Una certa propensione per le attività imprenditoriali la famiglia Alliata, presente in Sicilia dal 1300, l’aveva quasi connaturata, non fosse altro che per le sue origini da banchieri. Il casato ebbe nel 1549 l’appalto del servizio postale in Sicilia che gestì in monopolio, così come, a partire dalla fine del XVII secolo, il commercio della neve. Più recentemente, dai primi anni dell’800, è stato impegnato nella gestione di una delle più importanti intraprese enologiche di Sicilia: la Corvo di Salaparuta. A queste attività si aggiunga lo sfruttamento di cospicue miniere di zolfo, di filande di seta, e tante altre imprese minori.
Don Francesco Alliata, ultimo principe di Villafranca, di Valguarnera e di Buccheri nonché duca di Salaparuta, e tanto altro ancora, a questo innato spirito imprenditoriale aggiunse l’amore per il cinema, che lo portò a fondare nel 1946 la “Panaria Film” (1946-1956), che per prima al mondo, con apparecchiature appositamente create, ha realizzato le prime riprese subacquee, e prodotto film storici, alcuni dei quali sono vere pietre miliari.
Per non annoiarsi, poi, don Francesco volle cimentarsi nella produzione industriale di gelati alla frutta (detti “spongati”) e di granite: lo stabilimento, attivo a Catania per alcuni decenni, era l’unico al mondo a produrre gelati industriali senza latte e senza grassi, che esportava oltreoceano, grazie alla catena del freddo, che, come si sa, funziona sotto i -20°: la materia prima era offerta dagli agrumeti di famiglia e dalla immacolata acqua dell’Etna. Naturalmente don Francesco sapeva che da secoli la sua famiglia aveva esportato neve in tutto il Mediterraneo fin nell’isola di Malta, e che i suoi antenati erano monopolisti di tale commercio, entrando spesso in rotta di collisione persino col potente vescovo di Catania, proprietario delle neviere dell’Etna. Queste ultime vicende, legate all’intrapresa della neve, attirarono la mia attenzione. Negli anni ‘90 lavoravo già a Buccheri (SR), come direttore della locale Biblioteca Comunale. Avevo pubblicato nel 1988 il volume monografico Buccheri: guida alla città e al territorio, dove per la prima volta avevo scritto di commercio di neve, di neviere e di cultura materiale legata al lavoro di raccolta e trasporto di questo prodotto insolito. Pochi studi vi erano stati su questo argomento: penso che fui allora probabilmente il primo ad occuparmene organicamente (per la verità, vero “tormento di Sisifo”, me ne occupo ancora). Trattando dunque di storia di questo prodotto e delle vicende feudali di Buccheri, mi imbattei nella famiglia Alliata di Villafranca, cui competeva, da antica data, il titolo di “Principi di Buccheri”. Era un periodo quello, tra gli anni ‘80 e ‘90, in cui la riscoperta delle storie locali, delle tradizioni e delle culture di paesi sperduti, quanto irraggiungibili, era avvertita come una sorta di obbligo per noi che tentavamo di fare cultura, ma anche per politici e operatori turistici locali, alle cui pressanti richieste anche i bibliotecari di provincia cercavano di corrispondere.
Da alcuni anni avrei voluto conoscere l’ultimo dei principi Alliata, che era già morto. Riuscii tuttavia a visitare il palazzo Alliata Villafranca di Palermo, a Piazza Bologni, visionando il salone dell’archivio, dove erano custoditi 34 armadi, divisi per feudi, ciascuno con un quadro ad olio raffigurante il centro feudale cui si riferivano i documenti. Straordinaria la sequenza dei centri feudali, emozionante la consultazione di volumi, pergamene, fogli a stampa, pertinenti alla storia della Sicilia e del Mediterraneo.
