia e iniziative con cento indicatori che complicano la vita a grandi e piccole imprese. Il Green New Deal è prima di tutto Comunità vive. Persone e imprese che insieme vivono e tengono in vita un territorio riconoscendosi in una dinamica comune e nella reciprocità. Per questo Uncem ha sempre sostenuto che la via d’uscita per le crisi – in particolare ambientale, energetica, climatica, demografica, economiche, sociali – è nelle Green Communites. Che hanno anche nell’agricoltura e nelle aziende agricole un punto fermo per la trasformazione dei territori».

Occorre più attenzione e capacità di attesa, mediazioni e tempi lunghi, ma forse ci siano le condizioni di una svolta per il mondo agricolo. Questo mondo è vitale per Ri-abitare l’Italia, perché le comunità in crisi demografica non possono certo affrontare il futuro sulla base del turismo come unica risorsa. Una base di autosufficienza energetica e alimentare è indispensabile. I paesi devono puntare – e possono farlo senza grandi difficoltà – a agricolture di sussistenza, sulle quali poi operare con scelte adeguate verso il mercato.

Così, in queste pagine de Il centro in periferia, abbiamo chiesto di intervenire a Emanuele Bernardi, storico ed esperto della realtà agricola italiana. Il suo contributo Riflessioni, trattori e rappresentanza caratterizza questo numero di CIP 66 per riflettere sulle forti implicazioni teoriche e sulle tematiche di confine. 

trattori-da-facebookIl mondo è complicato e il futuro è difficile 

Sulla questione agricola Bernardi propone uno sguardo lungo che parte dal Novecento, dalla storia dell’agricoltura italiana, dal suo impatto con l’Europa, ma anche da alcune modalità passate di impostazione positiva dei problemi. Per il presente tiene conto di vari aspetti: per prima cosa si pone il problema della rappresentanza perché la rappresentanza storica della Coldiretti e della CIA è in crisi mentre la nascita di nuove associazioni è un aspetto ancora in sviluppo sia in Italia che in Europa. Bernardi nota che il movimento può essere l’occasione per ridare valore e potenziare le politiche europee per renderle più semplici ed efficaci, e per rendere possibile il nesso tra miglioramento ecologico e qualità agricola. E sarebbe possibile quindi mettere da parte il radicalismo populista basato sul corporativismo che oppone produttori e consumatori. Uno sguardo positivo e lungo (con riferimento anche alle dimenticate lotte contadine nel ’68), che non accetta facili schieramenti, ma mostra complessità e possibilità. è un aiuto a pensare e immaginare.

Anche i testi di Alliegro, Serra, Lupatelli, Bindi, Gugg propongono scenari complessi e problematiche teoriche spesso trascurate. Vengono messe in evidenza la critica della nozione di paese e il tentativo di definire i nuclei di un ‘appaesamento primario’, il rapporto tra l’ economia globale e le zone interne, il bisogno di storia per capire come affrontare il futuro, come superare il mondo del senso comune e costruire nuovi orizzonti ideali con mediazioni e intersecazioni inedite di vari fattori, come far incontrare e mediare ecologia, mondi animali e allevamento, zone protette e agricoltura, costruendo alleanze tra diversi per costruire interessi complessi ma comuni.

A mio avviso, la parola alleanze è una delle più significative perché Riabitare l’Italia ha delle implicazioni straordinariamente diverse, luogo per luogo, e sente sempre il bisogno di costruire nuovi approcci trasformando e potenziando vecchie conoscenze, saperi e pratiche. I conflitti e le resistenze, che non diventano possibili ipotesi di cambiamento, non aiutano questa prospettiva. 

