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Noi donne

Raccoglitrici tamil del tè, Sri Lanka, 2006 (ph.

Raccoglitrici tamil del tè, Sri Lanka, 2006 (ph. Danilo De Marco)

di Luciana Castellina [*] 

Guardare tutte queste foto di donne, senza mai vedere con loro un uomo, è cosa assai bella e piacevole. Perché sono, ognuna, un’opera d’arte, e, tutte insieme, potrebbero diventare un meraviglioso museo. Ma, al di là del piacere che ci dà l’arte, c’è un’altra ragione che fa di questa mostra un’iniziativa importante.

Importante per il femminismo. Sapete perché? Perché aiuta ciascuna/o di noi che si avvicina a una delle immagini, con l’attenzione e la concentrazione che si ha quando si gira per una esposizione, a chiedersi: ma chi è questa donna, dove abita, che fa, cosa abbiamo in comune, io e lei, ma più in generale cosa hanno in comune tutte le donne?

I fiori del cotone, India 2004 (ph. Danilo

I fiori del cotone, India 2004 (ph. Danilo De Marco)

Donne Sem Terra Brasile 1994 (ph. Danilo De Marco)

Donne Sem Terra, Brasile 1994 (ph. Danilo De Marco)

Donne al pozzo Tongyuang, Gansu Cina 1992 (ph. Danilo De Marco

Donne al pozzo, Tongyuang, Gansu
Cina 1992 (ph. Danilo De Marco)

Perché adesso abbiamo cominciato a porci questa domanda con maggiore insistenza di prima. Ai maschi verrebbe in mente di chiedersi cosa hanno in comune fra di loro e in cosa e perché siano diversi dalle femmine? Tutt’al più si danno da soli una risposta banale, scontata: noi maschi sappiamo chi siamo, e sappiamo anche chi sono le donne: loro sono un po’ meno di noi.

Per le femmine è tutto diverso. Perché le femmine non sanno, neppure loro stesse, chi sono. Il femminismo è nato e cresciuto nel momento in cui le donne hanno cominciato a porsi la domanda: ma chi siamo, cosa vuol dire essere donna?

Simone de Beauvoir, compagna di Jean Paul Sartre che ha scritto già nell’immediato dopoguerra uno dei primi testi ‘sacri’ del femminismo, Il secondo sesso, dice: «diventare donna è il lavoro di tutta una vita». Ed è verissimo: è uno scavo nel profondo alla ricerca della nostra identità. Che non conosciamo, perché sono gli uomini che ci hanno cucito addosso l’identità che poi noi abbiamo passivamente accettato.

Melencolia messicana Messico 1997 (ph. Danilo De Marco)

Melencolia messicanaMessico 1997 (ph. Danilo De Marco)

Maria Ramona Vimos Partera delle Ande Ecuador 2002 (ph. Danilo De marco)

Maria Ramona Vimos, Partera delle Ande
Ecuador 2002 (ph. Danilo De Marco)

Canna da zucchero, India 2004 (ph. Danilo De Marco)

Canna da zucchero, India 2004 (ph. Danilo De Marco)

Chi guarda il femminismo da fuori pensa che le donne stiano battendosi per l’eguaglianza che non hanno, ma la frase si presta a un equivoco: noi non vogliamo diventare come gli uomini, tutt’al contrario. Noi vogliamo che sia riconosciuta, legittimata, presa in considerazione la nostra differenza, la nostra specifica identità, ignorata o definita solo attraverso quel ‘siete un po’ meno dell’essere umano maschio’ che è il prototipo dell’umano. E noi, a questo, abbiamo finito per crederci.

Voglio dire, e forse troverete le mie parole un po’ rozze, che siamo state, storicamente, vittime di un imbroglio che ci hanno potuto far subire grazie al fatto che si sono inventati l’esistenza di un cittadino neutro; e però quell’essere neutro che come sapete non esiste (bambini neutri non ne nascono) lo hanno arbitrariamente disegnato seguendo le linee della loro identità che poi hanno imposto anche a noi, pretendendo che la nostra fosse come la loro, solo categoria di secondo livello.

