di Enrico Milazzo
Questo articolo abbraccia una parte della ricerca che io stesso, con un gruppo interdisciplinare di ricercatori (http://www.collettivoepidemia.org/), abbiamo condotto in Salento e Valle d’Itria durante tutto il 2018. L’oggetto complessivo dell’indagine era la Sindrome del Disseccamento Rapido dell’ulivo (OQDS) [1] in Salento, e la sua correlazione con la presenza del batterio Xylella fastidiosa. Abbiamo osservato, prevalentemente, il dispiegamento di un profondo conflitto epistemologico intorno all’eziologia della malattia degli alberi di ulivo [2].
Nel nostro sforzo di investigare su questo argomento, abbiamo realizzo come la società e l’ambiente circostante siano connessi attraverso possibilità poste su livelli differenti. Non c’è bisogno di dire che, in questo sistema inter-connesso di scambi chiamato ‘eco-sistema’, gli uomini non giocano che una parte, importante tanto quanto quella degli animali, delle piante, dei micro-organismi e dei batteri. In modi diversi, è emerso come il legame tra mente e corpo sia plasmato da relazioni intrecciate e mai immobili nell’ambiente.
L’obiettivo di questo scritto è descrivere la guarigione di A. come un avanzamento fenomenologico nei confronti della dimensione culturale propria della possibilità del re-incanto della natura. Le politiche dei sensi e il conflitto epistemologico su salute e guarigione, non solo dei corpi umani, giacciono alla base di questa stessa possibilità.
L’unzione degli infermi
Come è ben noto, l’olio di oliva ha avuto un ruolo centrale nella liturgia cristiana sin dalle origini. In particolare, l’olio di oliva è fortemente messo in relazione con poteri benefici e terapeutici. Le caratteristiche balsamiche e lenitive dell’olio extra-vergine di oliva sono, infatti, ben riconosciute anche al nostro tempo. Nondimeno, se l’edibilità dell’olio di oliva è considerata la base della nostra dieta, gli altri usi dell’olio di oliva e gli specifici effetti medici sul nostro corpo non sono sufficientemente approfonditi dalla scienza moderna. Una macchia oscura la nostra conoscenza sulle qualità nascoste del liquido dorato.
Nella storia del Mediterraneo, la correlazione tra olio di oliva e poteri di guarigione, così come quella tra salute e sacralità, è molto forte. Fisici, filosofi e alchimisti hanno provato ad afferrare le logiche misteriose ed illuminanti allo stesso tempo, del mondo della fisiologia del corpo umano [3]. Ogni cambiamento somatico a cui si assisteva, infatti, poteva essere ricondotto sia all’assunzione di sostanze differenti, ma anche e soprattutto all’abitare una condizione sacra, spesso raggiunta grazie a riti iniziatici o ‘svelamenti’ che coinvolgono il paziente. Così come nel passato, anche oggi ogni cambiamento importante della condizione fisica implica una ri-significazione e una ri-plasmazione del mondo simbolico che circonda il corpo umano [4].
La misteriosa fisiologia dei processi terapeutici era strettamente collegata all’esistenza di un corpo di saperi, spesso inaccessibili ed esoterici. Questo genere di conoscenza implicava una relazione continua ed arricchente con la divinità, alla quale tutta la conoscenza appartiene. La scienza, oggi, ha dis-incantato quasi completamente questa visione del mondo. Nondimeno, la Scienza rimane un discorso retorico capace di escludere le masse dall’accedere alla complessità dei saperi, e mantiene una legittimità in diversi ambiti poco chiara [5].
Le implicazioni salvifiche del processo di guarigione nel passato erano incorporate nella soggettività entro un paesaggio sociale di entità ed agenti. Nel moderno Salento le politiche di trasformazione radicale che hanno avuto luogo nell’ultimo secolo, hanno cambiato l’agronomia e il mercato intorno agli alberi d’olivo. Con essi, sono cambiati il mondo culturale e le entità che lo abitano. Ad ogni modo, l’olio d’oliva è rimasto una figura centrale nelle sfere culturali ed economiche comuni degli abitanti, anche se è divenuto sempre più dis-incantato dalla natura e dall’aura di mistero/sacro.
