di Mario Sarica
Insidiati da un nemico invisibile e mutante che minaccia l’homo sapiens, prendendosi beffa delle difese scientifiche e mediche, e, come si diceva un tempo, di tutti gli antidoti possibili al veleno che ha invaso il nostro quotidiano, dalle mascherine, al distanziamento sociale, ai mirabolanti vaccini, viviamo tutti immersi in un tempo sospeso, dal futuro incerto.
Ed è proprio su questo scenario planetario dalle tinte fosche, funestato anche dagli stravolgimenti climatici e dagli effetti estremi e sconvolgenti, che si manifesta da più parti il bisogno urgente ma confuso di un ritorno al mondo simbolico, «dove sarebbe nascosta quella verità segreta e inaudita – scrive Umberto Galimberti (Parole nomadi, Feltrinelli 2006) – che sfugge all’intelligenza del pensiero concettuale». Incamminarsi lunghi i sentieri della mitologia, della religione, della psicologia del profondo, della cabala, della magia, è possibile trovare «in scrigni ben serrati, di cui solo alcuni detengono le chiavi, quei tesori illuminanti il senso della nostra terra e della nostra vita».
Su questo versante, certamente impervio e cosparso di insidie e trappole, molto ancora ci possono dire le forme culturali di tradizione, quelle in particolare rituali e cerimoniali, che pur nello slittamento di funzioni ed uso, sempre più frammenti alla deriva indecifrabili ai più ci indicano oltre la facciata folklorica più abusata, calchi arcaici, archetipi in grado di disvelarci il linguaggio simbolico, e dunque il profondo dell’universo e dell’uomo. «Squarciando il mistero, ognuno con le forbici che si ritrova tra le mani, si fa luce quell’antica verità che persino la scienza con le sue armature logico-concettuale non può contraddire»
Un lungo e necessario prologo, il mio, per introdurre la cronaca di un contesto cerimoniale siciliano unico nel suo genere, che si affida al fuoco rituale addomesticato, per offrirci tracce di un passato radicato ai segni e ai simboli, capaci di orientare e confortare il faticoso viaggio dell’uomo sulla terra.
Nell’ampio e variegato palinsesto messinese di festività popolari sacre e profane che ricadono nell’area solstiziale invernale, caratterizzate da esemplari forme espressivo-rituali con tracce riferibili, in alcuni casi, a culti agrari precristiani, il Quaddrittu di Saponara si segnala come uno dei più singolari eventi cerimoniali, con elementi rappresentativi esclusivi, che rimanda ad aspetti del culto del fuoco di antica memoria.
Sotto il profilo dei tratti etnoantropologici distintivi e delle dinamiche relazionali attivate, oltreché delle prescrizioni cerimoniali e delle forme comportamentali assunte, l’itinerario processionale del Quaddrittu, ovvero di un’icona dell’Immacolata Concezione, c’è preliminarmente da evidenziare che si colloca in un’area paraliturgica. Esso, più specificamente, si offre come un caso paradigmatico dei rapporti tra le espressioni di religiosità popolare e l’istituzione Chiesa custode delle “regole” per accedere al Sacro. I due diversi livelli di comunicazione con le figure salvifiche, com’è noto, sono stati vissuti spesso in maniera problematica e, non di rado, con aspre contrapposizioni fra istituzione-chiesa e depositari di fede popolare, risolte nel tempo storico di lungo periodo entro le doppie coordinate dello “scontro-distruzione” o dell’ “incontro-integrazione”.
In passato, fino a circa trent’anni-quarant’anni fa, la prerogativa di interpretare e rivivere la rappresentazione di religiosità popolare era riconosciuta in maniera esclusiva ai carbonai, e oggi ai loro figli e ai loro nipoti, che conservano la memoria di questo arcaico lavoro praticato nella fascia boschiva degli aspri contrafforti dei Peloritani, essenziale, peraltro, per generazioni, all’economia di Saponara, centro vallivo di quel territorio sul versante tirrenico.
A dare presunto fondamento storico all’evento rituale soccorre la tradizione orale che narra, in un anno imprecisato della prima metà del Settecento, sotto la Signoria dei Moncada, di una notte di vigilia della festa dell’Immacolata Concezione “violata” da un’azione trasgressiva di cui si rese protagonista un gruppo di carbonai saponaresi. Scesi improvvisamente in gran numero dagli impervi costoni dei Peloritani in paese, i carbonai – casta di lavoratori del bosco rispettata e temuta, per il carattere introverso e rissoso – irrompono con atto sacrilego nello spazio sacro circoscritto dalla chiesa dell’Immacolata per impossessarsi di una piccola icona dell’Immacolata, identificata in dialetto come Quaddrittu.