Fino alla morte di don Giuseppe Alliata, ultimo principe di Villafranca, discendente diretto del ramo principale, quel mondo di simboli e memorie – quale era palazzo Alliata – era rimasto, in qualche modo, integro, se pur scalfito qua e là dalla modernità. Ma quando nel 1988 morì anche la moglie dell’Alliata, Rosaria Correale, si scoprì che – non si sa per quale sortilegio – il palazzo, con tutto ciò che vi era contenuto, era stato lasciato alla Curia di Palermo. Apriti cielo! Fu l’inizio di una querelle durata un decennio, che vide impegnati i nipoti di Giuseppe Alliata, con in testa il battagliero don Francesco, erede diretto nella successione feudale, che si intestò in prima persona la rivendicazione dell’integrità del patrimonio rappresentato dal palazzo avito. Quelle mura conservavano la storia della famiglia, segno tangibile di una storia dinastica plurisecolare. La vicenda da mero fatto di lascito ereditario, assunse i toni di una dura polemica culturale. Don Francesco iniziò nel 1997 a denunciare i fatti: la Curia aveva abbandonato al suo destino i preziosi documenti d’archivio contenuti nel palazzo, oggetto di frequenti “visite” di “esperti” del settore. Per la Curia – secondo le denunce dell’Alliata – l’archivio Villafranca era un peso da cui non sapeva come disfarsi. Per gli Alliata, invece, documenti, arredi e palazzo dovevano restare uniti, al fine di creare una sorta di Palazzo Museo aperto al pubblico, dove svolgere attività culturali, eventi e promuovere incontri e relazioni a vario livello. Ma, nottetempo, ammassati alla meno peggio in precari scatoloni (290 secondo il racconto di don Francesco), i documenti dell’Archivio Villafranca furono traslocati, da ignari seminaristi, negli umidi scantinati del monastero della Gancia, in attesa di passare all’Archivio di Stato. Don Francesco si attivò con appelli, articoli sulla stampa, circolari ai comuni, conferenze: il battagliero principe mostrò tutta la sua vigoria guerresca accusando funzionari, politici, ecclesiastici di procurato danno ad un bene culturale primario.
Una lettera circolare giunse nel 1988 anche ai comuni siciliani che erano stati un tempo feudi degli Alliata. La lettera fu recapitata dal sindaco di Buccheri al mio ufficio, come funzionario addetto alle attività culturali, e per me fu l’occasione di conoscere finalmente un mito, un personaggio che aveva fatto e faceva la storia della cultura siciliana. Il pericolo della dispersione del materiale archivistico era fonte di preoccupazione di noi tutti. Assieme all’assessore, Francesco Interlandi, andai a trovare il principe Alliata, che nel frattempo aveva acquisito tutti i titoli feudali di famiglia (principe di Villafranca, di Buccheri, di Valguarnera, duca di Salaparuta ecc.). Fummo ricevuti in un “grazioso” quartino di Palazzo Biscari di Catania, dove il principe preferiva abitare con la seconda moglie, mentre le figlie, tra cui la scrittrice Vittoria Alliata, avevano privilegiato Villa Valguarnera a Palermo. Con orgoglio il principe ci mostrò i “cimeli” di famiglia di cui disponeva a Catania, tra cui, primo fra tutti, lo “scafandro”, come chiamava l’attrezzatura per le riprese subacquee al tempo della Panaria Film. La rabbia del principe contro le istituzioni era al culmine in quel momento. In effetti, Alliata poneva quello che può considerarsi un problema ancora irrisolto della museografia a tutti i livelli: gli oggetti devono essere necessariamente musealizzati, anche in presenza della possibilità di tenerli nei siti naturali come palazzi, chiese, strade, per i quali sono stati creati? Nella fattispecie don Francesco – per interesse o per orgoglio dinastico – sosteneva proprio la necessità di non smembrare una unità abitativa e i diversi manufatti che ne sottolineavano la variegata storia. La polemica, cui partecipammo anche noi con proteste ufficiali dirette al Ministero dei beni culturali, sortì l’effetto del passaggio dei documenti all’Archivio di Stato di Palermo, dove si cominciò un accurato ordinamento: oggi si possono consultare liberamente, per le esigenze degli studiosi di tutto il mondo. Tuttavia resta il rimpianto di non aver provato a sperimentare il progetto di Alliata, che il principe volle fissare in un pamphlet, dal titolo Progetto degli Alliata di Villafranca per recupero e destinazione di Palazzo Villafranca. Febbraio 1997. Un progetto ambizioso, utopico, com’era nella natura delle attività intraprese dal principe, sempre dirette comunque alla valorizzazione anche a fini economici di un patrimonio inestimabile.
