di Paolo Giansiracusa
Il Crocifisso, che il presente studio classifica come bozzetto dell’opera finita conservata al Museo Nazionale di Capodimonte (Napoli), ha la freschezza pittorica tipica degli studi preparatori. La pennellata infatti non indugia nei dettagli ma scorre veloce al fine di modellare l’incarnato anatomico, costruire il panneggio che copre i fianchi del Cristo, creare il fondale che, con bagliori inquietanti, riempie la parte alta del dipinto.
L’impostazione è identica a quella del dipinto partenopeo. La testa del Cristo morto, reclinata e sfuggente all’indietro, non lascia dubbi sulla connessione compositiva rilevabile tra i due dipinti. Parimenti dicasi per il corpo longilineo e affusolato, per il torace stretto e ben tornito, per le gambe in cui la tensione muscolare ha ceduto il posto alla morbidezza della carne. Anche le proporzioni dimensionali tra l’altezza e la larghezza delle due opere fortificano l’ipotesi dello stretto legame e della conseguenzialità esecutiva.
Che il dipinto in esame possa essere un bozzetto preparatorio di Van Dyck si evince dalla celerità esecutiva, dalla pennellata costruttiva che scorre fluida sul supporto telare manchevole della consueta spessa base di imprimitura. A ben guardare si scorge la trama della tela. L’ipotesi del bozzetto, qui sostenuta, esclude che possa trattarsi di una replica dell’artista perché non ha i requisiti tecnici necessari (come ad esempio la pennellata lenta, il segno costruttivo, le velature morbide e i tonalismi provocati dalla luce); esclude altresì che possa trattarsi di una copia dei seguaci del maestro poiché di norma le copie hanno pressappoco le dimensioni dell’archetipo di riferimento. Va detto altresì che nelle copie sia il disegno che il colore, sia l’anatomia che la prospettiva…rispondono ai criteri della bella copia. Tutto deve essere perfettino, pulitino, precisino. Chiaramente non è il nostro caso. Siamo davanti ad un bozzetto eseguito con maestria, inventando in libertà un modello iconografico, senza badare a sbavature o a imprecisioni formali.
La postura strutturale, la forza espressiva
La postura del Nazareno Crocifisso risponde ai criteri di drammaticità espressiva tipici del barocco. Il Cristo è il nodo significativo di un vortice in cui il vento della terra e la tempesta del cielo chiudono il dramma della sua vicenda umana. La Croce sembra affondare sul lato sinistro della tela come ad essere inghiottita dalla luce che avanza dal fondo. Anche il cartiglio con le iniziali di Iesus Nazarenus Rex Iudeorum, sembra avvolgersi e poi strapparsi dentro il vortice della tempesta. Il fondale cupo sembra come incorniciare la figura esile, longilinea, del Cristo, ritagliandone i contorni e conferendogli in tal modo un maggior senso di solitudine. In alto lo squarcio di luce potenzia la forza espressiva dell’opera, consentendo allo sguardo di cercare un luogo di speranza, oltre la “parete” tetra del fondale. Oltre le nuvole, che sembrano ribollire in un sovrapporsi di forme dinamiche, un raggio luminoso proiettato dall’Empireo conforta il Cristo. Egli, secondo la profezia, lascia per sempre il fango del peccato e risorge dentro l’aurora della speranza.
Un altro Crocifisso, con molte affinità, eseguito negli stessi anni
Il bozzetto in esame si inquadra all’interno del vasto numero di Crocifissi e Crocifissioni che Van Dyck eseguì negli anni venti del Seicento. Allo stesso gruppo appartiene anche il Crocifisso del Palazzo Alliata di Villafranca (1624-25), a Palermo, città in cui l’artista fu presente tra la primavera del 1624 e il mese di settembre dell’anno successivo. Anche l’opera di casa Alliata ha molte affinità con il nostro bozzetto. Alcune lievi differenze nella postura della testa e nel modellato del torace, lasciano immaginare tuttavia che esso sia il risultato di una ulteriore evoluzione compositiva raggiunta dell’artista (olio su tela, cm. 101×75). L’opera palermitana, in concomitanza ai recenti restauri, è stata studiata da Pierfrancesco Palazzotto-Mauro Sebastianelli, Anton Van Dyck e il restauro sulla Crocifissione Villafranca di Palermo, Congregazione Sant’Eligio, Museo Diocesano di Palermo 2012.