Quando incontrammo A., a Gemini, stavamo investigando le pratiche e i modi di produzione riguardanti l’olio d’oliva. Ci fu presentato da un collega foto-giornalista, così che potesse mostrarci il suo antico frantoio tradizionale. Era un giorno di pioggia, e dentro il frantoio era buio ed umido. Un forte odore d’erba ci ha accompagnato per tutta la durata della nostra permanenza.
A. è guarito da una retto-colite ulcerosa diagnosticata quando ha interrotto gli studi di medicina intorno ai venticinque anni, e ha riaperto il frantoio tradizionale del suocero. Dopo qualche anno, ha smesso di prendere le medicine prescritte e non ne ha più fatto uso. A. sostiene che il consumo quotidiano del suo particolare olio d’oliva ha portato il suo corpo a cambiare e guarire. Per afferrare la cosmologia di A., o meglio, per capire come questa incontri il paesaggio culturale e materiale contemporaneo, o il contesto che ha reso possibile una tale guarigione, ci muoveremo intorno a tre figure.
Sapientia
Ogni bene materiale, incluse le merci, incorpora in sé stesso la descrizione delle proprie possibilità di esistenza. I modi di produzione, sono, infatti, incastonati nella materialità dei paesaggi agricoli, delle infrastrutture, delle manifatture e delle industrie. I modi di produzione plasmano radicalmente il mondo dei soggetti, definendo quali, e quale genere di entità sono considerate e valorizzate da una data cultura. Se i modi di produzione forniscono la descrizione delle politiche in atto tra le entità, è perché essi implicano, specificatamente, una politica epistemologica dei sensi [6].
I cinque sensi del corpo, è ben noto, non sono considerati come equamente affidabili tra di loro, tantomeno tutti insieme rispetto alla verità scientifica. Le esperienze sensoriali non sono viste come direttamente produttive di una conoscenza reale del mondo. Gusto, olfatto, neanche la vista, sono mezzi affidabili tramite cui conoscere per certo. Nessuna sorpresa, dunque, che anche le conoscenze che riguardano e si occupano dei processi di produzione dei beni materiali subiscano l’influenza della moderna epistemologia e dell’expertise.
L’olio di A. è un olio di oliva molto disturbante per gli amatori della gastronomia. Il processo stesso di produzione dell’olio di oliva di A. è una protesta nei confronti dell’egemonia della modernità. La materialità dei frantoi a linea continua, la concezione di purezza e la canonizzazione del gusto dell’olio di oliva sono contestate dal modo di produzione tradizionale. Ovviamente, a livello economico sostenere un’attività di questo genere è una difficile scommessa. Nonostante ciò, A. racconta come lentamente i conterranei abbiano cominciato ad apprezzare il suo sforzo di portare avanti questo approccio all’olio d’oliva. Quello che era considerato come un prodotto del passato, di qualità bassissima, è diventato nel corso di venti anni il depositario di regole e relazioni ‘altre’ tra gli umani e l’ambiente.
La ragione di una tale comprensione giace nel concetto anti-moderno del ‘giusto tempo’. Ciò che A. e i suoi colleghi fanno non risponde alle procedure standardizzate dell’estrazione convenzionale dell’olio d’oliva. Specificamente, nel procedimento convenzionale l’olio è estratto, non spremuto. A. è in grado di produrre una quantità modesta di olio d’oliva (comparando le sue macchine con quelle più moderne), poiché la quantità di olive che possono essere spremute non è elevata. Le presse che usa, inoltre, sono uscite di produzione durante gli anni Sessanta, quando la Rivoluzione Verde è giunta anche in Salento. Migliaia di alberi d’olivo si sommarono a quelle migliaia già presenti sul territorio, trasformando definitamente il paesaggio in una monocultura. Anche se i frantoi cominciarono una modernizzazione nei processi di molitura, quelli esistenti nell’area non sono mai diventati realmente in grado di lavorare la quantità di olive prodotta dagli alberi.
