di Silvia Mazzucchelli [*]
Una donna tiene sospeso tra le dita un groviglio di fili di lana. Ricorda un grosso insetto senza testa, sembra che abbia la coda di uno scorpione. Evoca un corpo estraneo che ricorda però qualcosa di viscerale, un oggetto che attrae e spaventa. Lo osserva tenendolo a distanza, come un essere pericoloso che è stato finalmente reso innocuo. La stessa donna, in un’altra foto, mostra una piccola spirale di piume arrotolate. Sembra una galassia in miniatura, un nido entro cui possono proliferare strane creature, un minuscolo vortice in cui sprofondare.
La donna che Gloria Lunel ha fotografato, che abita a Adro, in provincia di Brescia, esibisce grumi di lana o di piume trovati nei materassi: sono le prove di malefici tentati o consumati a danno di persone ignare. Su un materasso si nasce, si fa l’amore, si muore: è il posto dove si giace senza difese, il luogo dove si può concentrare e sintetizzare tutto il ciclo dell’esistenza. Il materasso diventa un osservatorio privilegiato di un’etnografia perduta.
Questa donna e queste foto mi hanno colpita e mi hanno spinta a ricordare le storie che ho udito nella mia infanzia, soprattutto da una delle mie nonne, quella più aperta verso i saperi occulti o sovrannaturali. In un attimo mi sono resa conto che un mondo, durato millenni, è andato irrimediabilmente perduto nel corso di pochi decenni. L’impetuoso sviluppo economico non ha trasformato solamente le strutture sociali, ha cancellato e ha sovrascritto sulla memoria di quanto esisteva prima, e questo specialmente in alcune regioni, come la Lombardia.
A fare da argine e muro a questo oblio c’è, per fortuna, la riscoperta di fotografe come Gloria Lunel, il cui lavoro è parzialmente visibile presso l’archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia, disponibile on line all’indirizzo https://www.aess.regione.lombardia.it/.
Ci sono ben 5420 scatti che testimoniano, anche se in maniera sin troppo semplice (per ciascuna foto mancano le necessarie indicazioni di data e luogo), l’enorme impegno della fotografa nel documentare pressoché ogni angolo visuale della vita quotidiana, specialmente negli ambiti che più felicemente si intrecciano con gli interessi antropologici: il lavoro, la festa, la vita quotidiana.
Sarebbe un errore, tuttavia, misurare la sua attività di fotografa sulla quantità dei versamenti presenti sull’Archivio digitale. Gloria Lunel è stata una professionista che per oltre mezzo secolo ha attraversato con facilità e prontezza di spirito ogni frontiera, fisica e culturale, cercando di far proprie e di comunicare le vive sensazioni di un rapporto con l’altro.
A muoverla sono le doti innate di curiosità e irrequietezza, più che le commissioni di lavoro da parte di importanti testate. Nel 1977, ad esempio, parte con tre amici per seguire le orme di Alessandro Magno, 36.000 km in camper, a partire da Pella, antica città della Grecia dove Alessandro nacque, attraverso tutto il Medio Oriente: Turchia, Iraq, Iran, fino in Afghanistan dove il viaggio si interrompe per un danno irreparabile al camper. Il reportage Sulle orme di Alessandro Magno viene pubblicato in diverse puntate su Storia Illustrata.
Prima di approdare alla fotografia, Gloria Lunel deve però affrontare diverse altre esperienze. Si potrebbe dire che è figlia d’arte: suo padre Aldo, classe 1888, era fotografo e cineoperatore. Prima di trasferirsi a Torino, nel 1938, aveva lavorato in importanti studi a Padova e Bologna. Le sue fotografie erano state pubblicate sulla Rivista Internazionale illustrata. La fotografia artistica, una pubblicazione italo-francese, e sulla Storia d’Italia di Einaudi. Nella città sabauda aveva lavorato per lo studio fotografico Mangini, dove si facevano ritrarre i più importanti attori di cinema e teatro dell’epoca.
