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Un nuovo percorso nel paesaggio sonoro mediterraneo fra natura e aerofoni di antica memoria

sarica-porta-cd-natale-2024-okdi Mario Sarica 

Un lungo viaggio, quello intrapreso tanti anni fa da Salvatore Pinello Drago, alla ricerca dei suoni pastorali siciliani arcaici delle origini. Una scelta coraggiosa, ispirata da un sentimento profondo e umile di conoscenza e ascolto di una memoria sonora fra natura e cultura, sommersa dalle incrostazioni della vorace globalizzazione musicale planetaria. Una crescita graduale, la sua, sul versante della storia etnorganologica e della relativa pratica costruttiva degli aerofoni pastorali, e dei loro “segreti”, e su quello performativo della rigenerazione musicale degli stessi strumenti.

Tutto ha inizio dall’incontro ravvicinato e illuminante con gli esiti della ricerca etnorganologica condotta fra Peloritani e Nebrodi nell’ultimo quarto di secolo del Novecento. Tra le ultime, e più rilevanti stagione di rilevamenti in Sicilia, quest’ultima, in grado di salvaguardare dall’estinzione le sopravvivenze di forme musicali di tradizione, così fragili e vulnerabili, dal canto monodico a quello polivocale, dei contesti cerimoniali sacri e profani. Riservando tuttavia un interesse di studio sistematico nei confronti degli strumenti da suono e musicali isolani e delle loro specifiche espressioni musicali, mai osservati prima con sguardo etnorganologico, performativo e di “prodotto culturale antropologico”.

Un ambito di ricerca interdisciplinare, peraltro, quanto mai generoso nei risultati, osservato e studiato secondo precisi approcci metodologici sul campo in tutte le aree siciliane, e in tanti altri territori regionali italiani di tradizione, a partire dagli anni settanta del secolo scorso dal carismatico Roberto Leydi, docente di etnomusicologia all’Università di Bologna e dal suo più stretto assistente rigoroso e generoso ricercatore e studioso di alto profilo Febo Guizzi, che ricordiamo con gratitudine e nostalgia, per i contributi di originali fondativi dati anche a quattro mani, alla neonata disciplina etnorganologica italiana, e per avere formato con motivazioni forti ed adeguati chiavi lettura interpretative una schiera di nuove generazioni di ricercatori, oggi in gran parte docenti universitari.

flauto triplo in canne

Triplo flauto in canne

I documenti musicali rilevati sul campo e le testimonianze raccolte dalla viva voce dei suonatori e costruttori di tradizione, dalla nuova generazione di ricercatori siciliani, a partire dai pastori-suonatori, oltre a dare corpo ad antologie sonore etnomusicologiche ed etnorganologiche di assoluto interesse e saggi tematici, hanno consentito infatti di disegnare per la prima volta una mappa di distribuzione dello strumentario da suono e musicale della tradizione siciliana, attivando comparazioni e raffronti con altre affine famiglie etnorganologiche mediterranee. E ciò ha messo in rilievo la cuspide nord-orientale siciliana, ovvero il territorio fra Peloritani e Nebrodi, come area elettiva di prassi costruttiva ed esecutiva, con documentate occasioni d’uso di tutte le famiglie etnorganologiche, in ambito di festa unita spesso alla tipica firma di danza pastorale peloritana, con coppie rigorosamente maschili.

Una densità di presenze strumentali diversificate, primarie e secondarie, per contesti d’uso e funzioni assolte, dunque, quelle rilevate, fra le più conservative dell’intera Isola. Un quadro d’insieme davvero ragguardevole, connesso ai residuali ambiti cerimoniali comunitari, che spaziano dagli aerofoni pastorali di più antica memoria, ai cordofoni (mandolini, violini, chitarre), passando dai membranofoni (tamburi a cornice a bandoliera), e agli idiofoni con funzioni ludiche e rituali (tabelle ante e maniglie, raganelle per la settimana santa, cicale fischietti ad acqua etc.), e all’esclusivo uso degli organetti diatonici in una sub-area dei Peloritani fra Santa Lucia del Mela e Fiumedinisi, che si affianca fra fine Ottocento e inizio Novecento all’uso della zampogna “a paro” per veicolare i nuovi balli, la triade del liscio, e accompagnare il canto a due voci maschile e femminile della “Santaluciota” e della “Ciuminisana”.