La modernità ha accelerato il tempo. Nella produzione di olio d’oliva, essere rapidi ed adoperare poco tempo non è solo una dimensione economicamente remunerativa. È anche considerato una caratteristica essenziale del buon olio extravergine d’oliva. Più velocemente avviene la frangitura [7] dell’oliva, più puro e meno ossidato è l’olio. A. e i suoi colleghi non sono di questo avviso. Loro ritengono che ci sia un ‘giusto tempo’, di cui c’è bisogno, per produrre un certo olio d’oliva. In termini tecnici, con ‘il giusto tempo’ la temperatura della pasta d’olio posta sotto pressione non supera mai un certo limite. La molitura, ma più genericamente la rottura dei legami molecolari, è gentile e giusta. È così per A., come è esemplificato chiaramente dalla lievitazione naturale del pane: si richiede il giusto tempo.
L’accelerazione delle procedure di produzione di cibo portata dalla modernità comporta concretamente l’imposizione del tempo moderno sulle componenti organiche del prodotto lavorato. La composizione dell’alimento è sottoposta ad una manipolazione con mosse nervose che lasciano completamente da parte l’esperienza sensoriale che si ha o si è avuta di quel prodotto, portando ad un ri-calibratura dei canoni gustativi [8]. Il frantoio di A. è ora considerato pioneristico tra le modalità di produzione di olio di oliva da parte di diversi personaggi influenti. Certo, non è visto bene in molti altri contesti di produttori e consumatori d’olio extravergine.
Il gusto, si può facilmente immaginare, è una delle parti essenziali dell’esperienza che si può fare dell’olio di oliva. L’evoluzione del gusto va a braccio con quella delle tecniche di produzione dell’olio. I saperi e le pratiche sono stati plasmati dalle necessità e dalle condizioni materiali di una tale produzione. Coloro che erano coinvolti in questo sviluppo si sono dovuti adattare al giogo dei prezzi e della richiesta di olio. Ma ciò che più ha fatto la differenza, sono le stesse energie dei lavoratori. Il loro lavoro descrive la proporzione della loro valutazione e dell’assaggio del prodotto stesso. L’intima proporzione tra il corpo e la conoscenza che esso esprime era considerata, prima della modernità, Sapientia. Il corpo era chiamato a partecipare alla costruzione dei saperi, e aveva il compito di discernere, per definire ciò che è intellegibile per la mente umana, e come (materialmente e fisiologicamente). Sapientia, sapere, deriva da sapio che significa aver sapore, assaporare, come segno del coinvolgimento dei sensi nel costruire il corpo delle conoscenze. Il modo di produzione dell’olio di oliva di A. deve essere considerato come questo genere di saperi, che includono più di quanto distinguano [9].
A. ha sottolineato la necessaria connessione tra il suo olio di oliva e i campi e le colture che circondano il paese in cui viene prodotto. È normale, per lui, che la vita della società e dell’ambiente venga considerata parte essenziale del suo prodotto. Le olive sono cresciute e curate da tutti i suoi vicini, e i campi devono essere condotti in un certo modo per permettere ad A. di produrre quel tipo specifico di olio di oliva, molto consumato anche dalla comunità. Il suolo non deve essere attaccato con prodotti chimici, e questo implica una gran mole di lavoro manuale in più. Similmente, la raccolta delle olive dagli alberi non può adoperare macchine che non si confanno con la fragilità degli antichi alberi.
Fa specie che la condizione moderna dell’olivicoltura in Salento si sia imbattuta oggi nella possibilità stessa della sua fine. Le distese coltivazioni di ulivi che la modernità ha reso possibili ospitano ora il batterio Xylella Fastidiosa, considerato da scienziati istituzionali come il responsabile dell’ecatombe di alberi di olivi in Salento [10]. Vero o no, gli ulivi stanno morendo in ragione dei modi con i quali l’olivicoltura è stata gestita negli ultimi decenni [11]. Messo da parte dalla modernizzazione della società, il lavoro nei campi è divenuto un lavoro di esperti in chimica e gestione manageriale. Il risultato è un cimitero di ulivi, che associazioni di categoria ed istituzioni vogliono sostituire con olivi ‘moderni’.
