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Un padre teneramente ingombrante

per salvatore

Erice 1950 ca.

Erice 1950 ca. (dall’album di famiglia)

di Federico Costanza

Era solito raccontare le storie della buona notte inventandosele di sana pianta. Quelle storie che raccontava a me bambino erano intrise dei sentimenti che mi avrebbe trasmesso crescendo: generosità, amicizia, umanità, speranza, il tutto avvolto da un velo di autentica malinconia. Erano storie di una bellezza struggente, e infatti foriere di tanta commozione. Finivo per affezionarmi ai protagonisti e li interiorizzavo.

Salvatore Costanza, il professore, è stato per me una figura di padre “ingombrante” nel senso più felice del termine, che ha sottolineato profondamente la mia crescita umana e intellettuale. La doppia dimensione di “padre” e di “intellettuale” è sempre stata implicita nell’uomo che con una disarmante naturalezza leggeva a tavola passi dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, parafrasandoli come racconto della vita politica locale. Magari intervallando le letture con qualche battuta sull’assessore di turno, che dalla TV accesa sul TG locale esprimeva soddisfazione picaresca per la lungimirante azione politica del suo partito.

Questo suo modo di leggere la realtà attraverso la lente della storia e il racconto letterario era un modo per illustrarmi che la complessità del mondo è sempre lì, davanti a noi e che dietro ogni protagonista della storia c’è un essere umano con il suo vissuto, con le sue virtù e le immancabili miserie.

Sono queste storie a raccontare la “Storia”, a renderla immediatamente concreta e accessibile a tutti. Ché la Storia non è fatta solo di date, battaglie, eventi, ma è un mosaico di fatti importanti e meno importanti, di notabili e reietti, di movimenti di idee, un racconto vasto e multiforme i cui protagonisti sono, ognuno a modo suo, portatori degli elementi avvincenti della trama. Questa era, d’altronde, la prospettiva storiografica rivoluzionaria che contraddistinse, a partire dagli anni Trenta del Novecento, la Scuola francese degli Annales che criticava la visione “événementielle” a scapito di una definitiva “histoire à part entière” sul lungo periodo.

Trapani, 2012

Trapani, 2012

Papà aveva uno spiccato senso dell’ironia, raccontava aneddoti intrecciando date e nomi, spaziava in altri campi, magari con quel sarcasmo che smitizzava infine il sacro: d’altronde, dietro ogni solennità si cela sempre una qualche prevedibile meschinità. Sorrideva nel recitare i versi della Divina Commedia, laddove il Sommo Poeta si soffermava descrivendo l’uomo nei suoi più reconditi vizi. Così, ne illustrava la sorprendente modernità.

Da quelle letture o recite nascevano sempre considerazioni più ampie e argute sulla società di quel tempo e sui ricorsi della storia a noi più vicina. Chiaramente, aveva le sue preferenze, papà. Ricordo che lo sguardo sornione abbandonava il viso a una più malinconica smorfia mentre leggeva o citava a memoria l’amato Guido Gozzano, quel giovane crepuscolare che con ironia descriveva lucidamente il coraggio e la viltà, la vita e la morte.

Papà era uomo d’altri tempi, per certi versi, ma moderno. Le giornate della mia infanzia cadenzate dal ticchettio dei tasti della macchina da scrivere con cui scriveva i suoi libri o gli articoli. Poi, un giorno, decise di affidarsi a una tecnologia tutta nuova.

Il computer fece la sua comparsa in casa prima che io stesso ne avessi mai usato uno. Non si consultò con me, ma decise di fare il grande passo a oltre sessanta anni, da solo, prendendo informazioni fra gli amici più giovani. Non so come avesse imparato a usarlo, ricordo che all’inizio ero io a raccogliere i suoi suggerimenti mentre mi accingevo a scrivere le mie prime tesine universitarie. Lui osservava il tecnico che veniva a installargli i software e annotava a penna su foglietti le istruzioni per aprire i programmi e salvare i file. Ha lavorato oltre un ventennio su file e cartelle senza conoscerne veramente le differenze, ma gli bastavano poche informazioni per utilizzare i programmi di video-scrittura e quelli di posta elettronica, il resto lo trovava nelle sue ricerche su internet.

Come quel giorno che mi chiamò turbato dall’aver trovato lo schermo del suo PC sottosopra. Non sapeva cosa avesse toccato accidentalmente e in quel momento non riuscivo ad aiutarlo. Aveva provato a chiedere aiuto ai negozi sotto casa, ma neppure i più navigati utilizzatori informatici erano riusciti a risolvere il problema. Fra una sosta dal fornaio e un’altra dal fruttivendolo per la spesa, un passaggio al negozio di computer all’angolo, di corsa fino alla copisteria in fondo alla strada, fin quando si era finalmente deciso a fare da solo: una domanda sui motori di ricerca e in pochi minuti era riuscito a ribaltare lo schermo, una combinazione di tasti e tutto era tornato velocemente come prima.

