di Alexandra Ieni
L’utilizzo di metodologie investigative come modello per la ricerca storica sulla produzione figurativa tra il XV e il XVI secolo nei territori del Val di Noto, presenta un terreno impegnativo e pieno di ostacoli. La difficoltà di reperire documenti fondamentali quali le vacchette, i libri mastri eredità delle botteghe medievali, i libri dei conti, le stesse lettere private tra nobili famiglie e gli artisti, i regolamenti e gli statuti delle corporazioni dei pittori e scultori, unita ad un problematico accesso allo studio delle opere d’arte custodite nei depositi di musei, chiese e palazzi, contribuiscono a rendere tutto il processo d’indagine ancor più incerto.
Tracciare i confini di quel rinnovamento culturale che fu il Rinascimento artistico nel Val di Noto come seguito degli studi compiuti sulla ricostruzione dopo il terremoto del 1693, sta diventando un preciso terreno di ricerca che porterà la scoperta di un settore ancor troppo poco studiato. Ma se una corrente di studi simile, quella che vede la storica dell’arte Morselli a Bologna indagare sulla professione di pittori come l’Albani, Guido Reni e il Guercino, ha fatto emergere la rete economica che legava artisti, artigiani e altre figure chiave della produzione artistica felsinea, il lavoro da svolgere qui è però più profondo e presuppone una lunga “prefazione” di ricerca di nomi, opere, committenti e luoghi.
In questo breve articolo saranno evidenziati alcuni protagonisti del Rinascimento nel Val di Noto ai quali si andranno presto ad aggiungere altri nomi. Immaginando i cantieri, opere di una curiosa ed attenta cultura umanistica, che fiorivano nella terra di Noto e nel suo hinterland nella seconda metà del Quattrocento arriviamo nella bottega del magister Pictor Leonardo da Lentini, artista come ci suggerisce il cognome originario di Lentini ma habitator terre Nothi. Dall’atto di commissione, apprendiamo che il magister avrebbe dovuto dorare et dipingere quendam confalonem [...] debeat ponere auro fino preter a li infuori di li figuri, li quali divi fari de azolu finu [1].
Nel 1458 sempre lo stesso pittore riceveva dal maestro Giovanni Paludello l’incarico di realizzare l‘immagine della Vergine in un tabernacolo intagliato con predella [2]. Ed è grazie a quest’ultimo committente il Paludello, e all’intercessione della famiglia di artisti originari di Noto i De Saliba o Risaliba, che un altro magister, Antonello da Messina, tra il 1471 e il 1472 riceverà l’incarico di realizzare un gonfalone per la Confraternita dello Spirito Santo, oggi purtroppo perduto [3]. Sempre grazie alle fonti documentarie trovate dal Rotolo e pubblicate nel 1981 nel catalogo della mostra su Antonello da Messina, sappiamo che il maestro si intrattenne per un anno nella città di Noto. Durante tale periodo fu aiutato da Antonio de Saliba maior, dal fratello e dal figlio, il Giovanni de Saliba intagliatore, cognato di Antonello e suo collaboratore in varie e documentate cone d’altare.
Un altro pittore, coevo al maestro Antonello da Messina ma malauguratamente cancellato dalla storia, Giovanni de Salonia cittadino di Noto, agli occhi dei suoi contemporanei eguagliava per bravura lo stesso Antonello e dalla Confraternita di S. Antonio veniva incaricato, sempre dal committente Paludello, nel 1472, di eseguire un Gonfalone che doveva essere di un terzu ammiglioratu di quello di la Confraternita di lu Spiritu Santu [4]. É utile, in tutta questa vicenda, anche far notare la presenza a Noto di una suora, donna Leonora Salonia, forse parente del pittore Giovanni de Salonia, badessa del monastero del SS. Salvatore che nel 1502 incaricava l’honorabilis Matteo Carnilivari, abitante in Noto, a murare, costruire e fabbricare detto monastero [5].