L’epidemia batteriologica chiarifica, come una spiegazione della storia del paesaggio e dell’economia, il ruolo all’interno della guarigione di A. dei micro-organismi e del mondo organico nel dar forma alle vite umane. L’introduzione e la diffusione di Xylella fastidiosa hanno seguito un percorso poco chiaro, che si intreccia con il ‘fatto’ del disseccamento di massa degli ulivi. La rappresentazione dell’emergenza situa nel 2013 l’identificazione del batterio. Le istituzioni suggeriscono che sia arrivata con piante ornamentali dal Costa Rica [12], mentre i movimenti e gli attivisti contestano questa eziologia. Non solo, contestano anche il ruolo di Xylella fastidiosa nel reale disseccamento della chioma degli alberi d’ulivo.
Altri ‘fatti’ sono rappresentati dalla quantità sproporzionata di prodotti chimici ed erbicidi adoperati in Salento per decenni [13]. Nessuna spiegazione agronomica legittima un tale abuso, ed è possibile spiegarlo solo con ragioni economiche, politiche, e culturali. L’expertise agro-industriale e l’interesse speculativo hanno guidato la sostituzione delle pratiche tradizionali nei campi con pratiche moderne. I saperi subalterni dei contadini si sono ritirati dietro alla promessa di facili guadagni e un lavoro molto meno faticoso sulla terra. Il prezzo pagato è stata una perdita culturale, con la diminuzione di bio-diversità in campagna, essenziale per la buona salute dell’ambiente e delle entità che lo abitano.
La modernizzazione della produzione di olio d’oliva è cominciata grazie agli imprenditori francesi e britannici durante la seconda metà del Settecento. I mercanti vendevano olio di olivo di bassa qualità come lubrificante per le nascenti industrie nord-europee. Solo dopo un secolo la produzione d’olio d’oliva poté essere intesa per usi edibili, e una tale trasformazione ha interessato il Salento solo alla fine del XX secolo. Le patologie degli ulivi erano ben note sin dall’antichità dagli agricoltori così come dalle scuole borboniche di agronomia ottecentesca. La brusca (la bruciatura fogliare), la lebbra e la mosca dell’olivo erano considerate problemi ciclici ed endemici del territorio [14]. La modernità ha cambiato una tale visione, e ha provato ad annichilire ogni eventualità di malattia. Questo tentativo di mantenere la produzione sempre elevata e competitiva giustificò l’introduzione di pratiche moderne e l’uso dei prodotti chimici.
Per quanto riguarda la gestione del batterio Xylella fastidiosa, a livello epistemologico l’approccio scientifico istituzionale della modernizzazione non è stato considerato discutibile. La postura verso gli agricoltori e la conoscenza tradizionale erano caratterizzate da superiorità e disprezzo. Persino oggi, i salentini sono considerati contadini ingenui e non qualificati, parte di comunità incapaci di mantenere sani gli alberi. Gli schemi altamente competitivi della politica neoliberale non sono considerati responsabili del peggioramento delle condizioni ambientali del Salento. Molti scienziati e attivisti, tuttavia, hanno mostrato come l’OQDS abbia una forte relazione con il degradarsi delle condizioni del suolo, dell’acqua e dell’aria. Gli scienziati di riferimento della Commissione europea e la ricerca nazionale di Bari hanno escluso già nel 2013 la possibilità di ogni implicazione della salute del suolo nell’eziologia dei fenomeni di disseccamento.
A. sta affrontando una grave crisi nel suo paese, a Capo Leuca. Gli ulivi stanno disseccando molto velocemente attorno al suo frantoio. È ancora un frantoiano richiesto, ma ogni anno lavora minori quantità di olive. Se gli ulivi secolari dovessero morire per sempre, e se venissero sostituiti dalla cultivar FS-17 o Leccino (considerato tollerante al batterio), non otterrà le olive giuste per produrre la sua medicina. Non è solo nei confronti di sè stesso che è preoccupato, ma anche per coloro che lavorano con lui, e per la comunità che consuma il suo miracoloso olio d’oliva.
