di Francesca Riggi
Dal 2015 ho iniziato un progetto sui Migranti seguendoli nei vari luoghi di transito: Lampedusa, Palermo, Calais.
A maggio di quest’anno mi sono recata a Trieste per vedere con i miei occhi una realtà virtuosa di accoglienza di migranti, provenienti dalla Rotta Balcanica, che arrivano ogni giorno in decine e, nei mesi estivi, anche in centinaia.
Provengono, per lo più, dal Bangladesh. Afghanistan, Siria e Iraq. Fuggono da guerre, violenze, fame o eventi naturali devastanti. Profughi che arrivano stremati al confine orientale del nostro Paese.
Molti arrivano con ferite ai piedi e, a volte, con i segni delle torture inflitte dalle polizie europee di frontiera. Affrontano un lungo viaggio, che può durare anche anni, fra mille difficoltà, nel tentativo di migrare verso la ricca Unione Europea.
Per fortuna, da circa nove anni, a Trieste nella Piazza adiacente alla stazione centrale, Piazza della Libertà, ribattezzata Piazza del Mondo, i profughi trovano cura e accoglienza.
Arrivo in una serata piovosa e i migranti, insieme ai volontari trovano rifugio sotto i vicini portici della stazione centrale. Si condivide il cibo, si chiacchiera in varie lingue nel tentativo di comprendersi, si sorride.
Sento giovani migranti, appena arrivati dalla rotta balcanica, raccontare le loro storie. Lunghi anni di violenza prima di raggiungere l’Italia, ma sorridono felici per l’accoglienza e il calore umano di quella serata uggiosa.
Sono avidi d’informazioni, chiedono e ricevono risposte. Vedo, in un angolo Lorena Fornasir, la psicologa in pensione che, da circa nove anni, insieme al marito Gian Andrea Franchi, si occupa dei migranti. Si sta prendendo cura dei piedi di uno di loro. Incontro sguardi e sorrisi. Fra questi Nicola Cortese, uno dei volontari che ogni sera si reca nella Piazza del Mondo non solo per dare assistenza, cibo, ma anche per comunicare, socializzare, conoscere ognuno di loro.
Gesti concreti, attenzione, cura, solidarietà. Una rete umana che è di supporto come prima assistenza, come orientamento informativo, legale, medico-sanitario, ma è anche attenzione, scambio, abbracci, incrocio di sguardi, ascolto. Un lavoro di sinergia fra volontari e associazioni che si fa carico della grave situazione di abbandono istituzionale in cui si trovano i migranti… E poi conosco anche Giorgio, Giuliano, che offre, il pomeriggio successivo, del tè e merendine ai giovani intrattenendosi con loro in piacevoli chiacchierate.
Decido, quella stessa sera, che non mi sarebbe bastato fare un servizio fotografico su quella bella realtà, ma sarei stata presente anch’io, per l’intera settimana che avevo a disposizione, per dare una mano e per conoscere le persone che animano ogni sera la Piazza del Mondo.
Molti dei migranti sono giovanissimi e pieni di speranze, malgrado il loro vissuto di violenze e soprusi subiti. Alcuni di loro hanno voglia di imparare la lingua italiana per avere la possibilità di trovare un lavoro e rimanere in Italia.
Frequentano un centro diurno non lontano dalla piazza del mondo, dove, con il supporto dei volontari, possono fare attività ricreative, socializzare e, anche, avere lezioni di italiano. Altri raccontano di amici e parenti che li attendono in altri Paesi europei
Alcuni di loro provengono dall’Afghanistan. Sono ex militari dell’esercito afghano. Sono stati costretti a scappare dal loro Paese perché rifiutavano di prestare servizio nell’esercito talebano violento e oppressivo nei confronti della popolazione e delle donne.
Chiedo dove vanno a dormire la sera. Mi dicono che trovano un tetto dove ripararsi nel silos abbandonato accanto alla stazione ferroviaria. Chiedo a Nicola se è possibile vedere, l’indomani, questo silos. Lui non può accompagnarmi, perché impegnato, ma mi affida a Lamin, che, gentilmente, mi dà la sua disponibilità.
Intanto guardo quella donna, Lorena Fornasin, che in quella serata di pioggia battente, continua, sotto i portici della stazione, a curare le ferite ai piedi di diversi migranti arrivati dalla rotta balcanica quella stessa sera. Non si ferma un attimo.
Garze, disinfettante, fasciature, calzini e scarpe nuove per loro e, nel frattempo, cerca un dialogo, fa domande, cerca di capire ciò che per loro può essere necessario. Comincia a conoscerli. Si, perché l’aiuto non consiste solo nel dare loro cibo e assistenza, ma nel creare un rapporto umano, una relazione.
L’indomani mattina si presenta, puntuale, Lamin davanti la Stazione centrale, nella Piazza del Mondo che la sera si accende con la luce di un’umanità variegata, multicolore, calda e vitale. Una luce di speranza e di resistenza in mezzo al deserto.