Restiamo ancora nelle commissioni delle Confraternite: nel 1494 per la Confraternita di Maria di lu Salteri (del Salterio), il pittore Antonino Russo da Siracusa si impegnava a dipingere una cona d’altare con la Vergine del Salterio più bella di quella dipinta dallo stesso pittore a Catania, di cui purtroppo non ci è dato sapere né il luogo né la data [6]. Attivi nel Cinquecento troviamo il pittore, Alessandro da Padova, il cui cognome tradisce la provenienza veneta e che si impegnava attraverso un vero e proprio contratto di lavoro di un anno con il magister Vincenzo Conti, anch’egli veneto, ma cittadino di Siracusa, di eseguire decorazioni per conto del Conti sia a Noto che in ogni località del regno di Sicilia [7].
Chiuderò questo breve excursus sui pittori sopra citati con il caso del magister Antonino Trincheda che una triste casualità lo vuole come il pittore per cui esistono più documenti ma nessuna opera ancora attribuita. Presente in più atti con varianti del cognome da Trincheda a De Trincheda a Tranchida o al più tardi Tranquilla, dagli atti finora emersi, lo troviamo attivo dal 1547 al 1580. Mentre nel 1547 è impegnato con lo scultore e intagliatore De Ramundo a fare una figura di rilievo di S. Agrippina [8]. Insieme al collega Antonino da Noto nel 1558 si obbligava con il Convento del Carmine a dipingere due icone, una con la Maria del Carmelo cum miraculis et purgatorio e l’altra con gli alberi della religione carmelitana [9]. Nel 1580 sempre per un convento, i procuratori del convento di S. Agostino di Noto gli commissionavano una pala con la Madonna Assunta cum Apostolis et cum paradiso et angelis simile alla assumptione beate Maria exsistis in ecclesia santi Pietri martiri [10]. Infine lo troviamo anche in un atto per l’acquisto da un aromatario messinese di colori del prezzo di 4 onze e come testimone di nozze.
Spostando adesso l’attenzione sui maestri scultori, oltre a ricordare il Laurana, che realizzò per la chiesa del SS. Crocifisso la Madonna della Neve l’unica opera firmata e datata, sulla quale però ancora insiste una querelle riferita alla committenza, vorrei soffermarmi sul sepolcro del Viceré Nicolò Speciale.
Probabilmente il sepolcro del Vicerè Nicolò Speciale può essere considerato tra i primi esempi di scultura in marmo con evidenze rinascimentali presente nella isola. Gli Speciale, come apprendiamo dal Meli, che pubblicò il testamento di Pietro Speciale, figlio di Nicolò, avevano una cappella gentilizia in S. Francesco a Noto antica [11]. Non soffermandomi sull’importanza storica del personaggio, vi racconterò una curiosità sulla vicenda attributiva dell’opera allo scultore pisano Andrea di Guardi. Da quando il sepolcro fu rinvenuto in modo del tutto fortuito dal mezzadro Gaetano Rametta, nel “carnaio”, ovvero la cripta sottostante la cappella degli Speciale nella chiesa di San Francesco, emersa dal terreno durante i lavori per un fondo agricolo all’inizio del Novecento, quest’opera fu oggetto di diverse ipotesi attributive. Il Salinas la consegnava al Domenico Gagini. Il Meli, intravedendo i tipi toscani, la inquadrava tra Mino da Fiesole, Andrea Bregno e Giovanni Dalmata. Infine il Kruft ne scorgeva la mano del di Guardi. Un contratto di allocazione, rintracciato da Enzo Virgili presso l’Archivio Arcivescovile di Pisa nel 1977, avrebbe dovuto fugare ogni dubbio. L’atto, infatti, tra il magnifico milite Pietro Speciale, figlio di Nicolò, con Andrea Francisci Guardi de Florentia, scultore, riguardava la committenza del monumento funebre in questione [12]. Lo studioso si adoperò subito con una richiesta di indagine presso la Soprintendenza ai Beni Artistici di Palermo atta ad informarli circa l’esistenza di quel monumento, ma dall’ente ebbe risposta negativa e così il povero Virgili dovette ripiegare concludendo così il saggio: «il lavoro del Guardi, i cui frammenti si conservano nella Biblioteca comunale di Noto, fu realizzato a Pisa nel corso di quello stesso anno (1444); non incontrò tuttavia i favori del Viceré che, nel 1463, affidò la composizione del monumento a Domenico Gaggini». Oggi per fortuna al cospetto di questo documento e attraverso un’agile comparazione stilistica, l’opera è attribuita al di Guardi.