L’FS-17 e il Leccino sono due moderne cultivar di ulivi. Sono ibridi: il primo è uscito dai laboratori, mentre il secondo è una varietà conosciuta dalla Toscana. L’incontro tra diversi tipi di olivi li ha resi piccoli e veloci nella crescita. Gli umani hanno reso possibile l’ibridazione. Per essere chiari, l’esistenza stessa degli ulivi è dovuta all’incrocio tra le attività umane e l’olivastro ancestrale, che è un piccolo arbusto ancora presente nella flora mediterranea. FS-17 e Leccino sono cultivar che richiedono una grande quantità d’acqua [15]. L’FS-17, dicono gli esperti, produce olive in due anni. Entrambi, tuttavia, vivono non più di 15 anni.
Molti sono preoccupati dall’introduzione di queste due cultivar, così come molti altri sono entusiasti. I primi temono la radicale trasformazione del paesaggio, da uno secolare e pieno di significato, a una distesa agro-industriale di linee regolari di alberi anonimi riprodotti a pennello. Inoltre, sanno che il loro territorio manca di acqua e temono che tutta l’acqua sarà risucchiata da una tale industria agricola. Inoltre, coltivare FS-17 e Leccino comporta l’omogeneizzazione della produzione di olio d’oliva, con la perdita di qualità locali e proprietà peculiari. Coloro che sono entusiasti dei nuovi investimenti, da parte loro, non vedono l’ora di assistere allo sviluppo di una vera economia agricola. Le macchine mangiatrici di alberi abbasseranno ancora di più i costi di produzione e di raccolta. Il Salento entrerà nel piano di espansione tecnologica “4.0”. Il modo in cui queste enormi macchine percorreranno campi fatti di pietre e rocce rimane un mistero.
Microbiologia
La fertilità del suolo e l’erosione del suolo sono molto preoccupanti per l’agricoltura. Gli agricoltori hanno osservato i cambiamenti nell’ambiente negli ultimi decenni, in particolare sui loro campi molto terrosi e rocciosi. Ufficialmente, Xylella fastidiosa non ha cura: ma chi è il paziente? I biologi e i microbiologi che si oppongono alla rotta dei ricercatori di Bari, mostrano come alcuni tentativi di salvare gli ulivi dal disseccamento completo della chioma hanno dato risultati chiari. Una certa circonstanzialità è stata contestata alla loro ricerca, a ragione, poiché i loro tentativi sono stati guidati e aiutati dalle condizioni peculiari dei campi e delle aree specifiche su cui stavano lavorando. Quindi, hanno spostato la propria attenzione su queste variabili, esplicitamente escluse dalla considerazione della ricerca ufficiale.
I terreni, in realtà molti, hanno dato risultati impressionanti. La vita organica è stata misurata a 0,3, un livello tipico dei deserti (l’unica spiegazione che potremmo utilizzare di questi dati). In una tale condizione, non avresti bisogno di identificare un agente patogeno per dire, o vedere, che gli alberi su quel campo stanno morendo. La morte e il disseccamento dell’olivo, infatti, sono stati osservati da anni prima dell’identificazione di Xylella. In ogni caso, gli ulivi muoiono anche nei campi la cui forma è molto buona e fertile. Tuttavia, molti alberi morenti si sono ripresi in modo sorprendente quando i microbiologi hanno aumentato la biodiversità del microbiota [16] del suolo.
Se da un lato troppe variabili sono coinvolte nella definizione dello stato di salute dell’ulivo, dall’altro alcune condizioni sono assolutamente necessarie perché un ulivo sia sano. Una di queste, ignorata dagli scienziati ufficiali, sono la vita e il lavoro dei microrganismi sul suolo e nel sottosuolo. È una rete invisibile di informazioni – sostanze nutritive e risorse condivise da tutte le piante e gli insetti – che determina la forza e la capacità di recupero di ogni ecosistema.
Inosservato e non considerato, il corpo terroso di batteri, micorrize, microbi è minacciato dalla chimica. Le sostanze chimiche puntano solo su ciò che è, invece, preso in considerazione dall’approccio scientifico. Allo stesso modo della medicina moderna, che sceglie solo una tra le molte plausibili aree di intervento farmacologico, gli entomologi ufficiali hanno suggerito che l’unico modo per contrastare la diffusione di Xylella era quello di combattere il vettore degli insetti, Philaenus Spumarius. Una guerra chimica a questa piccola, minuscola cicala millimetrica, è stata prescritta per legge in tutto il Salento. Il mezzo per impedire alle sputacchine di riprodursi e vivere è, semplicemente, farle morire di fame e distruggere il loro habitat. Distruggere tutto il verde attorno alle olive e alle strade principali è stata considerata un’azione collettiva razionale e percorribile.