Forse è questo il motivo per cui Gloria, nata il 17 maggio 1927, irrequieta e ribelle, dopo la fine della guerra, decide di emulare quei personaggi e fare l’attrice. Nel 1948 si reca a Roma, si iscrive all’Accademia d’arte drammatica diretta da Silvio D’Amico, ma qualcosa va storto, e decide di abbandonare la carriera nel teatro. Non torna a Torino e per mantenersi fa l’annunciatrice alla RAI, dove conosce il futuro marito, il pittore Claudio Astrologo, da cui si separa nel 1951, ad un anno dalla nascita della figlia Dunia.
Negli stessi anni torna al cinema, questa volta come segretaria di produzione in L’amore in città (1953), un film ad episodi, diretto fra gli altri da Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Alberto Lattuada e e Cesare Zavattini. Mentre lavora nel cinema, si fa strada in lei la passione per il giornalismo, che aveva già sperimentato scrivendo per Noi Donne. Interessata alla cronaca, inizia a lavorare per Paese Sera e qui realizza anche le fotografie a corredo dei suoi articoli.
Nel 1958 si trasferisce a Milano su consiglio di Dora Pescetti, un’amica pittrice che la presenta a un familiare, dirigente dell’azienda farmaceutica Farmitalia, per un lavoro di fotografa. Abituata a muoversi con disinvoltura in diversi settori, e forte delle esperienze acquisite, la Lunel non si limita a fotografare il prodotto, ma crea delle ambientazioni ispirate alle nature morte di Caravaggio e Morandi, inserendo i prodotti in antiche botteghe, amalgamando tradizione e innovazione, artigianato e industria.
Fotografa arrosti e lasagne per i fascicoli di cucina di Lisa Biondi, automobili della Fiat per Quattroruote, ma alla ben remunerata fotografia pubblicitaria affianca il reportage. Nel 1963 si reca a documentare il disastro del Vajont, nel 1966 l’alluvione di Firenze e nel 1968 il terremoto del Belice, occasione in cui a Partinico intervista Danilo Dolci. Nel 1975 è a Milano a documentare i funerali di Giannino Zibecchi.
Ormai è lei stessa a decidere i temi da trattare, ne scrive i testi e produce le immagini per costruire racconti. Li propone ad editori come Franco Maria Ricci, a riviste prestigiose come l’Illustrazione Italiana, periodici di viaggi come Italia Bella, Atlante, Qui Touring, National Geographic. Per Fabbri Editori va in Urss a fotografare i luoghi di grandi scrittori come Tolstoj, Puskin, Dostoevskij. Negli anni in cui la Germania è divisa dal muro di Berlino, per Rizzoli, realizza una documentazione fotografica sulla storia della Germania e della sua musica.
Percorre in lungo e in largo l’Europa, il Nord Africa, l’estremo Oriente, il Vietnam che sta risorgendo rapidamente dopo la guerra, il Laos, il Brasile. Per due mesi attraversa gli Stati Uniti allo scopo di descrivere i luoghi raccontati dai più noti scrittori di polizieschi: la New York di Rex Stout, la Los Angeles di Raymond Chandler, la San Francisco di S.D. Hammet, la Nantucket di E.A. Poe.
Sembra incredibile che una sola persona abbia potuto fare così tante esperienze, ma ancora più incredibile è che, a distanza di dieci anni dalla morte, avvenuta il 17 agosto 2013, non sia stata pubblicata una biografia degna di questo nome, o che non risultino, al momento, iniziative che restituiscano merito e dignità alla sua figura.
La Lunel è una giramondo, ma non scorda mai di essere nata in Italia. Trasferitasi da Roma a Milano negli anni del boom economico, quelli in cui la città meneghina era il centro nevralgico dell’editoria e della fotografia, grata di godere delle possibilità che si aprivano alle nuove generazioni di fotografi, che al Jamaica si incontravano per condividere esperienze e passioni, elegge la Lombardia a luogo di autentica affezione.