Buttafuoco (strumento a corde medievale) - RE; Flauto in canna 4 fori+ 1 (chiavetta) - RE.

Buttafuoco (strumento a corde medievale) – RE;
Flauto in canna 4 fori+ 1 (chiavetta) – RE.

Cresce e si sviluppa dentro questa variegata e stimolante cornice di ricerca etnorganologica siciliana, la spiccata vocazione di Salvatore Pinello Drago nei confronti della prassi costruttiva e del livello performativo degli aerofoni pastorali, scandita da una sua graduale maturità organologica unita alla riscrittura musicale di temi monodici, polivocali e strumentali di tradizione.

Un richiamo alle radici, il suo, che si alimenta fin da ragazzo, anche e soprattutto da un sentimento profondo di appartenenza alla cultura materiale e immateriale delle sue origini, dunque del suo orizzonte di vita nebroideo, e in particolare della comunità di nascita e appartenenza, quella di San Basilio, frazione rurale di Galati Mamertino. Decisivo poi l’apprendimento dei saperi della tradizione in seno alla famiglia, esperienze fondative e formative vissute grazie alla madre Carolina, straordinaria narratrice di storie di vita di tradizione, autrice di un’opera diaristica autobiografica di singolare bellezza ed interesse glottologico ed etnografico, conservata presso il centro diaristico di Pieve Santo Stefano in Toscana, e tema di tesi presso le università di Palermo e Messina, e ormai pronto per essere pubblicato dal Centro Linguistico siciliano, presieduto dal prof. Giovanni Ruffino. Anche il padre di Pinello, visto il suo interesse musicale di tradizione relativo al canto e all’uso dell’armonica a bocca, è stato una fonte primaria d’ispirazione per la successiva scelta di vita di Pinello Drago dedicata interamente alla riscoperta e rigenerazione organologica e performativa di tutta la famiglia degli aerofoni pastorali, dal flauto, al clarinetto, di canna e di legno, in tutte le varianti possibili fino alla zampogna “a paro”, osservata speciale con l’introduzione di varianti organologiche, quasi a ripercorrere la complessa evoluzione del maggiore aerofono a sacco pastorale, nell’accezione di cornamusa, ovvero gaita, gaida, bachette bergamasca, piva emiliana, che ha colonizzato l’Europa dalle Asturie e Galizia della Spagna alla Bulgaria.

Un’ eredità di antica memoria, quella degli strumenti a fiato, dunque, che in area nebroidea è attestata storicamente dai rendiconti delle feste patronali, anche dall’uso cerimoniale dell’oboe popolare, (“pifara” o “bifira”), il cui penetrante suono era scandito dal battito ritmico dei grandi tamburi a bandoliera, fuori tuttavia dall’area circoscritta dagli aerofoni pastorali. Quest’ultimi, infatti, affondano le loro radici nel racconto mitologico del semiselvatico e temuto dio Pan, figura tutelare delle selve e dei pascoli, nelle diverse accezioni organologiche , a partire dalla siringa o flauto di Pan, per poi giungere ai flauti ed ance, semplici, doppi, tripli, fino, molto più tardi, a misurarsi con la complessa e singolare zampogna “a paro” l’espressione etnorganologica più emblematica della lunga evoluzione organologica pastorale siciliana e di area grecanica aspromontana, che si aggiunge alle tanti varianti delle zampogne italiane nelle aree centro meridionali italiane, segnalandosi come un unicum etnorganologico rispetto a tutte le altre famiglie continentali degli aerofoni a sacco a suono continuo.