Da "Il vento fa il suo giro"

Da “Il vento fa il suo giro”

Pensare e ripensare

Da quando ho cominciato a seguire con più attenzione i temi delle aree interne e del riabitare l’Italia i dubbi, le incertezze, i capovolgimenti di fronte nella comprensione e interpretazione dei fenomeni si sono moltiplicati. Cosa è un paese: me lo sono domandato più volte. Cosa è una comunità. È dalla prima convenzione europea sul paesaggio e dalle convenzioni Unesco sul Patrimonio immateriale che ci si interroga e si discute, in particolare sul rapporto con la tradizione. L’espressione UNESCO di ‘salvaguardia’ ci ha un po’ salvati dalla dicotomia: tradizione versus cambiamento. Salvaguardia è per lo più trasformazione di una tradizione da parte dei suoi portatori. Vorremmo che i nostri paesi d’attenzione e di affezione fossero capaci di atteggiamenti unitari in direzione di un cambiamento condiviso e progettato ma finora non mi è mai capitato di trovarmi in una simile situazione.

Dopo il film Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, è lecito pensare che gli innovatori sono sgraditi e che le comunità di paese invecchiate e litigiose siano ostili al cambiamento. Negli ultimi decenni sono nate molteplici associazioni, importanti eventi annuali, imprese agricole e cooperative che cercano di affrontare questi problemi. Ma in ogni circostanza si ripresentano complessi confini tra agricoltura e paesaggio, tra mondo degli animali liberi e mondo degli allevatori, tra biodiversità e normalizzazione di suoli, cibi, stili di allevamento e di vita quotidiana. Lo scenario che abbiamo davanti è composto da molti frammenti di mondi precedenti e di mondi nuovi: è difficile dominarli col pensiero, con la teoria, con il progetto. Forse la presenza stabile di mescolanze e ibridazioni, su confini diversi, può dare luogo ad alleanze e non solo a conflitti. Ma nelle condizioni date e con la complessità dei soggetti che operano in questi ambiti non è cosa facile.

Per questo motivo i testi di riflessione teorica qui presentati sono importanti. Enzo V. Alliegro (Spaesamenti e nuove identizzazioni. Note antropologiche su quel che resta del paese-campanile), propone un testo teorico ricco e stimolante con un significativo retroterra filosofico che basa la definizione dei luoghi vissuti sulle pratiche antropologiche di costruzione culturale dello spazio e sulla ‘identizzazione’ di esso da parte dei soggetti. Egli ridiscute radicalmente la nozione di paese e sembra indicarla come più coerente con nuove identità condivise che non con vecchie identità ereditate. Gianluca Serra (Per una resistenza dei luoghi alla globalizzazione) evidenzia la nozione di ‘luoghi’ per evitare la nozione di paesi come patrie d’elezione e non di nascita. E ricostruisce la nozione di identità locale a partire dallo scenario della globalizzazione, e dalla consapevolezza – condivisa con Alliegro – che la mentalità urbana sia fortemente vissuta anche nei paesi marginali che ne sono infine subalterni. Occorre affidare il progetto di rinascita a etiche e progettualità nuove. Al centro della riflessione di Giampiero Lupatelli c’è un patto o alleanza: tra Bonifica e territorio montano, tra “Longue durée e nuovi scenari”, tra storia del territorio e cambiamento possibile. Anche in altri testi (in particolare Gugg) il tema dello sguardo storico diventa centrale, perché è dalla dimensione del passato che si vengono configurando le risorse del futuro. Sia nel senso della proposta territorialista di Alberto Magnaghi e del suo dialogo con Giacomo Becattini ne La coscienza dei luoghi (Donzelli, 2015) viene identificata una ‘vocazione storico-economica coevolutiva’ nella relazione uomini-lavoro-ambiente, ma anche nel senso di un dialogo con le forme storiche della questione montana e paesistica. Cosa non sempre ovvia. Il contesto di queste sinergie è la Green Community che sempre più sta diventando il riferimento unitario di tanti problemi.