Una regione che la Lunel avverte come l’avamposto di un cambiamento irreversibile, l’inizio della fine di una società, di una cultura, in una sola parola di una civiltà contadina. Con la consapevolezza e la lucidità di un intellettuale come Pasolini, Gloria Lunel tira fuori le sue fotocamere e, prima che sia troppo tardi, percorre e ripercorre uno spazio segnato dalla dimensione di un’umanità che soggiace alle leggi della natura, ancora incapace di dichiararsene orgogliosamente sottratta. Il grumo di lana o di piume ritrovato dentro il materasso era l’ammissione ingenua ed esplicita che non tutto si può spiegare in termini di razionale allocazione di risorse, che l’individualismo dell’impresa può premiare il profitto, ma può rendere l’uomo orfano di una comunità.
La fotografia di Gloria Lunel è sociale. Non fa ritratti, non isola gli individui se non quando vuole mostrare la tristezza di un anziano del Pio Albergo Trivulzio, la difficoltà di un immigrato, la solitudine di un marginale. Preferisce di gran lunga i reportage delle festività di un calendario fondato su feste laiche e liturgie religiose, a loro volta innestate sui cicli naturali.
Come aveva fatto Paola Agosti, con Immagine del mondo dei vinti (1979) e Il destino era già lì (2015) ispirato ai libri di Nuto Revelli sul mondo contadino dell’Alta Langa, che rivelavano una realtà di emarginazione alle porte di Torino, anche la Lunel si allontana dal perimetro urbano di una Milano che adesso è da costruire, poi sarà da bere e poi ancora da derubare, per spingersi in aperta campagna e rivelare un mondo legato alla terra e al ciclo delle stagioni.
Emerge in queste fotografie un interesse, una vicinanza, un’empatia verso l’uomo, il suo lavoro, il prodotto della terra, il rapporto tra i luoghi e le attività di chi ha vissuto in quei luoghi. Le fotografie dedicate al mondo del lavoro non sono la celebrazione della produttività o del genio meneghino. Anche nella loro più semplice espressione, come le sardine messe ad essiccare al sole, evocano un processo che coinvolge tanti soggetti, tutti protagonisti.
Le mondine, sguardi complici, divertite e divertenti ad onta della fatica e delle dure condizioni di lavoro, esprimono una condivisione di sentimenti che crea solidarietà. Le numerosissime serie dedicate al carnevale sono un ultimo estremo omaggio ad una coralità di espressioni di maschere, eterni tipi umani non ancora costretti dentro teatri con annessa biglietteria.
Mentre, gli ex voto, espressione di un’arte e un’iconografia popolare sono «le istantanee di un eccezionale reportage comparativo sulle condizioni di vita delle comunità rurali del piano e del monte o delle collettività cittadine», come scrive Elio Bertolina. Un importante lascito di Gloria Lunel è dato da due volumi fotografici apparsi verso il 1977 con testi di Roberto Leydi, Vittorio Fagone, Alberto Fumagalli, Italo Sordi e Roberto Togni.
L’altra Lombardia, e ancor più, Lunario lombardo, costituiscono un corpus documentario che sorprende perché, a dispetto di una prospettiva ideologicamente distorta e storicamente errata, riporta la società lombarda, in particolare quella di matrice contadina, nel solco e si direbbe nel cuore delle strutture comunitarie preindustriali, con una voce che si esprime all’unisono con quelle, certamente più scandagliate e note, del resto del Paese.
In questi volumi Lombardia e Mediterraneo cessano di essere un accostamento inconsueto e stridente. Se la prima evoca brume, freddo e fervore produttivo e il secondo sole, calore e torpore, alla luce dei reportage della Lunel ritornano ad essere due variabili di un medesimo universo antropologico, quello di una umanità che si muove in un eterno ciclo naturale dove essere e divenire si trasfigurano continuamente.
Se la Lunel, in modo chiaro e disambiguo come la fotografia può fare, ci mostra una Lombardia non dissimile dal Salento di de Martino o dalla Sardegna di Alberto Cirese, il suo ruolo è, finalmente, di fare da traghettatrice di un immaginario della Lombardia sottratto agli annali dell’industria e dei primati economici, finalmente restituito nel novero della sua matrice contadina.