Una storia affascinante fra paesaggio, natura ed evoluzione del linguaggio sonoro-musicale, quella che emana dagli aerofoni pastorali siciliani, che Salvatore Pinello Drago, ci regala con una qualità stilistica ed espressiva di classe superiore. Un ritorno al passato quanto mai necessario, lascito prezioso dell’età preistorica e successivamente delle antiche civiltà mediterranee, e del vicino Medioriente, da quella assiro-babilonese, all’egiziana, per giungere a quella cicladica, minoica, micenea, fenicia e greca. E tante sono le tracce che ci restituiscono lungo lo scorrere dei secoli, la costante centralità del codice sonoro-musicale, costitutivo di ogni forma culturale, con le ampie attestazioni di frequentazioni musicali rituali e cerimoniali. Tracce significative anche in relazione al suono che trasfigura la realtà con le sue qualità trascendentali, oltre che indicarci un pensiero musicale simbolico ed astratto, le cui testimonianze tangibili sono rintracciabili nei repertori coroplastici, vascolari ed iconografici, oltre che nelle fonti letterarie classiche. Attestazioni davvero rivelatrici dell’ampia diffusione nel bacino del Mediterraneo di aerofoni condivisi nelle diverse varianti organologiche regionali, come nel caso dei doppi calami, ad ancia semplice e doppia, a partire dall’iconico “aulos” greco, giunto anche a Roma, verosimilmente per via etrusca. Aerofoni d’uso d’ambito rurale ed urbano, come ci ricorda lo studioso Anthony Baines, approdati ovviamente anche in Sicilia lungo le vie delle migrazioni mercantili via mare da Oriente ad Occidente.

Flauto in canna, 3 fori - RE; Tamburo medievale

Flauto in canna, 3 fori – RE;
Tamburo medievale

Ad ispirare la scelta di Salvatore Pinello Drago di approfondire lo studio degli aerofoni pastorali, fino a spingersi lungo sentieri inesplorati o poco battuti, il desiderio di rintracciare i segni organologici dimenticati lungo lo scorrere inesorabile del tempo, che tutto oblia. In più, Pinello si è incamminati fino alle sorgenti dei suoni arcaici del Mediterraneo e del vicino Medioriente e del Nordafrica, provando ad insufflare le anime musicali più intime, profonde e segrete di tutta la famiglie dei flauti e delle ance variamente connotate anche dall’uso di bordoni. Ed è davvero un’ esperienza di ascolto musicale di grande suggestione e bellezza, attraverso le 19 tracce della fascinosa antologia sonora “Arkaikhos”, seguire il nostro performer lungo questi territori inesplorati della sua “solitaria avventura”, dove il mistero della fonosfera del paesaggio e ambientale naturale dialoga in armonia con il corpo sonoro dell’uomo, ampliato dagli strumenti a fiato.

In particolare ascoltiamo in “Astro” un clarinetto idioglottide, in “Dafni”, figura tutelare dei pastori siciliani, secondo gli idilli di Teocrito, un flauto diritto di canna, in “Kalamos”, un doppio clarinetto (canna del canto e bordone), in “Viaggio immaginario nel tempo”, un doppio flauto di canna, così come in “Mediterraneo”. Davvero affabulante poi il tema “Mistero” affidato al raro flauto armonico. Sul legame simbolico ed ancestrale fra l’uomo e l’ambiente naturale, dal quale ricavare le risorse alimentari primarie, il suggestivo brano “La fatica della terra” affidato ai suoni di un doppio clarinetto di legno.

Un sentiero fra natura e aerofoni di antica memoria, dove emergono prima i suoni naturali che hanno sorpreso, stupefatto, impaurito e permeato l’esistenza dei nostri più remoti ascendenti, che si uniscono al linguaggio musicale, prendendo insieme forma di verità di vita perduta, che torna fra noi, come un imprinting sonoro musicale fondativo e ineludibile.