Il colore
Il colore predominante del bozzetto è caldo; l’artista ha “ricavato” le cromie necessarie della terra e del fuoco. Il racconto della morte e la presenza della tempesta, che ne accompagna il passaggio, non possono che essere tracciati con la matericità dell’ocra e le trasparenze vibranti della luce di un fulmine.
Il corpo del Cristo tende all’olivastro e ciò per la resa realistica della carne spenta dalla morte. Questa scelta cromatica è derivata dai dipinti della maniera tardo rinascimentale. Il lenzuolo avvolgente e il cartiglio rimandano al bianco della purezza “ferito” dalle pieghe o dallo strappo. Niente nel bozzetto è sereno, ogni dettaglio è espressione di drammaticità. Ciò cala l’opera nel cuore dell’espressione barocca dove la violenza dei chiaroscuri e la forza del gesto delineano i caratteri di un nuovo linguaggio artistico.
L’autenticità del bozzetto e la datazione
Il bozzetto in esame va guardato insieme all’archetipo definitivo del Museo Nazionale di Capodimonte, ciò per comprendere la relazione compositiva che c’è tra le due opere. Il bozzetto è l’inizio di un’idea, l’opera definitiva è invece la sostanza di una compiutezza maturata nella fase esecutiva.
L’autenticità è legata alla fluidità del colore, all’assenza di ripensamenti, alla mancanza del supporto di preparazione, alla genuinità espressiva. La datazione dell’opera viene legata al dipinto partenopeo che unanimemente viene assegnato agli anni 1621-25. In considerazione del fatto che il dipinto in esame viene qui considerato bozzetto dell’opera di Capodimonte, la sua esecuzione deve essere calata nello stesso periodo.
Altri Crocifissi dipinti da Anton Van Dyck
Il Crocifisso di Van Dyck, concepito come soggetto sacro destinato alla devozione privata, ebbe molta fortuna, tant’è che l’artista e i suoi seguaci dovettero eseguirne numerose repliche. I Crocifissi che nella struttura compositiva più si avvicinano al nostro dipinto, oltre a quello di Capodimonte, di cui sembra essere il bozzetto preparatorio, e a quello di Palermo, sono i seguenti: Collezione (già) Henry Auguste de Chalvet; Gallerie dell’Accademia, Venezia; Sotheby’s, New York; Chiesa di Notre Dame, Bruges; Collezione (già) Bentinck Thyssen; Museo Filangeri, Napoli; Lourdes (già), Brighton; Collezione Edoardo Dello Siesto, Roma; Chiesa di San Zaccaria, Venezia. Si tratta di opere di piccole e medie dimensioni destinate alla devozione delle famiglie nobili della prima metà del Seicento.
Il momento colto dall’autore è quello suggerito dal Vangelo di Luca (23, 44-46): Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce disse “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò. Il Cristo è raffigurato proprio nel momento in cui rivolge lo sguardo al cielo per ricongiungersi all’Energia creativa dell’Universo. La natura umana, come un involucro non più palpitante di vita, resta inchiodata all’umile legno; la dimensione divina invece si abbandona alla volontà dell’Eterno.
Il Crocifisso e la Riforma Cattolica
La Riforma Cattolica determinò un cambiamento di rotta nei caratteri formali ed espressivi dell’arte sacra. Il Discorso intorno alle immagini sacre del Cardinale Gabriele Paleotti, maturato in seguito alle nuove disposizioni della Chiesa, incise radicalmente in tutte le rappresentazioni riferibili al nuovo e al vecchio testamento, nonché in quelle relative alla devozione per i santi. L’arte della Chiesa controriformata doveva rivolgersi al popolo, doveva emozionare la massa, doveva spingere alla preghiera, alla meditazione, alle buone azioni.