E se il Mediterraneo è un mare da attraversare per poter conoscere e confrontarsi con l’altro, per poter offrire e scambiare beni ed esperienze, la Lombardia è esprimibile negli stessi termini, fatta salva la differenza che di acqua dolce si tratta. La Lombardia è una distesa d’acqua, visibile come il vasto sistema lacustre o i grandi e piccoli fiumi fino ai ruscelli montani; il più delle volte invisibile, come la rete delle falde acquifere, ovunque disponibili, nelle forme delle risorgive e dei fontanili. L’acqua, che ovunque è principio vitale, fluido generativo, idea stessa di ogni dinamica, per la Lombardia, rurale o urbana che sia, è elemento costituivo, capace di descriverla e rappresentarla, come i sistemi circolatori sanguigno e linfatico stanno al corpo umano.
Gloria Lunel compie un viaggio attraverso la Lombardia nel tempo e nello spazio, e per farlo deve interiorizzare e valorizzare questo elemento liquido che, ancor prima che fisico, è fatto di fluidità di discorso fotografico, di capacità mimetica, di sapersi muovere da un campo ad una cascina, da un mercato ad una festa, da un interno ad una panoramica, da un ritratto alle vestigia protoindustriali.
Nell’individuare le qualità peculiari dello sguardo fotografico della Lunel, la difficoltà sta proprio nell’intima commistione del suo lavoro con l’importanza disvelatrice dell’inchiesta, della ricerca e della riflessione antropologica. È come se, a differenza di tante sue colleghe e colleghi, questa donna abbia fatto la scelta di non assecondare sofisticate scelte autoriali a favore di una funzione documentaria che, a posteriori, si può apprezzare di portata sociale e storica.
La Lunel ha attraversato la Lombardia di innumerevoli monumenti per farne, secondo le ipotesi di Jacques Le Goff, un preciso corpo di documenti da offrire alla nostra analisi e riflessione. Davanti agli sguardi assenti e ostili di una moltitudine-solitudine in un vagone della metropolitana è così possibile contrapporre la coralità dello sforzo umano nel lavoro e quella dei gesti liberatori e dissacratori del Carnevale.
Dentro il mito accattivante e falso di una fisicità inossidabile, le fotografie insinuano la presenza della morte, della consapevolezza del decadimento e della continua trasformazione. Una stampa popolare del santuario di Caravaggio, come tanti altri fondato sull’acqua come elemento salvifico, terapeutico e lustrale, ricorda che i convicini cittadini di Treviglio, per aver deriso la festa e il culto della Beata Vergine, il 26 maggio 1492, furono oggetto di flagello tremendissimo. L’elemento cultuale qui funge da catalizzatore di una identità comunitaria, e non deve far sorridere che una divinità permalosa possa discriminare o addirittura punire persone distanti tra loro pochi chilometri, se ogni giorno si è costretti ad assistere a conflitti di ben altre dimensioni e con ben altri devastanti effetti.
Una lezione dal passato anche dal rapporto con la sfera del sacro. Elio Bertolina, in chiusura del volume L’altra Lombardia, fornisce un sapido saggio sull’iconografia di san Cristoforo, santo celebrato in particolare per la protezione dei viaggiatori, trasfigurazione e attualizzazione cristiana di antiche figure psicopompe. Tra queste viene subito in mente Caronte, la figura che attraversa continuamente le acque accompagnando le anime da una sponda all’altra. E non è forse questo il ruolo che la Lunel si assume nel condurci da un posto all’altro e da un’epoca all’altra di questa terra che poggia sull’acqua?
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
[*] L’Autrice ringrazia Dunia Astrologo, figlia di Gloria Lunel, per averla aiutata a ricostruire una prima attendibile biografia di sua madre. Si pubblicano le foto per gentile concessione di Dunia Astrologo e dell’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia.
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