di Marcello Vigli
L’elezione di un cattolico alla Presidenza della Repubblica non è certo una novità, ma nei commenti dopo l’elezione di Sergio Mattarella è riemerso l’interrogativo se sarà anche un Presidente “cattolico”. A dire il vero il nuovo quotidiano “La Croce”, che nel suo primo numero in edicola il 13 gennaio aveva già anticipato Serve un presidente cristiano, il giorno dopo la sua elezione per la penna del suo direttore ha annunciato: «Il 31 gennaio un presidente cristiano è stato eletto». Questo direttore è l’ex deputato del Pd Mario Adinolfi che, a chi, criticandolo, gli ha chiesto ragione della scelta del titolo del giornale, ha risposto polemicamente dichiarando di aver avuto a mente «la nostra radice cristiana, l’ispirazione che deriva dalla Persona che a quella croce è appesa, perché quello è il segno che duemila anni fa libera l’uomo dalla schiavitù e indietro noi non vogliamo tornare». In verità il giornale, che si qualifica pro-life perché programmaticamente impegnato a sostenere la difesa e la promozione della concezione cattolica della famiglia, nasce per dar voce a quei settori del mondo cattolico che, senza ammetterlo apertamente, non si riconoscono nel nuovo corso aperto da papa Francesco. Non si propone come “secondo giornale” ma come sostitutivo di ogni altro «per non farsi avvelenare dalla continua propaganda a favore dei falsi miti di progresso, attuata distorcendo fatti e notizie». Illuminanti le parole pubblicate sul suo sito alla vigilia della prima uscita in edicola: «A Megjugorie hanno fatto dire una messa per il nostro giornale. Emozionati e grati chiediamo di nuovo per il quotidiano che dal 13 gennaio sarà in edicola le vostre preghiere e la protezione di Maria».
Questa presentazione permette di meglio intendere il tono soddisfatto, ma preoccupato, con cui il direttore accompagna sul giornale la comunicazione della scelta di Mattarella come dodicesimo Presidente della Repubblica. «A qualcuno Mattarella non piace perché oltre ad essere cristiano è democristiano o perché ha militato nell’ala sinistra di quel partito o perché è “dossettiano”. Cretinate ideologiche, appunto. Mattarella è un presidente cristiano e per noi combattenti, consci che il 2015 sarà l’anno decisivo della battaglia per la difesa della cultura della vita e della famiglia». Aggiunge che avrebbe preferito qualcuno che meglio rappresentasse i cattolici apertamente schierati e pronti a battersi «per la cultura della vita. Ma in politica si ragiona sulle soluzioni possibili nelle condizioni date». Dato che attualmente, a suo avviso, le condizioni non sono favorevoli a tutelare l’Italia da un’offensiva che punta a varare le norme sull’eutanasia, sulle unioni gay e sulla legittimazione dell’utero in affitto, ricorda agli integralisti, preoccupati per i trascorsi dossettiani del neo Presidente, che pur non essendo la soluzione ottimale è la migliore possibile.
In verità non è dato sapere che cosa farà Mattarella/Presidente quando su tali questioni gli verranno presentate leggi o decreti da promulgare, è certo però che il Mattarella/cittadino si è pronunciato contro il referendum promosso dal cardinale Ruini per abrogare la legge 40 e che a caratterizzare l’inizio del suo mandato presidenziale ci sono: l’omaggio alle Fosse Ardeatine, la memoria delle vittime della foibe alla Camera e il ricordo, nel suo esordio alla guida del Csm, di Vittorio Bachelet, il giurista assassinato dalle Brigate rosse. Sono segni di attenzione verso le vittime di tutti i fondamentalismi, politici e culturali, che mettono a rischio l’ordine democratico, come il terrorismo di diversa matrice.