La vita organica e la biodiversità non erano affatto di interesse istituzionale in questa problematica. Oltre che per l’intestino di A., la medicina moderna non aveva alcuna soluzione per il recupero degli alberi morenti. Quindi, cosa ha spinto a cambiare la condizione somatica di A.? Che cosa sta guidando gli agricoltori testardi nei tentativi di salvare il paesaggio secolare?
“Il suolo è un intestino a cielo aperto”
Durante una seconda intervista, A. ha rivelato il motivo per cui in primo luogo sottolineava quanto “sano” fosse il suo olio d’oliva. Non prestammo attenzione a questa parola specifica per mesi, prima che ci rendessimo conto che aveva qualcosa a che fare con la produzione contro-egemonica della conoscenza e della vita. Volevo tornare da A. e chiedergli qualcosa di più sulla salute. Fu lì che ci raccontò della sua guarigione e della sua terribile malattia. Ci ha anche parlato di una ricerca scientifica che avrebbe potuto spiegare il benefico effetto fisiologico dell’olio extra vergine di oliva sull’intestino umano. La ricerca indica semplicemente come le proprietà organolettiche dell’olio d’oliva siano in grado di ristabilire un equilibrio nella flora batterica che previene le malattie dell’intestino [17]. Per i medici di A., in ogni caso, non è stata sufficiente a spiegare la guarigione da una malattia già avanzata. Per loro, il cambiamento somatico ha a che fare con un cambiamento guidato dalla mente e legato allo stress. Come ha sottolineato A., comunque: «Pensi che portare avanti un frantoio tradizionale non competitivo durante il periodo di modernizzazione del Salento sia qualcosa di non stressante?».
A. non se ne fa nulla della spiegazione medica della sua guarigione. La medicina moderna, dice da ex-studente, non può dire nulla su questo genere di cose. Questi argomenti sono semplicemente fuori dalla comprensione della medicina allopatica, per come è costruita su un approccio pasteuriano di comprensione delle relazioni tra le entità. La medicina moderna considera solo alcuni elementi della realtà, selezionando quelli in cui solo le medicine prodotte in laboratorio e costose possono fare qualcosa.
“Malattie psicosomatiche” è una formulazione molto semplice usata nella scienza moderna per descrivere effetti causali inafferrabili tra elementi e sostanze nel nostro corpo. Per quanto riguarda le “concause”, si tratta di una parola simile, usata per indicare quelle cose sottostimate che comunque influenzano la condizione degli ulivi, contemporaneamente al batterio Xylella fastidiosa. In entrambi i casi, comunque, queste parole descrivono la visione poco chiara di qualcosa che accade su corpi umani e paesaggi. In entrambi i casi, abbiamo visto, la medicina moderna e la scienza non rinunciano al loro diritto di agire in modo molto riduzionista, con l’unico risultato di alterare ancora di più la già instabile condizione delle entità nell’ambiente (dentro l’intestino, o all’aria aperta).
A. è consapevole, come molti colleghi agricoltori e persone con conoscenze tradizionali, che la scienza moderna abita un modo molto particolare di vedere e considerare la relazione tra entità. Esiste, sostengono, un intero corpo di scambi e una rete concreta di reciprocità, tra specie di dimensioni diverse, completamente messe da parte. Ciò non significa, comunque, che tutta la scienza moderna si comporti in quel modo. Gli agricoltori resistenti, infatti, hanno trovato un alleato importante tra le discipline minori all’interno dell’approccio scientifico. Il microbiologo Giusto Giovannetti figura tra queste persone che, non solo agricoltori tradizionali, considerano entità invisibili e le loro relazioni intrecciate e indicibili.