Nelle tende dell’esodo curdo, Turchia 1998

Nelle tende dell’esodo curdo, Turchia 1998 (ph. Danilo De Marco)

Donna tamil del tè,Sri Lanka 2006 (ph. Danilo De Marco)

Donna tamil del tè, Sri Lanka 2006 (ph. Danilo De Marco)

Prendete i codici, le leggi, i regolamenti, i diritti e i doveri: sono tutti disegnati sull’identità maschile dentro cui è stata ingabbiata anche la donna. Sono chiacchiere? Faccio allora un esempio pratico: si celebra una conquista ottenuta ormai da tempo, ossia il diritto ad esercitare professioni anche apicali, come diventare manager o magistrata (anzi, nella magistratura le donne sono ormai la maggioranza, come del resto anche nel settore sanitario). Evviva. Ma poi andate a guardare le cifre.

Nella fabbrica della canna da zucchero, India 2004 (ph. Danilo De Marco)

Nella fabbrica della canna da zucchero, India 2004 (ph. Danilo De Marco)

Fiori di fango, Brasile 2002 (ph. Danilo De Marco)

Fiori di fango, Pernambuco Brasile 1998 (ph. Danilo De Marco)

Campesina dell’Organizzazione Emiliano Zapata Chiapas Messico 1995

Campesina dell’Organizzazione Emiliano Zapata Chiapas, Messico 1995 (ph. Danilo De Marco)

Vi dico quelle dei manager di alto livello, un settore dove la presenza femminile è recentemente cresciuta in modo considerevole: gli uomini manager hanno figli al 95%, le donne al 35%. Perché non hanno desiderato di farli? Neanche per idea, è solo che per riuscire a essere manager, un lavoro molto assorbente, hanno dovuto rinunciare a fare figli, almeno quelle, tante, che non avevano abbastanza soldi da pagare le bambinaie. E così, più o meno, è accaduto per le magistrate, per le sindache, per le deputate…

Giorgia si lamenta che in Italia non nascono più bambini, meno che in qualsiasi altro Paese europeo, e però non si chiede perché. Sarebbe facile trovare la risposta: l’Italia, grazie alle lotte condotte dall’UDI così come dall’analoga associazione cattolica, e grazie a un sindacato intelligente impegnato non solo sulla fabbrica ma anche sul territorio, produsse la prima legge europea – la legge Teresa Noce del 1950 – che introdusse sei mesi di assenza dal lavoro interamente retribuiti per le operaie incinte (e tre per le impiegate). Oggi, invece, l’Italia è il Paese con il peggiore sistema di asili-nido del continente.

Campesina Sem Terra Brasile 1993 (ph. Danilo De Marco)

Campesina Sem Terra, Brasile 1993 (ph. Danilo De Marco)

Sia chiaro, le donne hanno pieno diritto di non fare figli se non vogliono farli, ma non possono neppure essere messe in condizione di essere obbligate a perdere questo diritto (che è anche per quasi tutte una grande gioia). Se non ci fosse stato l’imbroglio del neutro, questa situazione non avrebbe potuto prodursi. E invece, avendo introdotto l’idea che le donne sono come gli uomini – o almeno che, se non lo sono, è perché non sarebbero state capaci di adeguarsi al prototipo indicato dalla legge, quello falsamente indicato come neutro – ciò è accaduto. E quindi, tanto peggio per loro.

Partera al microscopio, ecador 2002 (ph. Danilo De Marco)

Partera al microscopio, Ecuador 2002 (ph. Danilo De Marco)

E allora scoprire chi siamo davvero è il primo compito di ogni donna. Forse le più anziane fra voi che visiteranno questa mostra fotografica si ricorderanno che all’inizio degli anni Settanta, quando cominciarono a nascere i primi gruppi del nuovo femminismo, quasi tutte scelsero di dar vita a quelli che furono chiamati ‘gruppi di autocoscienza’. Fu perché volevano parlare fra di loro, senza l’incomodo di chi, come i maschi, le aveva imbrogliate, libere di fare finalmente una inchiesta su loro stesse per liberarsi dalla maschera che erano state obbligate ad indossare.

Maschi che a fronte di quel nuovo modo di ‘fare politica’ – separate – reagirono malissimo, perché non avevano proprio capito cosa facevamo. Anche noi sessantottine attempate restammo perplesse, ma le più giovani del nostro Pdup/ Manifesto scrissero in molte dicendo: non restituiamo la tessera perché siete un buon partito ma non la rinnoveremo perché per ora abbiano proprio bisogno di stare per conto nostro. In Lotta Continua la questione portò addirittura allo scioglimento dell’intera organizzazione.