Un’opera poco conosciuta, sopravvissuta al terribile terremoto, ma non all’incuria in tempi più recenti, vede la famiglia di scultori marmorai lacunari, i De Battista, firmare la Madonna delle Grazie opera di Pietro e Paolo De Battista, di cui esiste anche il documento di commissione. La scultura marmorea si trova nella chiesa di Santa Maria del Gesù a Noto in una situazione molto precaria vista la condizione della chiesa usata come deposito e rifugio per colombi. I De Battista erano una famiglia di scultori originari di Como legati allo scultore Mancino da una società simile nel modello organizzativo a quella dei Gagini. Lo studio chiave sulla produzione di questi scultori rimane il saggio della Maria Accascina Sculptores Habitatores Panormi, ma l’aspetto su cui mi preme puntare l’attenzione è la committenza di quest’opera. Sappiamo da un documento ritrovato tra gli atti del notaio Pietro Zuppello che il 27 Febbraio del 1505 a Palermo, Giovanni de Quadro, regio segretario di Ferdinando il Cattolico, incaricava gli scultori Pietro e Paolo de Battista di eseguire una «immagine della Beatissima Vergine Madre Maria de la Grazie con Cristo Gesù […] sulle braccia, in marmo bianco» [13]. La scultura doveva essere collocata nella chiesa del convento francescano di Santa Maria del Gesù a Noto antica, ma non sappiamo precisamente dove. Nella descrizione che ne fa il Pirri – «una bellissima statua di marmo della Vergine» – ed anche in quella del Littara – «Ivi si adora una bellissima immagine della Vergine scolpita in marmo» – non viene precisata la cappella né indicato il committente. Sappiamo inoltre che il De Quadro arricchì, tramite lascito testamentario, la biblioteca del convento, descritta dal Pirri come la «più famosa d’Italia». Conservava, oltre i libri di Andrea Barbazio, di Antonino Provina, di Fra Arcangelo Messina, anche 200 volumi ricevuti in donazione dal vescovo Antonio Corsetto, restituendo al convento quella centralità nella divulgazione e conservazione della cultura umanista non solo a Noto [14]. É interessante quindi comprendere, entrando nell’estetica di inizio Cinquecento, come anche opere in cui sopravvivevano stili gotico catalani e valenziani risultavano adatte, anche se non addirittura migliori, di opere di artisti coevi i cui linguaggi ancora dovevano essere del tutto assimilati.