Si può anche aggiungere che nel discorso programmatico in Parlamento di quelle questioni non ha fatto cenno, ha solo inserito la famiglia fra i settori di cui occuparsi in una prospettiva di adeguamento quotidiano della vita sociale al dettato costituzionale. Di questo si è presentato come arbitro impegnato a garantire che le sue regole siano applicate giorno per giorno da tutti gli organi dello Stato nella consapevolezza che «la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione». Garantire la Costituzione significa infatti: «garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi; riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro; promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza; ripudiare la guerra e promuovere la pace; garantire i diritti dei malati e dei disabili; che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale; ottenere giustizia in tempi rapidi; che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni; sostenere la famiglia; garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione; ricordare la Resistenza; affermare e diffondere un senso forte della legalità».
Dalla gerarchia di tali questioni da lui proposta emerge una scala di valori ben diversa da quella imposta da Ruini e confermata dalla Cei come discriminante per i cattolici impegnati in politica. Non sono infatti i valori da loro sistematicamente proclamati non rinunciabili: «la difesa del diritto alla vita, la salvaguardia dei diritti dell’embrione umano, la protezione della famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra uomo e donna, la libertà di educazione», nei confronti dei quali per un cattolico «la mediazione come espressione della prudenza, dell’equilibrio e della saggezza non può trasformarsi in negoziazione o compromesso». Ad essi non ci sono riferimenti, nel discorso del neo Presidente, né ce ne sono ai rapporti Stato/Chiesa e alle pratiche clericoconsociative, che negli ultimi decenni hanno interferito con la politica italiana. Solo, parlando della corruzione, ha citato papa Francesco, «che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, per le sue parole severe contro i corrotti: Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini».
Analoga sintonia con l’impegno del papa contro le ingiustizie sociali, ha rivelato nel saluto inviato in occasione dell’iniziativa “Le idee di Expò” organizzata a Milano dal Ministero delle politiche agricole e forestali per presentare le sue tematiche. «Indispensabile l’adozione di un nuovo modello di sviluppo che modifichi questa inaccettabile tendenza, nel rispetto dei fondamentali valori riconosciuti e sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo». Questa richiesta di cambiamento nasce «dalle diseguaglianze tra Paesi ricchi e popolazioni povere in costante lotta per sopravvivere alla denutrizione». Aggiunge poi Mattarella:«Si tratta di una sfida globale che interessa l’intero pianeta e che richiede scelte politiche e azioni condivise per la gestione sostenibile delle risorse, la difesa delle biodiversità, la salvaguardia e valorizzazione dei territori, troppo spesso messi a rischio da comportamenti egoistici ed irresponsabili».
Le stesse richieste con le stesse argomentazioni il papa va ripetendo nei suoi interventi: dalle prediche alla messa del mattino, all’enciclica Evangelii gaudium e al videomessaggio per l’Expo di Milano. «No, a un’economia dell’esclusione e della iniquità. Questa economia uccide», pur in presenza di quel “paradosso dell’abbondanza” denunciato da Giovanni Paolo II. È necessario pertanto «risolvere le cause strutturali della povertà. Ricordiamoci che la radice di tutti i mali è la inequità», afferma il Papa proprio nel suo messaggio: «Dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno». Non esita neppure a raccomandare questo impegno ai Prefetti d’Italia, introdotti in un’udienza dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano, nel disegnare il ‘perfetto’ Prefetto, che secondo lui, deve svolgere il suo lavoro orientato da tre punti cardinali. “Obbedienza”, innanzitutto, alla legge e ai criteri di umanità che la informano. Poi “ascolto”, dei bisogni, dei desideri, dei dolori e delle speranze di uomini e donne concreti. Infine “pazienza”, nello svolgere un servizio “capillare” che porti al bene comune e che tenga conto degli “innumerevoli casi pratici” che si presentano in Italia. Soprattutto, però lo raccomanda ai suoi fedeli: «Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza (…) Noi cristiani [nelle beatitudini: Matteo 5, Luca 6, e poi nel “giudizio finale”, Matteo 25] abbiamo qualcosa di molto bello, una linea di azione, un programma, potremmo dire, rivoluzionario».