Assemblea popolare con Evo Morales Bolivia 2002

Assemblea popolare con Evo Morales, Bolivia 2002 (ph. Danilo De Marco)

La scuola delle ragazze, Haiti 2001 (ph. Danilo De Marco)

La scuola delle ragazze, Haiti 2001 (ph. Danilo De Marco)

Decidere cosa siano realmente le donne, che, come aveva scritto Simone de Beauvoir, richiede il lavoro di tutta una vita, è davvero cosa complessa. Oltretutto perché gli uomini sono stati abili a diffondere fake news di ogni tipo per continuare ad esercitare su di noi la loro egemonia. Al punto da creare persino il mito delle amazzoni, donne combattenti così coraggiose e forti che pur di diventare abili soldatesse si tagliavano un seno per poter lanciare meglio la freccia dall’arco poggiato su una spalla.

E questo per apparire forti come un maschio, non più ingombrate da quelle due scomode protuberanze che loro, femmine, si portavano dietro. Certo poi succedeva che le amazzoni, dopo l’amputazione, non avessero più abbastanza latte per dar da mangiare ai loro neonati. Ma pazienza, questa storia della maternità gli appariva solo un inciampo, tant’è vero che i racconti su di loro dicono che non si sposavano e che anzi, per procreare, si nascondevano per due mesi nei luoghi più oscuri della foresta, brigavano quanto le toccava e tornavano poi alla loro vita fra femmine con le figlie femmine. I bambini maschi li lasciavano in regalo ai padri e se ne andavano.

Madonna con Giovannino Bunia Congo 2004

Madonna con Giovannino, Bunia Congo 2004 (ph. Danilo De Marco)

Maternità dell’esodo curdo Turchia 1998 (ph. Danilo De Marco)

Maternità dell’esodo curdo, Turchia 1998 (ph. Danilo De Marco)

È un fatto, comunque, che questa inferiorità della donna che tanti problemi ha creato è stata tanto seria da indurre tutte, proprio tutte, le religioni a includerla in un modo o in un altro al proprio interno: islamismo, ebraismo, cristianesimo, buddismo. Anche le donne sono molto diverse l’una dall’altra, cosa che si tende ancora a dimenticare, tant’è che quando si parla di femminismo sembra si ritenga che tutte le donne siano uguali, come se non avessero una loro individualità, ma solo un genere, confondendo così l’impegno a essere unite nella lotta con l’omogeneità, un po’ come si fa con i cani e i gatti che frequentano le nostre famiglie.

Corteo della piangenti Khan Yunis

Corteo delle piangenti Khan Yunis, Palestina 1989 (ph. Danilo De Marco)

Poi, naturalmente, conta la localizzazione, il contesto geografico. Qui vedrete solo donne non occidentali, molta America Latina e molta Africa, India, ma di questi continenti quasi solo quelle che appartengono alle comunità indigene e che un tempo chiamavamo del Terzo mondo, il che le faceva coincidere con un solo, piccolo, pezzetto di mondo. Oggi sono almeno tre quarti di mondo ma anche in questo campo l’Occidente ha voluto imporre il proprio specifico modello di nuova identità della donna.

Raccoglitrici tamil del tè, Sri Lanka, 2006 (ph. Danilo De Marco)

Raccoglitrici tamil del tè, Sri Lanka, 2006 (ph. Danilo De Marco)

In una parola: l’Occidente ha voluto colonizzare subito anche la questione femminile, così da spingere le donne nate in Amazzonia o nel Messico o nel Sub-Sahara a difendersi dall’imposizione di un modello che sarebbe più moderno e ‘avanzato’ solo perché da noi le donne guidano l’automobile, portano i calzoni, escono da sole la sera; a far pensare alle donne indigene di non avere il diritto di fare, anche loro, un’inchiesta su se stesse per capire chi sono, quasi che la ricerca e la scoperta delle donne occidentali dovesse esser valida anche per loro.