“Oggetto-totem” della loro plateale quanto risoluta forma di devozione, il Quaddrittu, a prestar fede al racconto popolare, viene portato in processione dai carbonai senza officiante, lungo un estemporaneo quanto turbolento itinerario di fede popolare per le vie del paese rischiarate dalle loro torce, per poi, alle prime luci dell’alba, dopo abbondanti libagioni, restituire l’effige della venerata Madonna al luogo di culto deputato.
La replica simbolica dell’azione di forza dei carbonai, posta all’inizio del cerimoniale, ancora oggi pienamente funzionale, segnalata dai ripetuti colpi assestati sulla porta della chiesa dell’Immacolata, assume dunque un carattere rituale primario, in quanto riafferma l’atto fondante dell’azione e, dunque, la sua piena legittimazione come “segno forte” di una memoria collettiva condivisa, replicata nello spazio atemporale della festa quale elemento costitutivo dell’identità culturale della comunità.
La scelta radicale dei carbonai di porsi fuori dal dominio della Chiesa, per rivendicare un rapporto diretto con il Sacro, e più specificamente per implorare la protezione divina mediata dall’Immacolata, emblematica figura materna e fonte di fecondità, suggerisce una prima riflessione. Assumendo platealmente uno status devozionale ostentato a tutti con le ragioni della forza, si coglie, infatti, nei carbonai il tentativo di rivalsa sociale, e dunque un’occasione unica per affrancarsi, nel breve spazio festivo, da una condizione marginale, al limite dell’isolamento sociale rispetto alle altre componenti della comunità.
Sulla prassi cerimoniale, regolata da una sorta di canovaccio rappresentativo inderogabile, va sottolineato che i profili eversivi del rituale sono tangibilmente espressi dagli attori-carbonai lungo tutto il percorso con l’assunzione di atteggiamenti sostanzialmente ambivalenti e trasgressivi, facendo trasparire a tutto tondo il conflitto più o meno latente con l’istituzione-chiesa.
Sulla “messa in scena” del Quaddrittu c’è ancora da osservare che al gruppo, una dozzina di persone circa, che “reinterpreta” i carbonai con le loro singolari torce dalle minacciose lingue di fuoco che lambiscono, fino a “minacciarla”, la sacra immagine, si contrappone il sacerdote che sostiene con un’asta il quadro dell’Immacolata, surrogando così, fuori dall’ufficialità liturgica, il ruolo di strenuo difensore della Chiesa.
Un plot narrativo, dunque, quello offerto dal Quaddrittu, che palesa una forma figurativa a contrasto ben strutturata sul versante cerimoniale, tra i portatori di luce, da un lato, che fanno convergere dinamicamente le loro torce a stretto contatto con l’immagine venerata, in una tensione fisica palese, scandita dal consumo graduale del fuoco rituale e dal movimento a ritroso di tutto il gruppo, e il sacerdote dall’altro lato, che resiste alla minaccia incombente del fuoco a difesa dell’inviolabilità della venerata effige proiettata in alto per mezzo di un’asta alla quale è fissata.
Sulla singolare tipologia delle torce, uniche nel panorama dei fuochi rituali siciliani, c’è da annotare che ogni anno vengono confezionate nel rispetto di modalità costruttive tradizionali, trasmesse da padre in figlio. Lunghe oltre un metro circa, sono realizzate impiegando piante di lino, appositamente coltivate e lasciate essiccare, e pece greca, “anima ignea”, unitamente ad uno strato di gesso, per il rivestimento finale, che consentirà una lenta combustione. Tali torce si presentano dunque come patrimonio esclusivo dei carbonai di Saponara per le singolari modalità costruttive e il privilegio dell’uso rituale ereditato per via familiare.
Nella rappresentazione cerimoniale della notte del 7 dicembre, vigilia della solenne festa dell’Immacolata, le torce emergono come elementi ignei di grande valenza simbolica e devozionale, oltre che come segni distintivi dei carbonai, che rimandano ad un’antica memoria sacrale e arcaica del fuoco. Nelle fiamme che si liberano dalle torce, oltre la funzione primaria, ovvero quella di filiale segno di devozione, è possibile rintracciarne altre più remote, quale quella magico-propiziatoria, in grado di esorcizzare simbolicamente lo spegnersi temibile della natura stessa, coincidente proprio con la scadenza solstiziale invernale, per favorirne la sua ripresa vitale, assorbita successivamente all’interno di taluni ambiti cristiani devozionali del ciclo natalizio.