wilderness-it-news-parco-nazionale-abruzzo-ingresso-zona-aIl tema dei confini e degli incontri è al centro della riflessione di Letizia Bindi (Fragili interstizi. etnografie interspecie, pastorizia, agricoltura, aree protette) che connette la sua riflessione a esperienze recenti di scontro tra studio e progetto del territorio, tra punti di vista dei soggetti produttivi e delle associazioni ambientaliste e animaliste. Un nodo classico che si è subito manifestato alla nascita dei parchi nazionali e che dà luogo alla conflittualità tra gli stakeholders. In un convegno sul Parco Nazionale d’Abruzzo vi è stata una critica esplicita agli antropologi relatori. A partire da qui Bindi riflette sui compiti dell’antropologia e in particolare sulla prospettiva della mediazione tra le mille diversità (zone protette e biodiversità vegetale e animale, agricolture di varie dimensioni, allevamento stanziale e brado) come una vocazione di una nuova antropologia che non si limita a diagnosticare ma partecipa, condivide, crea accordi e alleanze.

Lo scritto, all’origine recensorio ma in verità ampio e esplorativo, di Giovanni Gugg (In alta quota per guardare più lontano. L’antropologia montana e dei cambiamenti climatici) riprende questi temi da una prospettiva alpina – quasi come se ci fosse una sorta di intesa tra testi del tutto autonomi e scritti da autori che non si conoscono. Le Alpi sono viste come sentinella dei processi del cambiamento climatico oltre che come laboratori sul cambiamento e la resistenza di tutta la ‘comunità dei viventi’ nel quadro di un mondo fatto anche di cielo e di terra, geologia, paesaggio, elementi che ormai possiamo considerare fratelli e intrecciati al modello coevolutivo. Si tratta di una nozione importante che conviene sempre tenere in conto. L’approccio di Gugg è fortemente finalizzato alla visione prospettica, alla configurazione di un futuro che sembra essersi arrestato davanti alla crisi ambientale e alla guerra. E ci rendiamo conto che solo nel ritrovare il futuro, non come evitazione del presente e sogno, possiamo contribuire a una nuova idea di possibile mondo degli uomini.

Sono testi ricchi di spunti e ben articolati che hanno il pregio di aiutarci a pensare la complessità.

11Recensioni

Le due recensioni di Rossano Pazzagli e di Michela Capra, nel loro essere assai diverse, aiutano a percorrere i tempi lunghi e i nodi tra passato e futuro. Il primo ci parla di una autobiografia che si dipana nell’ultimo ventennio dell’Ottocento e nel primo decennio del Novecento. Apre a sguardi quasi stupiti sulla storia di un bambino che vive in Maremma, che pesca, caccia col fucile, cammina a piedi per giorni. C’è un senso di forte alterità che fa da specchio allo sguardo del presente: che ci racconta come eravamo e come è possibile essere. Michela Capra racconta invece un film documentario dal titolo Prato Bello in cui si narra la comunità della frazione montana di Belprato, situata a circa 800 mt. di altitudine nel Comune sparso di Pertica Alta, in Valle Sabbia. Nel film vi è uno sguardo sincero e lucido sulla comunità, le cui problematiche si collegano con quanto descritto nei saggi di Alliegro e di Serra, ma più in generale con lo scenario delle nostre pagine de Il centro in periferia.

Scotellaro

Rocco Scotellaro

Tra Scotellaro e Guatelli

In fondo al Centro in periferia ho collocato due nuclei di testi a tema: uno su Scotellaro e l’altro sulle case museo (a partire dal museo Guatelli) testi che sono in continuazione dai numeri precedenti. Non avevo mai pensato a un nesso tra loro, Ho ora realizzato che entrambi sono stati considerati intellettuali contadini: Scotellaro poeta contadino, Guatelli museografo contadino. Anche Guatelli, come Scotellaro, è stato scrittore e più marginalmente poeta. Non c’era neanche una grande differenza di età: Ettore del 1921 e Rocco del 1923. Forse quando Rocco era in Trentino a studiare, ospite della sorella, avrebbe potuto incontrare Guatelli, ricoverato in sanatorio in Veneto. Ma poi Rocco è morto trentenne e l’eventualità di incontri impossibili si ferma qui. I testi su Rocco Scotellaro fanno seguito a un gruppo di scritti già pubblicati da Dialoghi Mediterranei nei numeri 62 (Pietro Clemente) e 63 (C. Biscaglia, A. Di Nuzzo, M. Gatto, E. Imbriani, F. Mirizzi). Mi è sembrato opportuno continuare il discorso su Rocco e ho chiesto a Carmela Biscaglia di fare il punto sulle iniziative dell’anno 2023, anno del centenario della nascita di Scotellaro. Biscaglia lo ha fatto in modo ampio e interessante. Le iniziative del centenario continueranno nel 2024. In questo passaggio mi ha fatto piacere coinvolgere Arnaldo Bruni, italianista dell’Università di Firenze, con il quale ho condiviso un incontro un po’ a sorpresa.