Il Dott. Giovannetti è intervenuto nei campi senza una specifica pretesa terapeutica. Non avrebbe affrontato la particolare problematicità delle vene degli alberi (xilema) intasate dai batteri, ma invece avrebbe lavorato su ciò che mancava dall’ambiente circostante attorno agli ulivi. I microrganismi, i complessi di batteri viventi e i nutrienti dovevano ricostruire il cerchio della vita ecologica del suolo. Non aveva paura di fallire, nessuna pretesa di riuscire nella ripresa. Non interferiva con i processi precisi: lasciava che il tempo dello scambio degli alberi con il suolo si svolgesse come misura interna. L’intima proporzione tra vita organica, produzione e lavoro umano è stata ristabilita tramite molti elementi sconosciuti. Man mano che si raggiunge la consapevolezza dei limiti dell’azione umana, il riconoscimento delle cause e degli effetti di miscelazione fa crollare l’approccio moderno alla natura.
Le proprietà dell’olio d’oliva rappresentano una fonte di conoscenza intensa e nascosta sul funzionamento della salute dell’intestino, così come le piante e gli ulivi del Salento contengono informazioni epigenetiche sulla resistenza patogena e sulle relazioni eco-sistemiche. Il modo in cui l’intestino di A. ha reagito all’olio d’oliva, o il modo in cui è stato agito da relazioni incomprese, rappresenta un mistero per la scienza moderna. Allo stesso modo di come le istituzioni non possono sostenere la verità in merito alla diffusione di Xylella fastidiosa. La sopravvivenza di alcuni alberi alla catastrofe ambientale e all’attacco dei batteri sembra, in fin dei conti, legata alla possibilità di descrivere la condizione che essi incarnano.
Quanto può la scienza approfondire un tale mistero? La de-sacralizzazione delle logiche della natura non fornisce una comprensione finale e completa di tali processi. Ciò che l’approccio della microbiologia ci dice sul suolo e sull’intestino non va oltre la constatazione della necessità di completare un’orchestra di entità. Anche allora, nulla sembra affatto prevedibile. Affidarsi a qualcosa come vero sembra avere senso solo nel collegare due o più elementi che descrivono una certa condizione. “Conoscere” è rigenerato come un concetto che contiene una verità che corrisponde all’incertezza e alle possibilità espresse da tale incertezza.
La dimensione della non-conoscenza descrive un’economia di entità morali e un essere-nel-mondo somaticamente posizionato [18] in modo da consentire il re-incanto della natura. La capacità mimetica del corpo con l’ambiente circostante passa attraverso una conoscenza per la quale nessuna spiegazione ragionevole può essere data. A. ha confermato l’intima proporzione tra la sua presenza di sé-corpo e l’esperienza cosmica attraverso i sensi. Gusto, tempo, ruote di pietra e oligoelementi dipingevano un mondo culturale fatto di entità. A. ha agito il proprio re-incanto della natura, mentre un silenzio è pronunciato attraverso le percezioni e i segni dell’implicito. Poco chiaro e trasformato, l’unicità dell’individualità di A. si è ri-definita nel sé-sacro, inserendosi nell’indeterminatezza estetica di un mondo culturale non moderno. L’immediatezza e il discorso utilitaristico della comprensione scientifica lasciano il posto a un’indeterminazione dell’alterità del corpo naturale, entro il cui registro i cambiamenti sono agiti tramite un corpus sensoriale di pratiche.
Dialoghi Mediterranei, n.38, luglio 2019
Note
[1] Saponari M. (et al.), “Identification of DNA Sequences Related to Xylella Fastidiosa in Oleander, Almond and Olive Trees Exhibiting Leaf Scorch Symptoms in Apulia (southern Italy)”, Journal of Plant Pathology, vol. 95, no. 3, 2013
[2] Colella C., Carradore R., Cerroni A. “Problem Setting and Problem Solving, in “The Case of Olive Quick Decline Syndrome in Apulia, Italy, A Sociological Approach”, Phytopathology 109:187-199
[3] Stabile G., “Sapor-Sapientia: tatto e gusto tra cultura agraria, medicina e mistica”, in Natura, scienze e società medievali cur. Claudio Leonardi, Firenze, SISMEL. Edizioni del Galluzzo 2008 (Micrologus’ Library 28): X-429, 287-344
[4] Feher M., “Introduction”, in Fragments for a History of the Human Body, part 1, ed. M. Feher, Ramona Naddaff, and Nadia Tazi, 10-17. New York, Zone, 1989
[5] West, H. G., Sanders, T. (curato da), Transparency and conspiracy. Ethnographies of Suspicion in the New World Order, Duke University Press, Durham London, 2003
[6] Seremetakis C. N. (curato da), The Senses Still. Perception and Memory as Material Culture in Modernity, The University Chicago Press, Chicago and London, 1994
[7] La frangitura avviene nei frantoi che non adoperano più le antiche ruote in pietra, che invece spremono l’oliva attraverso la molitura.