Dalle carte dell’Archivio di Stato di Siracusa, sezione di Noto, emerge infine lo scultore ligneo Antonino del Monachello, appena citato dal Di Marzo e che adesso si sta man mano configurando come uno dei protagonisti di quel salto estetico che dal Concilio di Trento si materializzerà in una produzione artistica più scenografica ed ancor più legata alla Spagna. Attivo nella prima metà del Cinquecento, sacerdote, di cui conosciamo la data di nascita 1515 ma ignoriamo ancora quella di morte, le uniche opere finora documentate e sopravvissute sono il gruppo scultoreo di 14 statue per il sepolcro di Gesù Morto in Santa Maria la Nova di Scicli formato dalla Madonna inginocchiata ed il Cristo morto posizionato in una teca. Dall’atto rogato il 1° maggio del 1564, apprendiamo che, oltre al gruppo del sepolcro di Scicli, il Monachello realizzò opere simili anche a Modica per la chiesa di S. Giovanni ed a Ragusa [15]. Se l’opera di Ragusa non è identificabile, per il gruppo di Modica, anch’esso in origine numeroso, sopravvivono solo tre elementi: la Vergine sorretta da Maria come nel gruppo di Scicli, S. Giovanni Evangelista e la Maddalena. Altra opera attribuita allo scultore sopravvissuta al terremoto e presente a Noto è la Madonna del Carmelo della chiesa del Carmine. Altre due opere che per comparazione stilistica possono essere attribuite al Monachello sono il gruppo dell’Annunciazione conservato al SS. Salvatore di Noto, e una piccola statua simulacro presente nella chiesa di S. Carlo Borromeo. Di qualche anno prima, quindi, probabilmente legata all’attività giovanile dello scultore, un atto del 26 aprile 1549 impegnava il Monachello con i Procuratori della chiesa del SS. Crocifisso di Noto a realizzare un’icona di legno da collocare nell’altare maggiore di S. Nicolò [16]: opera di dimensioni notevoli, che doveva essere con molta probabilità simile ai retabli in legno spagnoli, che a Buccheri, nella Chiesa Madre, hanno una particolare, seppur tarda, testimonianza.
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] Archivio di Stato di Siracusa [ASS], sez. di Noto, notaio F. Musco, vol. 6335, f. CLXII.
[2] ASS, sez. di Noto, notaio F. Musco vol.6335 f. LXV
[3] ASS, sez. di Noto, notaio F. Musco, vol. 6341, f. CCXIIII
[4] ASS, sez. di Noto, notaio F. Musco, vol. 6341, f. CCXIII
[5] F. Rotolo, Matteo Carnilivari. Revisione e documenti, Palermo 1985: 120-122, documento 27.
[6] ASS, sez. di Noto, notaio P.A. Trapani, vol 6345, f.53.
[7] ASS, sez. di Noto, notaio G. Paladello, vol. 6472 f.18.
[8] ASS, sez. di Noto, notaio F. Carobene, vol 6416, atto del 7 gennaio 1547.
[9] ASS, sez. di Noto, notaio G. Rinaldo, vol. 6452, atto del 19 dicembre 1558.
[10] ASS, sez. di Noto, notaio Giantommaso, vol 6654, atto del 13 agosto 1580.
[11] F. Meli, Matteo Carnalivari, Roma, 1958: 261, doc. n. 70, Testamento di Pietro Speciale del 2110-1474.
[12] E. Virgili, Un documento inedito su Andrea Guardi fiorentino in «Bollettino storico pisano», XLVI (1977): 189-194.
[13] ASS, sez. di Noto, notaio P. Zuppello, vol. 6410, f. 49
[14] ASS, sez. di Noto, notaio A. Lorefice, vol. 6361, f. 150
[15] L’atto di Scicli si conserva in due copie, una presso ASR sez. Modica, notaio Nicola Damiata, vol 10, l’altra copia è conservata presso l’archivio dell’arciconfraternita di Santa Maria la Nova di Scicli.
[16] ASS, sez. di Noto, notaio G. Rinaldo, vol 6442, f. 292.
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Alexandra Ieni, storica dell’arte, ha collaborato nel 2022 al progetto della Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Catania “Museo diffuso delle opere dei Gagini nelle Diocesi di Catania, Acireale e Caltagirone”. La sua tesi di laurea magistrale conseguita presso l’Università di Palermo dal titolo “Noto, per un catalogo delle opere d’arte tra XV e XVII secolo” è al centro delle sue attuali ricerche volte ad uno studio approfondito dell’arte rinascimentale nel Val di Noto.
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