In effetti nell’anno scotellariano e all’avvio di quello successivo sono stato coinvolto in due incontri imprevisti. L’associazione dei lucani a Siena ha promosso e realizzato un incontro nell’aula magna dell’Università di Siena il 19 aprile, proprio nel giorno della nascita di Rocco, con la presenza del Rettore e con vari interventi di memoria tra i quali anche il mio. Mi è sembrato bello che i lucani che vivono a Siena abbiano posto al centro della città la loro presenza e la loro memoria, ed abbiano scelto di farlo attraverso la figura di Scotellaro. Il secondo incontro si è svolto il 26 gennaio a Volterra, su proposta di due associazioni locali: la Torre e Ultima frontiera (che promuove, tra l’altro, un festival di poesia) dal titolo “Io sono uno degli altri”. Scotellaro un poeta da riscoprire. Mi hanno invitato a parlarne come antropologo, mentre Arnaldo Bruni è intervenuto dal versante letterario. Il suo contributo ha attraversato tutto il dibattito degli anni ‘50 e oltre, delineando un bilancio della poesia scotellariana, che era tutt’altro che contadina. Mi è parso utile riproporlo qui e lo ringrazio di avere accettato la mia proposta, anche perché la prospettiva letteraria sembra essere stata meno presente in occasione dell’anniversario.

Ettore Guatelli

Ettore Guatelli

Per ciò che concerne il Museo Guatelli, abbiamo pensato di pubblicare qui gli atti dell’incontro su “Ci sono case che sono musei, ci sono musei che sono case” che si è svolto presso il Museo organizzato dalla Fondazione Museo Guatelli per iniziativa del Direttore Mario Turci. Un primo insieme di testi è stato pubblicato nel n.65, altri contributi usciranno nel n. 67. Qui troviamo tre testi che segnano la particolare riuscita e vivacità del tema scelto. L’intervento di Paola Varesi racconta la storia profonda e paradigmatica della Casa Cervi e del suo diventare Museo. Segnala la complessità e l’importanza che Casa Cervi mantenga la memoria della Resistenza italiana. L’intervento di Vincenzo Padiglione mette in discussione, riferendosi ad un caso londinese legato alla casa museo di Freud, la natura comunicativa delle case museo, e Daniele Parbuono presenta un caso brasiliano di case di famiglia di emigrati italiani che sono state da poco musealizzate e proposte come patrimonio della memoria migratoria.

A partire dal 2024 Mario Turci non è più direttore del Museo Guatelli. Lo è stato per venti anni e ha segnato profondamente il museo nel passaggio alla dimensione pubblica, organizzato per accogliere, pieno di iniziative tutte rispettose della collezione e dell’allestimento del maestro. Nell’esprimergli il mio ringraziamento lo invito anche a raccontare il suo lavoro ventennale nel Museo, raccontare una eredità di direzione e di cura che è un patrimonio della nostra museografia. Esprimo altresì la mia preoccupazione per il futuro di questo museo che è forse quello che più ho amato e contribuito a valorizzare nel lungo dialogo col suo fondatore. È stato reso pubblico il bando per la nuova direzione del museo, e sono in pensiero per il domani di questo pezzo straordinario della nostra museografia nazionale. 

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024

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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); I Musei della Dea, Patron edizioni Bologna 2023). Nel 2018 ha ricevuto il Premio Cocchiara e nel 2022 il Premio Nigra alla carriera.

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