di Giuliano Mion
Parole e concetti riescono a compiere dei viaggi lunghi con modalità talvolta misteriose. Rintracciare l’etimologia delle nostre parole non è certo un gioco da ragazzi, perché tanti dei vocaboli che adoperiamo mille volte al giorno hanno origini spesso inattese.
Fino a qualche anno accademico fa, durante la prima o la seconda lezione dei miei corsi di lingua e letteratura araba, tormentavo le mie matricole con un breve quiz di cultura arabistica generale. Fra le varie domande, inserivo puntualmente la seguente: “Quale di queste quattro parole è di origine araba? Turbante; basilico; cacao; ragazzo”.
Se qualche volta strani quanto imperscrutabili ragionamenti portavano i miei baldi studenti a optare per “basilico” (che proviene dal greco!) o “cacao” (di lontane origini azteche), tuttavia il termine che riceveva il favore dei più era “turbante”: è evidente che il tipico copricapo beduino doveva essere, agli occhi della maggioranza, un arabismo. Mai nessuno, invece, sospettava che la risposta corretta fosse “ragazzo”. Perché proprio “ragazzo”?
Dopo lunghi anni di riflessioni scientifiche, che varrebbe la pena ripercorrere nelle dotte sintesi di Giovan Battista Pellegrini [1], gli etimologisti sono giunti, non senza difficoltà e malgrado certi scetticismi, a individuare in questa parola una insospettabile origine araba.
In effetti, la via più semplice per l’arrivo di questo arabismo deve essere stata quella dell’arabo dialettale maghrebino e la zona di transito privilegiata, verosimilmente, la Sicilia.
L’origine sarebbe il termine raqqāṣ. Ora, se consultiamo un qualsiasi dizionario di arabo moderno, scopriamo che il termine significa essenzialmente “ballerino”, sostantivo derivato dal verbo “ballare, danzare”. Il problema è che un buon ballerino è una persona agile, dai muscoli saldi e movimenti rapidi. Se il nostro raqqāṣ è anche di giovane età, sarà ancora più agile: una condizione fisica ideale, insomma, perché il raqqāṣ sia presto impiegato come fattorino. Come sarebbe arrivato in italiano il termine? Semplice: in qualche dialetto maghrebino, la parola veniva realizzata con la variante fonetica raggāṣ e da lì a “ragazzo” il passo è breve.
Ma sappiamo bene che non sempre ci serviamo di “ragazzo” nei tanti dialetti italiani. E qui mi si permetta una brevissima digressione personale.
Nel corso di una missione nel 2018 alla biblioteca dell’Institut du Monde Arabe di Parigi, ho avuto modo di sfogliare l’ennesimo dizionario etimologico arabo-francese che da poco era stato pubblicato in un Paese del Vicino Oriente, un’opera non priva di numerose ingenuità metodologiche, che riportava una etimologia molto nota: l’arabo bardaǧ sarebbe all’origine del francese bardache ~ bardaiche.
Sulla costa abruzzese è frequente ascoltare lu bardascə “il bambino” e al plurale, per metafonesi, li bardiscə “i bambini”. È difficile stabilire i confini netti di questa isoglossa lessicale in area abruzzese, giacché il termine non è utilizzato ovunque: nel pescarese è di regola bardascə, pur concorrenziato da uaglionə (quest’ultimo a designare una fase già preadolescenziale o adolescenziale) e citələ (quest’ultimo, termine che viaggia lontano, visto che lo ritroviamo anche in còrso con zitellu, una variante che ne favorisce il riallineamento alla sua origine), ma nel teramano, per esempio, la fa da padrone frichinə, e ancora nel chietino-aquilano quatranə. Sorvolo le numerose varianti fonetiche locali [2].