In questa prospettiva vanno lette le parole pronunciate da Papa Francesco in un convegno di Giustizia e pace, di cui scrivevamo già nel giugno 2014: «Non possiamo tollerare più a lungo che i mercati finanziari governino le sorti dei popoli piuttosto che servirne i bisogni, o che pochi prosperino ricorrendo alla speculazione finanziaria mentre molti ne subiscono pesantemente le conseguenze». Acquistano anche senso certi suoi gesti recenti che diventano simbolici ed esemplari per esortare i cristiani ad andare oltre le denunce della povertà e delle sue cause strutturali, facendosi testimoni di carità e custodi, non padroni, della terra. Dopo aver fatto installare i gabinetti e un servizio di barbiere sotto il porticato di San Pietro ha fatto distribuire 300 ombrelli, dimenticati dai turisti in visita ai Musei Vaticani, ai senzatetto che gravitano intorno al Vaticano e in altre zone della capitale per fare fronte alle giornate di forte maltempo. Sempre a Roma prima di raggiungere la parrocchia di San Michele Arcangelo nel quartiere di Pietralata ha deciso, a sorpresa, una sosta in un campo nomadi, che si trova a trecento metri dalla chiesa. Il Pontefice è stato accolto con giubilo, hanno detto ai giornalisti gli stessi uomini della vigilanza nel definire l’incontro: «Momento emozionante».
Questo stretto legame fra la denuncia dei mali dell’attuale ordine economico, le esortazioni ai cristiani a contrastarlo in nome del Vangelo e la sua prassi quotidiana fa giustizia dell’accusa di quanti lo bollano come “papa marxista” che «demonizza il capitalismo». Non lo è certo lui che in Argentina, da superiore della Compagnia e poi da vescovo, non condivideva le tesi della Teologia della liberazione ed era considerato un conservatore, anche se l’Economist l’ha persino definito un seguace di Lenin nelle sue diagnosi sul capitalismo e l’imperialismo. Oggi, in verità, da papa non si limita a parlare dei poveri, degli emarginati, degli ultimi, ma non tralascia di interrogarsi sulla cause della loro povertà ed esclusione, e, sul rapporto fra economia e Vangelo, interverrà anche nella sua prossima enciclica. “II Foglio” taccia di eresia le parole del pontefice argentino, «reo» di aver parlato dei poveri dei sofferenti come «carne di Cristo», dopo aver abbracciato e benedetto, per un’ora in silenzio, ragazzi e giovani gravemente ammalati ad Assisi. Fra i suoi critici ci sono anche esponenti del mondo cattolico: alcuni espliciti, violenti ed offensivi, come il giornalista Antonio Socci, autore di un libro Non è Francesco, che denuncia l’illegalità dell’elezione di Bergoglio. Meno polemici sono altri intellettuali , «cristiani amanti della verità», che vorrebbero un po’ più di discrezione nella condanna del sistema e che ci si limitasse ad invocare compassione e ad esortare all’esercizio della carità. «Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare», replica papa Francesco per il quale non c’è, invece, che la radicalità evangelica dei Padri della Chiesa. Questa lo porta a contestare un sistema, che per di più non funziona, in cui «donne uomini e bambini [sono] sfruttati e abusati come strumenti di lavoro e di piacere. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in Borsa».
Pertinente è quanto scrive di lui Marco Politi: «Questo pontefice, così intenso quando parla da discepolo di Cristo, è al tempo stesso estremamente laico quando indica i problemi del mondo: la terza guerra mondiale a frammenti, gli interessi che sorreggono il traffico di armi e la “tratta” dei moderni schiavi, l’abisso insostenibile tra pochi ricchi e le masse planetarie di poveri». A lui, infine, ben si addicono le parole di Hélder Càrnara, vescovo di Recife che diceva: «Quando dò da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista».