[8] West H. G., “Thinking Like a Cheese: Towards an Ecological Understanding of the Reproduction of Knowledge in Contemporary Artisan Cheesemaking”, in Ellen, Roy and Lycett, Stephen J. and Johns, Sarah E., eds.), Understanding Cultural Transmission in Anthropology: A Critical Synthesis. Oxford: Berghahn Books: 320-345, 2013
[9] Stabile G., “Sulla fisiologia del gusto: dal palato alla mente” in I Castelli di Yale, X (10): 13-26, 2009
[10] Saponari M. (et al.), “Isolation and Pathogenicity of Xylella Fastidiosa Associated to the Olive Quick Decline Syndrome in Southern Italy”, Scientific Reports 7, no. 17723, 2017
[11] Xiloiannis C., Lardo E., Sofo A. e Palese, A. M., “Contro Xylella su olivo le buone pratiche agronomiche”, L’Informatore Agrarario, no. 19, 2015: 49-53
[12] Carlucci A. (et al.), “Has Xylella fastidiosa “Chosen” Olive Trees to Establish in the Mediterranean Basin?”, Phytopathologia Mediterranea, vol. 52, no. 3, 2017: 541-544
[13] Ciervo M., “Xylella fastidiosa: nelle pieghe della rappresentazione dell’emergenza”, in Scienze e Ricerche, n. 17, 15 novembre: 75-95, 2015
[14] Mastrolia F. A., Istituzioni e conoscenze agrarie in Terra d’Otranto (1810-1910), Edizioni scientifiche Italiane, Napoli, 2000
[15] Un’ulteriore riflessione richiederebbe di considerare come le due cultivar, Fs-17 e Leccino, non siano ‘moderne’ in sé. Non vi sono oggetti moderni in sé, così come non è obbligatorio che le due varietà richiedano una grande quantità di acqua. Piuttosto, esse sono pensate per funzionare al meglio in una filiera agronomica di tipo super-intensivo, nella quale per le esigenze di produzione si adopera una gran quantità di acqua. La modernità è relazionale, poiché si trova nelle relazioni ecologiche in cui l’oggetto/pianta è inserita, e non è una qualità immanente all’oggetto stesso.
[16] Il microbiota è il complesso di microorganismi che abita e rende vivo il suolo.
[17] Sánchez-Fidalgo S. et al., “Extra-virgin olive oil-enriched diet modulates DSS-colitis-associated colon carcinogenesis in mice”, in Clinical Nutrition 29: 663-673, 2010
[18] Csordas T., “Incorporazione e fenomenologia culturale”, in Annuario di Antropologia, Vol. 3: 19-42, 2003.
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Enrico Milazzo, si è prima laureato in Scienze Storiche a Roma dove è nato, con una tesi riguardante il rapporto tra le strutture del linguaggio e la storia, ha poi conseguito il titolo magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia a Torino. In modo interdisciplinare ha affrontato il tema della critica istituzionale su diversi piani, concentrandosi in particolare sulla violenza della denominazione e della razionalizzazione dell’esperienza, prima nel programma di cliniche legali e di supporto medico del Centro Franz Fanon a Torino, quindi con la sua tesi di ricerca riguardante il dramma della diffusione del batterio Xylella fastidiosa. Dopo la ricerca di campo in Puglia, durata nove mesi durante il 2018, attualmente frequenta a Torino l’International University College, il cui programma mette al centro sia la difesa e il supporto clinico-legale alle minoranze che lo studio delle teorie delle istituzioni occidentali.
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