Considerava gli intoppi tecnologici una gran camurrìa, ma negli ultimi anni erano divenuti il suo argomento di discussione preferito, accanto alle riflessioni sulla politica, le nostre telefonate infarcite di “barre degli strumenti”, “visualizza”, “layout di stampa”. E lui annotava tutto, meticolosamente, su montagne di foglietti ancora rigorosamente conservati in cartelle ben archiviate ed etichettate.

Non perdeva mai l’indole del ricercatore rigoroso, un po’ esploratore di mondi nuovi, un po’ archivista. Come quando ricordava la lezione dell’accademia tedesca, quel gusto genuino per la ricerca sociale e la curiosità delle piccole cose, accompagnati da un attento metodo, mai fine a se stesso.

Heildeberg, 1969, Cosatnza con gli studenti sul Philosophenweg

Heildeberg, 1969, Costanza con gli studenti sul Philosophenweg (dall’album di famiglia)

Un metodo appreso durante l’esperienza presso l’Istituto di Sociologia ed Etnologia dell’Università di Heidelberg alla fine degli anni Sessanta. L’università tedesca promosse allora una ricerca sull’immigrazione siciliana in Germania. Fu uno spartiacque fondamentale per la propria crescita intellettuale e umana di cui Salvatore Costanza ebbe poi modo di raccontare nel volume La Sicilia ad Heidelberg, scritto assieme al sociologo e amico Dieter Paas.

Gli occhi di papà brillavano quando riaffioravano i ricordi di quel mirabile periodo, vissuto fra una lezione del prof. Mühlmann e una passeggiata sul Philosophenweg, il “Sentiero dei Filosofi” lungo il fiume Neckar, confrontandosi con decine di studenti da tutto il mondo. Rimarrà il mio maggiore rimpianto non averlo potuto accompagnare al raduno di vecchi studenti e professori di quei seminari ad Heidelberg, appena prima dell’inizio della pandemia di coronavirus. Molti amici non c’erano già più, ma lui era rimasto in contatto con coniugi e parenti di colleghi, studenti e studentesse.

Val Veny, ai piedi del Monte Bianco, 1983

Val Veny, ai piedi del Monte Bianco, con moglie e figlio, 1983 (dall’album di famiglia)

Aveva rinunciato all’opportunità di proseguire il rapporto con l’Università tedesca, senza alcun tipo di rimpianto in futuro per quella che allora fu una scelta doverosa e di coerenza. Il rientro a Trapani negli anni Settanta: lo attendevano la lotta politica, l’antimafia, l’attività di storico e giornalista. Per Salvatore Costanza questo impegno morale rappresentava il tratto distintivo dell’intellettuale militante, figura cui è sempre rimasto fedele.

Nel tempo, però, sviluppò sempre più un senso di amarezza per le illusioni perdute: tali si rivelarono la progressiva scomparsa delle ideologie e la radicale trasformazione di quel mondo contadino ancora paradigmatico per approfondire certi equilibri nello studio della società meridionale.

Tuttavia, le riflessioni sul “consenso mafioso” e sul brigantaggio prodotte in quegli anni dal confronto con i due amici ricercatori di Heidelberg, Henner Hess e Roberto Llaryora, e con lo storico inglese Eric Hobsbawm, permisero a Salvatore Costanza di sviluppare nuove ricerche, fornendo le premesse per una riflessione analitica sulla nascita del fenomeno mafioso e su come esso fosse in realtà radicato nei rapporti con il sistema di potere e di gestione della proprietà in Sicilia all’indomani dell’Unità d’Italia. Si trattava di una riflessione che rigettava definitivamente le speculazioni sulla origine atavica o, peggio ancora, folkloristica della mafia.

Quel metodo di ricerca appreso in Germania, assieme alla capacità di indagine e scrittura affinata durante gli anni ruggenti da redattore al giornale L’Ora di Palermo, gli permisero di produrre quello che fu per lui il suo libro più importante: «non avrei mai potuto scrivere La Patria Armata se non fossi stato a Heidelberg», amava ripetere.

Monte Cofano (Trapani), 1990

Nelle campagne di Monte Cofano, con Vincenzino Adragna,  1990 (dall’album di famiglia)

Secondo la lezione della Scuola francese degli Annales, il rapporto fra classe egemone e classe subalterna spiega sostanzialmente il diffondersi di una certa mentalità e di un apparato di intermediazione fra centro e periferia che nel lungo periodo determinerà il progressivo radicarsi del fenomeno mafioso.

Durante gli anni da corsivista e redattore del giornale L’Ora di Palermo, papà approfondirà le tematiche culturali e sociali della storia siciliana proprio sotto questa lente. La Sicilia, «amara e memoriale terra da cui è impossibile fuggire», come soleva ripetermi, era una metafora perfetta per l’intellettuale che milita e affronta quotidianamente ingiustizie, ricercandone il significato più profondo.

Citava spesso la definizione che lo storico direttore del giornale L’Ora, Vittorio Nisticò, aveva reso celebre e che lui si attribuiva soventemente: “siciliano di scoglio”, contrapposto al “siciliano di mare aperto” quale avrei potuto benissimo essere io che contemplavo continuamente la partenza. Come siciliano di scoglio sentiva forte il senso di appartenenza, ma ancora più forte la coerenza a certi ideali, che lo portarono, dopo tanti anni di delusioni e di rifiuto dell’impegno politico a riattivarsi in un crescendo di entusiasmo e di riscoperta. La nascita del partito La Rete in Sicilia fu un momento di grande rilancio e speranza.