Questa sua critica rigorosa del sistema non gli impedisce di impegnarsi nel rinnovamento interno della Chiesa e nel rilancio della sua immagine nel mondo. Continua infatti nel difficile lavoro di snellire il governo centrale e di riaffermare l’importanza dell’autonomia delle Chiese locali, pur se fin qui i suoi sforzi ancora non hanno prodotto effetti di grande rilievo. Proprio in questi giorni giunge a compimento la prima importante tappa di questo lungo cammino di riforma, da lui avviato subito dopo la sua elezione, con la presentazione ai cardinali riuniti in Concistoro di un progetto di riforma della Curia per renderla più snella e agile, con meno dicasteri e competenze più definite. Le sue proposte, tracciate dal C9 l’organismo con funzioni consultive da lui voluto proprio per studiare la riforma della Curia, incoraggiano a procedere in vista di una sempre maggiore comunione tra le strutture della Santa Sede, le Conferenze episcopali e le diocesi. Molti dei cardinali su questo tema, emerso in maniera particolare, hanno chiesto che in futuro tale rapporto sia maggiormente semplificato e improntato ad un criterio di sussidiarietà, conservando al livello centrale solo le funzioni che non possono essere svolte con maggior efficacia nelle Chiese locali, e che il personale della Curia Romana sia qualificato per competenza e spiritualità.
Nell’omelia pronunciata nella stessa riunione, in cui sono stati confermati i nuovi 20 cardinali recentemente nominati, papa Francesco ha ricordato che «il cardinalato non è onore, ma perno che muove la Chiesa, e chi è chiamato nella Chiesa al servizio del governo deve avere un forte senso della giustizia e non deve cercare il proprio interesse». Ha poi aggiunto:«Non siamo tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che non ha nulla di autenticamente ecclesiale. (…) Gesù non vuole “persone chiuse” in un accampamento, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero».
Come al solito ha unito alle parole un gesto significativo cambiando la prassi della consegna del pallio da parte del Papa ai vescovi metropoliti, che d’ora in avanti lo riceveranno dai confratelli locali. Analogamente, per ribadire le sue preferenze sul modello di vescovo, ha accelerato la promulgazione del decreto per la beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, ucciso dagli squadroni della morte in Salvador il 24 marzo 1980 mentre celebrava la Messa in una cappella di un ospedale di San Salvador. Ha superato le ultime resistenze approvando in concomitanza il riconoscimento del martirio di Michele Tomaszek e Sbigneo Stzalkowski, Frati Minori conventuali, e di Alessandro Sordi, sacerdote diocesano uccisi in odio alla fede. Per Romero si era trattato di odio politico!
Non trascura, però, di sollecitare i fedeli a non seguire «forme sbagliate di vita cristiana». Recentemente si è rivolto a quelli «che chiamiamo e che vediamo: le élites ecclesiali. Quando nel popolo di Dio si creano questi gruppetti, pensano di essere buoni cristiani, anche – forse – hanno buona volontà, ma sono gruppetti che hanno privatizzato la salvezza». «Non ci salva da soli», ricorda il papa, commentando la lettera di Paolo agli ebrei: «ci si salva in un popolo». Difficile diventa questo appello a quei Paesi, non occidentali, dove il papa si trova a dovere conciliare la sua apertura alle diverse fedi con le violenze praticate contro i cattolici e i cristiani in generale dalle organizzazioni militanti islamiche, dalla criminalità ispirata ad una cultura islamizzante, che tende ad isolarli dal resto della popolazione. Frequente è la rimozione delle croci e dei crocifissi dalle chiese, specie là dove stanno prevalendo i jihadisti che fanno riferimento allo Stato Islamico.
L’attenzione di Francesco è focalizzata anche sulla violenza di cui ovunque sono oggetto le donne, sia all’interno del nucleo familiare: «Il corpo femminile viene, purtroppo non di rado, aggredito e deturpato anche da coloro che ne dovrebbero essere i custodi e compagni di vita» – sia nella società: «Le tante forme di schiavitù, di mercificazione, di mutilazione del corpo delle donne, ci impegnano dunque a lavorare per sconfiggere questa forma di degrado che lo riduce a puro oggetto da svendere sui vari mercati. Desidero richiamare l’attenzione, in questo contesto, sulla dolorosa situazione di tante donne povere, costrette a vivere in condizioni di pericolo, di sfruttamento, relegate ai margini delle società e rese vittime di una cultura dello scarto».