Pertanto, nel caso del Cristo Crocifisso, la croce non regge un Dio assente, estraneo al pianto del popolo. È significativa in tal senso la produzione artistica dei due fraticelli scultori di Petralia Soprana, Umile e Innocenzo, i quali nella prima metà del Seicento dotarono le chiese francescane di immagini tese a raccontare la sofferenza, il dramma, il martirio del Cristo in croce. Gli artisti del Seicento, pronti a seguire il dettato della Riforma Cattolica, popolarono gli altari con immagini terrene, utili a rappresentare in maniera realistica la quotidianità. La pittura abbandonò le forme ideali, il colore terso, la luminosità totale di Raffaello e scelse i propri modelli nel popolo, dando spazio ai chiaroscuri violenti dell’esistenza e al dinamismo delle passioni. Si veda in tal senso la produzione pittorica del Caravaggio.
Le forme non sono più statiche ma vorticose, il colore non è più pulito ma impresso di umanità, gli spazi non sono più luoghi ideali ma attraversamenti di sofferenza. Il messaggio della Chiesa rinnovata fu compreso e accettato anche dagli artisti fiamminghi che operarono per lungo tempo in Italia. Peter Paul Rubens e Anton Van Dyck furono infatti tra i maggiori artefici del nuovo indirizzo espressivo. Eliminando le ferite, i sanguinamenti e le tumefazioni tanto cari agli artisti di ispirazione francescana, senza rinunziare alla resa realistica, rappresentarono il dramma del Cristo evitando di eccedere nel sensazionalismo formale. I Crocifissi dipinti da Van Dyck sono pertanto espressione di un realismo che invita alla preghiera, alla meditazione e al pentimento.
Buona parte delle numerose versioni del suo Crocifisso fu destinata alla devozione domestica, agli spazi della preghiera dei nobili del tempo. Se il popolo del Seicento poteva piangere e pentirsi ai piedi dei Crocifissi lignei sanguinanti collocati negli altari delle chiese, i nobili potevano riflettere e pregare davanti alle piccole tele di Van Dyck in cui il Cristo, abbandonando il luogo terreno cerca il cielo dell’Empireo verso il quale ognuno vuole procedere.
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
Riferimenti bibliografici
La bibliografia riguardante l’attività artistica di Van Dyck è vastissima. Il presente studio, teso a comprendere la qualità e l’autenticità dell’opera in esame, ne omette l’inserimento. Tuttavia vengono segnalate pubblicazioni utili a rintracciare i riferimenti bibliografici del testo.
Erik Larsen, L’opera completa di Van Dyck (1613-1626), Milano 1980. Sono pertinenti all’argomento trattato le schede 377-378-379-380-381:112-113.
Pierfrancesco Palazzotto-Mauro Sebastianelli, Anton Van Dyck e il restauro sulla Crocifissione Villafranca di Palermo, Congregazione Sant’Eligio, Museo Diocesano di Palermo 2012.
S.J. Barnes, N. De Poorter, O.Millar, H. Vey, Van Dyck. A Complete Catalogue of the Painting, New Haven, Londra 2004.
Paolo Giansiracusa, Giovanni Pintorno (Fr. Umile da Petralia Soprana) e la ricerca anatomica nel Seicento, in Quaderni del Mediterraneo, n.14: 389-409, Siracusa 2014.
Paolo Giansiracusa, La scoperta di un Crocifisso inedito di Fr. Innocenzo da Petralia, in Quaderni del Mediterraneo, n.15: 261-270, Siracusa 2016.
Gabriele Paleotti (Card.), Discorso intorno alle immagini sacre et profane diviso in cinque libri, Bologna 1582.
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Paolo Giansiracusa, Storico dell’arte, Professore Emerito Ordinario di Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti. Già Docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania. Componente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa-Roma. Direttore del M.A.C.T. Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea di Troina. Fondatore e Direttore della Rivista Nazionale “Quaderni del Mediterraneo”.
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