La presenza di tanti giovani e intellettuali impegnati a sinistra e nelle file più progressiste del movimento cattolico lo convinsero a impegnarsi personalmente, spinto dalle richieste e dalle speranze che molti trapanesi riponevano nella sua partecipazione. Ho un ricordo emozionante di quelle giornate, delle incessanti riunioni e del crescendo di una consapevolezza forse unica di un momento irripetibile, appena prima che le stragi di Capaci e Via D’Amelio facessero ripiombare la Sicilia tutta nella paura e nello sconforto.

Presto, però, le decisioni prese in seno al partito si tramutarono rapidamente in una nuova definitiva delusione. Ricordo la rassegnazione, ancor più l’uomo ferito. Fu l’ultimo atto, mio padre non partecipò più alla vita politica siciliana e trapanese e continuò a seguire gli eventi con una malcelata sfiducia e un crescente distacco.

Durante una conferenza, anni 70

Durante una conferenza, anni 70 (dall’album di famiglia)

Da quel momento, decise di dedicarsi esclusivamente ai suoi studi storici e ad approfondire alcune ricerche iniziate in giovane età, particolarmente quelle sul rapporto campagna/città, traffici commerciali marittimi e crescita delle classi dominanti urbane e agrarie nella storia della Sicilia Occidentale. Da questo punto di vista, le biografie di personaggi come Giovanni Gentile o Nunzio Nasi facilitavano la comprensione di fenomeni storici più attuali legati all’evoluzione del Mezzogiorno d’Italia e della Sicilia in modo particolare.

La delusione per l’affievolirsi del fuoco ideologico e la perdita di coscienza delle masse contadine continuò a essere sempre ben presente. Eppure, papà ritrovava un solido ottimismo di fronte all’entusiasmo dei giovani, di chi è guidato dall’impegno civile e dalla ricerca di giustizia per una società migliore, da una sana e autentica passione.

Facendo lezione alle future insegnanti, parlando a braccio durante una conferenza, improvvisando monologhi per strada fra capannelli di amici e passanti: lo caratterizzava una gioia genuina nel trasmettere idee, opinioni, concetti. Ancor più se ad ascoltarlo erano giovani ricercatori, studenti, giornalisti.

Insieme al padre Rocco e alla sorella Lina, 1938 ca.

Insieme al padre Rocco e alla sorella Lina, 1938 ca. (dall’album di famiglia)

Era stato il padre, mio nonno Rocco, a trasmettergli una salda educazione, un profondo senso di giustizia sociale e un’etica del dovere. Quel padre cui era legatissimo e che ammirava, che studiava teosofia e parlava esperanto, che nello studio delle religioni orientali coglieva il significato della vita quotidiana e del rispetto per gli altri, che vedeva nel socialismo una missione.

La stessa ammirazione e grande tenerezza ha sempre accompagnato il mio rapporto con papà. Appartenevamo a generazioni molto distanti, eppure la sua modernità ha sempre permesso un confronto continuo e aperto fra noi, l’aspetto che probabilmente mi mancherà di più. Anche nei giorni più duri e sofferti della malattia, ho continuato a cercare questo confronto. Lui provava a soddisfare le mie richieste, rispondere alle mie domande, comprendeva la mia angoscia, pur conservando quell’espressione amara rivelatrice di una forte rabbia interna per una malattia che lo aveva colto di sorpresa.

Trapani, 2013 (h. Melo Minnella)

Trapani, 2013 (ph. Melo Minnella)

Non aveva alcuna voglia di terminare la sua vita, riteneva di avere ancora molto lavoro da fare. E pazienza se non riusciva più a sedere al computer a scrivere, bastava un foglio e una penna per raccogliere appunti, bastava ripetere a memoria come un copione da recitare le pagine che si apprestava a scrivere quando neanche la vista lo accompagnava più.

Lo immagino ancora seduto alla scrivania o in poltrona, accanto alla grande biblioteca, con l’immancabile foglietto di appunti e una penna in mano, o un qualche libro che magari legge ad alta voce, oppure di fronte al monitor del computer, penna e foglio accanto alla tastiera.

L’ho visto felice durante l’ultimo anno di celebrazioni personali, prima di affrontare la sua prova più dura. Questo padre “ingombrante” mi aveva già trasmesso la sua lezione più importante mostrandomi l’importanza di coltivare le proprie passioni preservando coerentemente i propri valori.

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021

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Federico Costanza, si occupa di progettazione e management strategico culturale, con un’attenzione specifica all’area euro-mediterranea e alle società islamiche. Ha diretto per diversi anni la sede della Fondazione Orestiadi di Gibellina in Tunisia, promuovendo numerose iniziative e sostenendo le avanguardie artistiche tunisine attraverso il centro culturale di Dar Bach Hamba, nella Medina di Tunisi.

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