Il sentiero musicale di Salvatore Pinello Drago, davvero avvolgente e coinvolgente sul piano emozionale, e non solo, prosegue, lungo un ideale percorso stagionale e di sacralità con “Primavera” (doppio flauto con bordone), “Profumo di ginestra “ (zampogna “a paro”) e “Fede antica”. Ed ecco l’incursione originale in piena epoca medievale con “Regina Santa”(Cornamusa “nebroidea) e la sublime “Pastorale” (doppio flauto), e ancora “Schiaranzula, maranzula”(clarinetto). Un paesaggio sonoro e musicale, dunque, che rispecchia le impellenti istanze del sacro, dell’indicibile, del mistero della vita e della morte, oltre che della festa e della trasgressione, che solo il suono e la musica celano segretamente.

Salvatore Pinello Drago, dopo le suggestioni e riflessi musicali, che emergono dalle millenarie migrazioni via mediterranee dell’uomo fra Oriente ed Occidente, disvela dunque il suo linguaggio musicale con “Fede antica” del Medioevo, oltre che a temi di danza, affidandosi prima al buttafuoco, (cordofono medievale a percussione) e al piffero a tre fori, (duo strumentale ancora oggi in uso in Catalogna e Aragona in Spagna), che si unirà anche al tamburo a bandoliera.

Lasciato alle spalle il Medioevo ecco l’incontro virtuoso della zampogna ‘a paro’ di Salvatore Pinello Drago con l’ amata e nobile pastorale del Seicento di Bernardo Storace, per dialogare alla fine con “XXI secolo” con le sonorità digitali dei giorni nostri, ribadendo il fitto dialogo incessante tra passato e presente, tradizione e innovazione.

D’altra parte la singolare avventura musicale di Salvatore Pinello Drago tutto nasce dall’ascolto dei suoni della zampogna “a paro” jalatisi dei tanti suonatori di San Basilio e Galati Mamertino, che hanno accompagnato la sua infanzia, fra i quali annotiamo don Calogero Di Nardo, oggi decano dei pastoro-suonatori di quell’area, figura che incarna la cultura pastorale con orgoglio, che diventerà suocero di Pinello.

Andando a ritroso, a segnare una tappa fondamentale nel percorso musicale di Pinello Drago, dobbiamo giungere all’inizio del 2000, più o meno, quando matura in lui la consapevolezza che è giunto il momento di dare vita ad una prima esperienza musicale d’insieme, coinvolgendo i suoi cari nipoti, Francesca e Salvo Anastasi, Giuseppe Anastasi, già giovani e bravi musicisti e strumentisti nella banda musicale di Galati Mamertino e Longi, e anche sua figlia Andreina, dalle spiccate attitudini musicali, tra le prime, se non la prima, a confrontarsi brillantemente a soli undici anni con la zampogna “a paro” e gli altri aerofoni pastorali. Ed ecco così nascere il Kalamos Ensemble, una formazione unica nel suo genere in tutta la Sicilia. Ponendo al centro del suo pensiero musicale progettuale le canne sonore della tradizione, dai flauti semplici, a quelli doppi, fino al triplo flauto, realizzato per la prima volta in assoluta da Pinello, replicando filologicamente un esemplare tratto da una Adorazione dei Pastori dei primi del Seicento, il Kalamos Ensemble diventa un vero e proprio laboratorio, esaltando la polifonia strumentale degli aerofoni nei diversi tagli tonali, facendoli interagire nelle riscrittura di temi musicali della tradizione, interagendo con il livello di canto, dunque con i testi poetici della tradizione riferiti ai contesti di religiosità popolare, di festa e di lavoro.

Oralità e scrittura dunque in un continuo scambio virtuoso, in grado di rigenerare musicalmente, secondo uno stile inconfondibile e una poetica musicale di fondo, alla ricerca di un suono puro, essenziale, che restituisca centralità alle sonorità, ai colori, alle immagini del kalamos, ovvero delle canne di arundo donax, dal quale tutto ha inizio. La prima e convincente prova d’autore discografica del Kalamos è ‘U sonu da muntagna’, poi segue la riscrittura strumentale e vocale dei repertori del Natale, poi è la volta dei canti risorgimentali della tradizione risorgimentale siciliana, a seguito dell’epica impresa garibaldina .Ma l’esperienza discografica che segna una svolta decisiva sul cammino musicale strumentale del Kalamos e in particolare del suo leader Pinello Drago, è certamente “Il pastor galante nell’ubertosa selva”. Si tratta di un’originale reinterpretazione per flauti, clavicembalo e organo, le cui tastiere si affidano alle mani sapienti del M Diego Cannizzaro, della “Selva di varie compositioni” di Bernardo Storace, pubblicata a Venezia nel 1664, vice maestro della Cappella Musicale di Messina e organista nel duomo di Messina.