Il fuoco delle torce, dalla natura ambivalente, in quanto ha in sé la forza distruttiva ma specularmente anche quella rigeneratrice di vita, emerge, pertanto, come segno linguistico-espressivo doppio e centrale nella forma rappresentativa, denotando una forte carica simbolica. Su un più ampio versante di indagine etnoantropologica l’uso del fuoco nell’evento processionale del Quaddrittu, può essere assimilato ad una duplice chiave di lettura oscillante fra la funzione “purificatrice”, in grado cioè di neutralizzare le negatività patite dalla comunità nel corso dell’anno, e quella cosiddetta “solare”, in grado di far riprendere al sole, dopo le ombre lunghe dell’inverno, il suo corso ascensionale per dispiegare al massimo le sue energie vitali, essenziali e benefiche per la sopravvivenza dell’uomo e dell’ambiente naturale.
Ancora sui singolari rapporti fra fiamme e devozione che emergono dall’azione rituale del Quaddrittu, va osservato che i carbonai detenevano, al confine fra natura e cultura, la conoscenza o meglio il controllo del fuoco, elemento primigenio che unisce in sé la vita e la morte, riuscendo a dominare il suo temibile potere ambivalente – perché distruttivo e purificatorio ad un tempo – fino a trarne le energie positive e gli elementi essenziali dai quali ricavavano contestualmente valori di vita e beni economici.
Su un orizzonte geografico di più vasta portata, vale la pena ricordare che l’articolata strategia rituale del fuoco, variamente connotata e in gran parte funzionale a specifiche devozioni rintracciabili in gran numero, è attiva, sebbene in forme residuali o parafolkloriche, oltre che in maniera significativa sul territorio siciliano, in molte altre aree italiane ed europee. Tema comune, alle diverse tradizioni del fuoco, è – come è noto – l’utopica, ma necessaria rifondazione della società attraverso la ciclica rigenerazione del tempo, coincidente con il morire e il rinascere della natura che, stagionalmente, si colloca tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera.
Ritornando all’osservazione diretta della scena festiva di Saponara, da registrare ancora l’esemplare atteggiamento ambiguo, oscillante tra espressioni di devozione, più o meno esplicite, e segni comportamentali di insofferenza, con latente aggressività, che si va amplificando platealmente verso la fine del percorso processionale, quando gli attori-carbonai si oppongono al rientro del Quaddrittu in chiesa, nel pieno rispetto dei contenuti cerimoniali prescritti dalla tradizione.
A ribadire i sentimenti di fede popolare e l’adesione piena ad un autonomo rapporto con l’Immacolata Concezione, vissuto fuori dal controllo delle gerarchie ecclesiastiche e senza alcun rispetto per le regole liturgiche, giunge poi la reiterata invocazione rituale che si colora anche di un’evidente valenza contestativa, con marcati accenti di rivendicazione sociale, nella temporanea sospensione delle censure sociali: Nun sulu i putenti (o li signuri), ma puru nui dicemu viva Maria.
Un’ulteriore e invadente connotazione sonora giunge poi dalla banda musicale. In assenza di temi obbligati, in un clima di massima libertà espressiva, il complesso strumentale tradizionale, nella coerente logica di un progressivo accumulo di materiali musicali di diversa provenienza culturale, esegue un repertorio che, con molta disinvoltura, dal registro sacro scivola a quello festivo profano, partecipando così, più o meno consapevolmente, al contesto cerimoniale del Quaddrittu caratterizzato da spiccata ambivalenza e pluralità di segni.
Agli interpreti principali del rito, carbonai e sacerdote, nel tempo si è aggregata l’intera comunità, ad attestare l’avvenuta “integrazione” della festa del Quaddrittu nel più ampio ciclo festivo d’inizio dicembre, che celebra, prima, la festa patronale di S. Nicola, il 6 dicembre, e, dopo la trasgressione notturna del Quaddrittu, la solenne processione del simulacro d’argento dell’Immacolata il giorno dopo, l’8 dicembre. Ed è proprio questa festa mariana non solo a restituire la centralità liturgica alla Chiesa locale, che ribadisce ai fedeli e alla comunità tutto il suo indiscusso primato di “fede solare”, censurando così implicitamente l’azione cerimoniale, quasi clandestina e sovversiva, dell’estemporaneo e minaccioso corteo devozionale della notte precedente, ma anche a ristabilire l’ordine sociale con le gerarchie istituzionali civili e religiose, messo in crisi dalla minacciosa azione dei carbonai, ricacciati nel loro incerto spazio al confine fra natura e cultura.
Ancora sugli stretti rapporti fra il Quaddrittu e la comunità di Saponara, emblematica la scelta dell’Amministrazione comunale guidata dall’avv. Leone Saija, che circa venti anni fa, facendosi interprete sensibile di un rinnovato bisogno collettivo di identità culturale, ha fatto collocare sul portone della chiesa dell’Immacolata quattro pannelli in bronzo raffiguranti le scene principali della festa, dando così rilievo anche formale e artistico all’inveterata e trasgressiva devozione dei carbonai nei confronti della venerata e prodigiosa effige dell’Immacolata.
Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).
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