Per via di mia storia personale queste righe possono sembrare precipuamente “abruzzocentriche”, ma è bene riconoscere sin da subito che bardascə non è esclusivo dell’Abruzzo adriatico, poiché ricorre in tutta Italia. Vediamo così riaffiorare il tema un po’ ovunque, con vesti fonetiche varie, come bardascio/vardascio (Marche), bardasciu (Umbria), bardassa (a Zagarolo, nel Lazio, ma anche Lombardia e Piemonte), bardasson e bardassa (Piemonte), bardassel (Friuli), bardasciu e bardascia (Sicilia)[3], e via dicendo.
Nel più dei casi, il termine mantiene un significato neutro di “ragazzo, giovane”, mentre in una cerchia più ristretta adduce connotazioni più specifiche, non di rado sessualmente orientate. Va segnalato altresì che il GDLI (Vol. II) riporta bardasso e bardascio (s.v. bardassa) con il significato di “ragazzetto” rubricandolo come «dial.» [4], mentre dal DeM la voce bardasso è ritenuta «obsoleta e di uso letterario» [5].
Fra i lettori di queste righe, qualcuno si meraviglierà del fatto che la voce risulti di uso letterario, ma tant’è: si pensi che la variante più arcaica è bardacco, presente nei Sonetti lussuriosi (XX: 12) di Pietro Aretino (1492-1556). Il termine, in realtà, travalica i confini italiani. In francese è ormai cristallizzato bardache, parola atta a designare un giovane omosessuale passivo, attestato già dal 1537 con bredaiche e dal 1552 con bredache. Il francese odierno del Canada (il québécois) documenta peraltro berdache e berdoche, ma si riferisce ai transgender amerindiani [6].
Se ci trasferiamo nella Penisola Iberica, troviamo le voci castigliane bardaxa e bardaje, nonché il catalano bardaix e il portoghese bardacha. Infine, l’inglese dispone di bardash.
Secondo la spiegazione più accreditata, l’origine del termine andrebbe ricondotta al persiano bardag-/bardah “prigioniero di guerra” poi passato all’arabo bardaǧ con il senso generale di “giovane schiavo”. Di qui, intorno al XV secolo, il termine arabo sarebbe arrivato in Italia, dove si sarebbe acclimatato, per poi diffondersi nel resto dell’Europa.
Questa etimologia arabo-persiana viene regolarmente riproposta, ma il tutto avviene sulla falsariga dell’ipotesi che per la prima volta venne avanzata dal grande romanista tedesco Friedrich Christian Diez (1794-1876). A onor del vero, però, il Diez propose sì bardaǧ come origine, ma guarnì prudentemente la sua interpretazione con un emblematico «?», accompagnando alla sua spiegazione un rimando a «Golius p. 253» [7]. Questo rimando si riferiva al dizionario che nel 1653 pubblicò l’orientalista neerlandese Jacob Golius [8] che per bardaǧ dava «servus, mancipium»[9].
In tutta questa ricostruzione, tuttavia, v’è una falla bella e buona.
Nessun dizionario di arabo dialettale, la varietà di lingua che a rigor di logica avrebbe dovuto veicolare un arabismo colloquiale, dà conto dell’esistenza di bardaǧ. E in nessun dialetto maghrebino contemporaneo, a quanto mi risulta, il termine è sopravvissuto. Alla mia richiesta di delucidazioni, per esempio, una informatrice marocchina residente in Italia mi suggeriva fulmineamente il termine bərġūš “ragazzino”: il termine è assente nel Dictionnaire Colin di arabo marocchino [10], ma una ricerca anche superficiale di <برغوش> su Google restituisce una esemplificazione piuttosto ricca. L’unico appiglio bibliografico consiste nel dizionario di arabo marocchino di De Prémare che ha rubricato <bəṛgāuš> (vol I: 205) come “n.coll. [pêcheurs des Chiadma; zool.] bigorneau; générique pour tous les petits gastéropodes marins [voir également babbūš, bīgọ̄rnō]” [11]. Una certa assonanza tra bərġūš e bardascə indubbiamente esiste, ma diventa arduo stabilire un collegamento fra i due termini o fra questi e l’originario bardaǧ. E vista anche la frequentazione con l’Abruzzo che caratterizzava la mia informatrice marocchina, credo che in questo caso si debba parlare esclusivamente di somiglianza, e non di imparentamento.