Ci dirigiamo verso il silos poco distante dalla Piazza. Vedo, davanti a me, una struttura dall’architettura industriale enorme e fatiscente che, però, potrebbe prestarsi ad un intervento importante di ristrutturazione per farlo rivivere come luogo d’incontri, di eventi, di accoglienza. Fantastico e immagino in quel luogo un brulichio festoso e gioioso di gente, quella mescolanza magica che ha dato sempre ossigeno, sviluppo e crescita alle varie popolazioni.
Entriamo e mi colpisce l’enorme distesa di fango, melma, in contrasto con i colori accesi delle tende, dove trovano riparo quei giovani che avevo incontrato la sera prima. Salutiamo e ci soffermiamo a parlare con alcuni loro. Su un muro vedo una grande scritta “LOOK US… ARE WE ARE ANIMALS?”.
I volontari non riescono ad avere aiuti da parte delle istituzioni per trovare alloggi più adeguati. Solo la Caritas e qualche altra associazioni mettono a disposizione per l’accoglienza i pochi alloggi di cui dispongono. Altri migranti hanno cercato riparo al piano superiore, dove si rischia di vedere cadere il pavimento sotto i loro piedi.
Chiedo se li posso fotografare e loro, gentilmente, mi dicono di sì. Vedo un piccolo fuoco acceso e una pentola con un sugo a bollire. Barlumi di calda atmosfera quotidiana di chi è in cerca di una sana routine familiare. Preparano anche delle focacce e una bevanda calda. A terra un cartone con sopra un telo. La tavola è pronta.
Invitano anche me a condividere il pasto con loro. Per me è ancora presto per pranzare, ma bevo, con piacere, la bevanda calda e fumeggiante da loro preparata. Un momento di ristoro e condivisione che vale più di tante parole.
Faccio delle foto per imprimere nella mia memoria frammenti di vita quotidiana che questi giovani riescono a crearsi, con caparbietà, malgrado i pesanti disagi costretti a subire quotidianamente.
È la forza della speranza che spinge questi migranti a lottare, resistere, credere in un diritto innegabile che va al di là delle logiche dei confini e dei pregiudizi: il diritto di vivere lontani dalla fame, dalle violenze, dalle calamità e scegliere un luogo dove li attende una casa sicura, con una calda cucina dove condividere cibo e vita con i propri cari.
Questa è una semplice verità che, a volte, una certa politica miope vuole occultare, preferendo far vedere i migranti, per mera propaganda, una minaccia, per renderli nemici, gente di cui avere paura.
Salutiamo i giovani migranti e lasciamo il silos. Saluto Lamin dandoci appuntamento per la sera nella Piazza Universale. E cosi per una settimana rivedo questi giovani migranti riunirsi in quella piazza non soltanto per un piatto caldo, ma per condividere fra di loro, con i volontari e gente comune, pensieri, storie, speranze e preoccupazioni. Lorena Fornasir continua a curare, sera dopo sera, le ferite di non so quanti piedi È instancabile. Anche il marito Gian Andrea Franchi ha un ruolo importante in questa bellissima testimonianza di Resistenza, insieme ai tanti volontari che provengono da diverse parti dell’Italia. Testimonianza di valori umani, compassione, empatia, condivisione. Valori che colorano le nostre giornate, dando sapore e spessore alle nostre azioni, alle nostre vite.
Sono passati nove mesi. Il ricordo della Piazza del Mondo e delle persone che la animavano e continuano ad animarla è indelebile. Grande la voglia di tornare. So che, probabilmente, non troverò i giovani migranti che ho conosciuto e di cui conservo il ricordo nelle mie foto. Spero abbiano trovato un posto nel mondo. Una parola di gratitudine va a Nicola Cortese che mi ha accompagnato in questa esperienza con grande garbo e gentilezza. Lui ha intrapreso un altro tipo di viaggio. Sono certa che anche lì ha trovato la sua Piazza del Mondo.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Francesca Riggi, vive a Palermo, laureata in lingue e letterature straniere è docente di lingua e letteratura inglese. Esordisce come fotografa da autodidatta e approfondisce i suoi studi tecnici sulla fotografia a Milano negli anni ’90. Ha all’attivo diverse mostre personali. Le sue foto sono state pubblicate sul Catalogo dell’Arte Moderna Mondadori n. 49, nella Collezione di Arte Contemporanea ed. Expo 2015 e nel Catalogo Urban ed. Dort Art 2016. Ha pubblicato un libro fotografico dal titolo Sapore di Gente, Navarra editore, dove emerge la sua attenzione per la grandezza e bellezza della gente, colta nella quotidianità, nel suo “sapore” più autentico. Attenzione che ha rivolto, negli anni, anche a tematiche sociali riguardanti i flussi migratori, l’universo donne, l’uomo nel suo rapporto con la città e l’ambiente in cui vive. Da qualche anni conduce una propria ricerca che utilizza il cortometraggio come strumento per mettere insieme parole, immagini, video suoni. Linguaggi diversi per costruire “ponti comunicativi” più efficaci e umani.
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