Maternità distesa, Bunia Congo 2004 (ph. danilo De Marco)

Maternità distesa, Bunia Congo 2004 (ph. Danilo De Marco)

Maternità nelle Ande Ecuador 2013

Maternità nelle Ande, Ecuador 2013 (ph. Danilo De  Marco)

Quando Jomo Keniatta fu liberato e diventò leader del proprio Paese, il Kenia, finalmente indipendente, si sentì in dovere di dire, lui, maschio, che l’infibulazione, tradizionale pratica africana di amputazione degli attribuiti sessuali del femminile, era un caposaldo della propria cultura e proibirla avrebbe voluto dire subire una prepotenza occidentale.

Pagak, Uganda 2005 (ph. danilo De Marco)

Donne nel villaggio Pagak, Uganda 2005 (ph. Danilo De Marco)

C’è voluto un po’ di tempo perché capissimo, grazie a una quasi sconosciuta inchiesta delle donne asiatiche, africane e latinoamericane, quello che hanno cercato di comunicare a noi occidentali disattente: che l’infibulazione non era mai stata un’imposizione dettata dalla loro religione, bensì il risultato dell’uso stravolto con cui il potere che le opprime da molti secoli, come del resto quello che opprime noi in altri modi (pensate all’aborto), ha cercato di imbrigliarle in mille pretestuose proibizioni. Con le quali siamo tutt’ora alle prese.

Insomma, mi piacerebbe che mostre come questa si moltiplicassero, mischiando le provenienze delle donne fotografate, che venissero approntate in ogni occasione le condizioni per guardare tutte assieme queste immagini e che poi ci sedessimo a chiacchierare senza limiti di tempo, guardando tanti volti che, come questi che ci ha regalato Danilo De Marco, ci fanno riflettere, scoprire, indovinare e ragionare per poter procedere con la grande inchiesta su cosa vuol dire essere donna che abbiamo iniziato, ma, per l’appunto, appena iniziato a condurre. 

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024 
[*] Il testo è Prefazione al volume fotografico Un mondo di donne in cammino, di Danilo De Marco, appena stampato da Forum Editrice Universitaria Udinese (Udine 2024) che qui si ringrazia per l’autorizzazione alla pubblicazione. Il volume è catalogo della omonima mostra fotografica e ha una postfazione firmata da  Angelo Floramo.
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Luciana Castellina, politica, giornalista e scrittrice italiana (n. Roma 1929). Nel 1947 è diventata membro del Partito Comunista Italiano sino al 1969, quando è stata radiata dal Partito perché cofondatrice de “Il Manifesto” (il quotidiano infatti è in aperto disaccordo con la linea di partito). La sua carriera politica è continuata tra le fila del Partito di Unità Proletaria per il Comunismo (1974-84, poi confluito nel PCI), di Rifondazione Comunista (1991-95) e del Movimento dei Comunisti Unitari (1995-98). È stata deputata nazionale (legislature VII, VIII e IX) ed europea (1979-94), nonché direttrice di “Liberazione” (1992-94) e presidente della Commissione europea per la cultura, la gioventù, l’istruzione e i mezzi d’informazione. Tra le pubblicazioni, riscuotono particolare successo Il cammino dei movimenti (2003), Cinquant’anni d’Europa. Una lettura antieroica (2007) e Eurollywood (2009). Nel 2011 è uscito La scoperta del mondo, romanzo autobiografico tra i finalisti del premio Strega, nel 2012 Siberiana, nel 2014 Guardati dalla mia fame (con M. Agus) e nel 2018 Amori comunisti.
Danilo De Marco, fotografo e giornalista indipendente da ormai più di 25 anni, ha collaborato con i più importanti quotidiani, settimanali e mensili italiani: dal Corriere della Sera alla Repubblica, dall’Unità al Manifesto, Internazionale, Avvenire, Carta ecc…In Francia con Le Monde, Le Monde Diplomatique,  Nouvelle Observator, Lire ecc…In Austria e Germania con Di Press, Süddeutsche ecc…In Messico La Jornada. Ha camminato mezzo mondo: dal Tibet al Messico, dalle montagne dei Kurdi in Turchia e Iraq a quelle degli U’wa in Colombia, fino alle Ande dell’Ecuador. Dalla valle del Narmada in India ai tamil dello Sri Lanka, dai campesinos della Bolivia al Brasile dei Sem Terra, dalle foreste del Congo a quelle dell’Uganda: e tanto altro. Molte esposizioni fotografiche, i libri, che raccontano soprattutto le R/Esistenze attraverso il mondo dei popoli ingiustificatamente sottomessi alla legge del più forte.

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