Ma neanche i dizionari di arabo classico ci vengono in soccorso, perché se andiamo indietro nel tempo e volgiamo l’attenzione all’antico Lisān al-‘arab (“La lingua degli Arabi”) compilato da Ibn Manẓūr nel XIII secolo, scopriamo che bardaǧ risulta essere un termine registrato a partire da una sola sua occorrenza in una sola (!) poesia di al-‘Aǧǧāǧ, un poeta minore vissuto fra il VII e l’VIII secolo, e il cui significato rimaneva oscuro per gli stessi lessicografi arabi. Che fare?
Uno studio meticoloso di Michel Masson ha scardinato completamente l’impianto tradizionale di questo bardaǧ, proponendo invece di guardare alla sequenza consonantica BRD come un fonosimbolismo presente, a macchia di leopardo, un po’ in tutta l’area galloromanza, iberica e italica [12].
Insomma, l’etimologia è un gioco da ragazzi… mica tanto!
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Note
[1] Mi riferisco a G.B. Pellegrini, 1972, Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia, Brescia, Paideia.
[2] Per riferimenti più puntuali, si rinvia a E. Giammarco, 1968, Dizionario abruzzese-molisano, Roma, Edizioni dell’Ateneo.
[3] In Sicilia, in particolare, con valenza spregiativa di “persona volubile, inaffidabile” per un uomo, e di “poco di buono, volgare” per una donna. Devo questa segnalazione alla cortesia di Antonino Cusumano.
[4] GDLI = Battaglia, Salvatore, 1961-2004, Grande dizionario della lingua italiana, 21 voll. + Supplemento + Ronco, G. (a c. di), Indice degli autori citati, Torino, Utet.
[5] DeM = De Mauro, Tullio, 2000, Dizionario della lingua italiana, Milano, Paravia.
[6] Si veda in proposito R. Conner, 1997, “Les Molles et les chausses. Mapping the Isle of Hermaphrodites in Premodern France”, in Livia, A. & Hall, K. (eds.), 1997, Queerly Phrased. Language, Gender, and Sexuality, Oxford, Oxford University Press: 127-146.
[7] F. Diez, 1854, Etymologisches Worterbuch der romanischen Sprachen, Bonn, Marcus, in particolare: 42.
[8] Per la cui biografia, si può consultare de J.Th.P. de Bruijn, 2001, “Golius, Jacobus”, Encyclopædia Iranica, Vol. XI/1, 96, edizione online http://www.iranicaonline.org/articles/golius.
[9] J. Golius, 1653, Lexicon Arabico-Latinum, Leiden, Elsevier : 253.
[10] Dictionnaire Colin = Z. Iraqui Sinaceur (s.l.d.d.), 1994, Le Dictionnaire Colin d’Arabe Dialectal Marocain, 8 voll., Rabat, Editions Al Manahil – Ministère des Affaires Culturelles.
[11] A.-L. de Prémare, 1993-99, Dictionnaire arabe-français. 12 voll. Paris, L’Harmattan, Vol. I : 205.
[12] Masson, Michel, 2015, “Barda, bardache et bredindin. La «base» BRD dans les langues romanes”, La Linguistique, 51: 41-88.
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Giuliano Mion è professore di lingua e letteratura araba presso l’Università di Cagliari. Si occupa in particolare di linguistica e dialettologia araba ed è autore di numerose pubblicazioni, fra le quali: Sociofonologia dell’arabo. Dalla ricerca empirica al riconoscimento del parlante (2010), Corso di arabo contemporaneo (2010, con O. Durand e A.D. Langone), L’arabo parlato ad Amman. Varietà tradizionali e standardizzate (2012), La lingua araba (2016, nuova edizione).
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