Una prova musicale di grande maturità che esalta a contatto con le arie e le danze del Seicento, la luminosità e lo scintillio dei flauti di canna, nella parte cantabile e polifonica, liberandole dalla ipertrofia del basso continuo secentesco e dalle reiterate tastiere , regalandoci a chiusura della raccolta una sublime pastorale, ovvero una fedele trascrizione di Storace delle tradizionali eseguite dai pastori peloritani che risuonavano in città in occasione del Natale numerose anche nel Seicento messinese.

Seguiranno poi altre prove d’autore, come la riscrittura della fiaba “La ciaramedda cchi canta” e “La leggenda di Colapesce”, produzione quest’ultima in docufilm, resa possibile grazie all’ultimo console tedesco a Napoli Christian Munch, che unisce alle versione italiana anche quella tedesca della leggenda dell’uomo pesce Cola dello Stretto di Messina.

Zampogna a paro - LA.

Zampogna a paro

Successivamente, dopo aver esaurito il ciclo vitale con il Kalamos Ensemble, ricolmo di apprezzamenti e meritati riconoscimenti in giro per l’Italia – da Bologna a Gorizia, Udine, Chieti, Scapoli – inizia per Pinello una nuova stagione di ricerca etnorganologica e musicale. Riprende il cammino da solo. E allora si spinge indietro nel tempo, oltre il Medioevo, alla ricerca dei suoni perduti immergendosi nei paesaggi sonori descritti in Sicilia da Teocrito, padre della poesia pastorale, originario di Siracusa, e figura di spicco della scuola Alessandrina. E lo fa alla ricerca dei suoni pastorali, quelli germinati dal fitto dialogo con le diversità sonore della Natura, in tutte le sue espressioni.

E il suo diario musicale di viaggio ora prende forma mirabile in “Arkaikhos”. Una grande prova d’autore questa esemplare performance discografica di Pinello Drago, che come annotavamo prima, ci guida in un territorio inesplorato grande fascino, dai profili cangianti e a tratti quasi ipnotici.

Immagini sonoro-musicali che germinano dalla fonosfera, a partire dall’affabulante suono delle onde gravitazionali, disvelando emozioni coinvolgenti. Giungono cosi, per usare le parole di David George Haskell, «alle reti neurali deputate all’apprendimento acustico, e dunque alle connessioni elaborate tra memoria, percezione, analisi, di misteriosi ed insondabili suoni proveniente da età remote, oltre la soglia del dicibile». «La musica strumentale, d’altra parte – annota lo studioso in Suoni fragile e selvaggi (2024) – possiede una qualità unica che la distingue sia dal canto sia dal parlato, perché va al di là del linguaggio e delle parole, anzi le precede», giungendo direttamente ai nostri sensi come esperienza primaria.

Tutto ha così inizio, come racconta Drago in “Arkaikhos” dai suoni armonici di un tubo sonoro di arundo donax, poi la graduale formalizzazione del linguaggio musicale, cui si affidano i sentimenti più profondi, i misteri della vita, le emozioni più vere, le espressioni di fede, di ogni tempo e cultura immersi nella fonosfera del cosmo. Un’esperienza sonoro- musicale dunque singolare quella di “Arkaikhos” che richiama un episodio umano epocale di quarantamila anni fa, quando in una caverna dell’era glaciale nell’odierna Germania del Sud, «le labbra di un primate soffiano  su ossa di uccelli e zanne di mammut modificate. Il respiro del cacciatore anima gli scheletri delle sue prede. L’aria vibra di melodie e timbri da una fonte sonora prima ignota: gli strumenti musicali». 

Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024

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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

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