Il papa è altrettanto attento a promuovere un maggiore spazio per le donne nella Chiesa e nella vita sociale e politica, mentre ribadisce che «non si può dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia». Si è spesso soffermato, infatti, sulla partecipazione delle donne al governo della Chiesa, coinvolgendole nelle responsabilità pastorali, convinto dell’urgenza di tale coinvolgimento per le specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. Ricorda che «la Chiesa è donna, è la Chiesa, non il Chiesa», pur essendo ben conscio dei limiti e delle difficoltà, che si oppongono a questi processi, e del divario ormai molto alto fra i ruoli, che i movimenti femministi hanno già conquistato, e quelli che dottrina e prassi secolari permettono di concedere nella vita ecclesiale e nel suo governo. Uguaglianza e differenza sono declinate in modo diverso nelle culture femminili e in quella cattolica, che pur propone di superare gli attuali modelli di contrapposizione fra uomini e donne.
Rigoroso e inflessibile è, invece, nella denuncia e condanna della pedofilia. Nel marzo 2014 ha costituito, allo scopo di offrire proposte e iniziative orientate a migliorare le norme e le procedure per la protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili, una Commissione di cui fanno parte personalità altamente qualificate e note per il loro impegno in questo campo. Recentemente in una lettera inviata ai Presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, papa Francesco ha ribadito “tolleranza zero” nella lotta alla pedofilia per «estirparne dalla Chiesa la piaga», dando priorità alla «tutela dei minori dagli abusi» piuttosto che alla preoccupazione di «evitare gli scandali». «Le famiglie – aggiunge – devono sapere che la Chiesa non risparmia sforzi per tutelare i loro figli e hanno il diritto di rivolgersi a essa con piena fiducia, perché è una casa sicura. Non potrà, pertanto, venire accordata priorità ad altro tipo di considerazioni, di qualunque natura esse siano, come a esempio il desiderio di evitare lo scandalo, poiché non c’è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano dei minori».
Questo processo di riforma e di adeguamento, però, non tiene il ritmo della rapidità con cui procede l’allontanamento di molti fedeli simboleggiato, fra l’altro, nei Paesi occidentali, proprio dall’aumentato calo dei matrimoni in chiesa. Certo dovuto alla crisi economica e alla preoccupazioni che l’unione non regga, esso è anche frutto di un’idea quasi privatistica del matrimonio, come se l’unione riguardasse unicamente la coppia e non la funzione sociale della famiglia. A tal proposito nelle ultime settimane hanno suscitato interrogativi e discussioni interventi di papa Francesco volti a correggere alcuni pregiudizi e luoghi comuni. Ampia eco ha avuto la frase: «Alcuni credono che per essere buoni cattolici dobbiamo essere come i conigli. No. Paternità responsabile». Si è subito parlato di una pur timida apertura del papa al controllo delle nascite, che, ovviamente, è stata subito smentita. Più polemiche sono state le deplorazioni alla sua battuta, sulla liceità del pugno da mollare a chi offendesse la sua mamma, da lui pronunciata per spiegare le reazioni violente alle offese contro le religioni. Criticata da molti come contraria al principio della non violenza, fondato sull’invito evangelico a porgere l’altra guancia, è stata giustificata come un errore banale, da non prendere sul serio, essendo stata pronunciata dal papa in un contesto informale per indicare che deve esserci un limite alla critica alle religioni come lui stesso ha detto. «C’è un limite. Ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana. E io non posso prenderla in giro. E questo è un limite. Ho preso questo esempio del limite, per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti come quello della mia mamma».
Difficile è certo il mestiere di papa, ma ancora di più lo diventa se chi lo esercita non si limita ad amministrare una tradizione consolidata e intende, invece, adeguarla ai nuovi tempi recuperandone il messaggio originario.
Dialoghi Mediterranei, n.12, marzo 2015
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