Fu comunque per me quella occasione l’inizio di una frequentazione col principe, durata quasi un decennio, a volte intensa, soprattutto tra il 2000 e il 2004, a volte sporadica e limitata ai saluti telefonici. Nel 1996 avevamo creato una manifestazione chiamata Medfest Buccheri, al fine di riscoprire il Medioevo, anche là dove era completamente obliterato. Era un modo di coniugare l’interesse culturale con le finalità turistiche. Per l’edizione del 2000 pensammo che sarebbe stato bello introdurre un convegno dedicato all’alimentazione. In questo fummo subito assecondati dalla direttrice artistica del Medfest. Contattai don Francesco, spiegandogli il progetto e chiedendogli di suggerirmi qualche altro bravo relatore. Il principe me ne fece uno solo, ma era il migliore, per lui (ed era la realtà): Carmelo Spadaro di Passanitello, un caro amico, realmente tra i massimi cultori degli studi gastronomici in Sicilia. Il Convegno, sottolineato da uno spettacolare banchetto, si tenne il 18 agosto del 2000. Svolsero le loro relazioni don Francesco Alliata (“Il rilancio della gastronomia familiare attraverso l’unione dei Comuni feudali”), Lavinia Gazzè, Giuseppe dell’Oglio, Giuseppe Cicero, Carmelo Spadaro (“Il ruolo della Sicilia nella formazione di una Comunità alimentare”), Vittoria Alliata, Giuseppe Laudani e diversi noti chef siciliani. Fu un evento memorabile: peccato non aver raccolto e pubblicato le relazioni.
Alle stampe fu fortunatamente data la relazione che don Francesco tenne per il convegno di Italia Nostra, tenutosi a Siracusa nel 2001, il cui titolo era “La neve degli Iblei: piacere della mensa e rimedio dei malanni”. Don Francesco parlò della “Nascita ed evoluzione del gelato”, e fu in quell’occasione che assaggiammo la sua prelibata produzione di gelati “industriali”, che usciva sotto il marchio “XIV Duca di Salaparuta”. Significativo quanto scrisse alla fine della sua relazione:
«Ed ecco infine, la mia presenza ed il mio ruolo nel mondo dei gelati dove fui catapultato nel 1956 da una serie di non prevedibili fatti: un caso o un destino? Con il mio amico ed inseparabile socio nelle nostre avventure imprenditoriali giovanili Pietro Moncada di Paternò, ci fu richiesto dai proprietari dall’azienda che produceva i gelati Algida di introdurli in Sicilia. Accettammo e ci mettemmo subito al lavoro incontrando immense difficoltà. “Con quale coraggio, ci dicevano i baristi di Licata o Raffadali o Siracusa, venite a vendere dei gelati pesanti fatti a macchina a noi Siciliani che siamo i re dei gelati?”. In effetti l’alta percentuale di grassi (dal 10 al 14 %) ed il forte sapore di latte facevano a pugni con i vivaci e forti sapori della nostra granita, dello spongato, dei pezzi duri tradizionali [...]. Io mi sentii un vero traditore della mia terra quale demolitore di uno dei nostri maggiori vanti dolciari: per farmi perdonare da me stesso, visto che avevo acquisito ormai una buona conoscenza della moderna catena del freddo, [...] mi sembrò corretto mettermi al lavoro per produrre industrialmente le nostre antiche specialità a partire dalla granita – il gelato a scagliette di sola frutta – e dello spongato – il gelato soffice di sola frutta. Ho impiegato 30 anni di esperimenti, tentativi, delusioni per riuscire nell’intento, dal 1962, quando intrapresi l’avventura. [...] Il successo dell’impresa fu determinato dal buon senso che mi ispirò sempre, e dalla tenacia che mi sostenne, sempre più determinata quante più difficoltà si opponevano. Dopo aver superato inimmaginabili difficoltà, dopo aver creato le tecnologie ed i macchinari specifici di produzione, da qualche anno, ormai, posso offrire le granite e gli spongati industriali, di lunga conservazione, fabbricati con le stesse ricette antiche, perfette nella loro semplicità e naturalità: succhi, zucchero e acqua. Non li offro solo ai consumatori siciliani come si devono limitare a fare i nostri bravi artigiani, ma potenzialmente a tutto il mondo dove possono arrivare grazie alla catena del freddo a meno 20 gradi. In questo modo ho pagato il mio debito di coscienza verso il gelato siciliano che credevo di avere tradito e distrutto».
Don Francesco era, nonostante la sua “frequentazione” col freddo, un vulcano. Non si fermava. Nell’occasione del convegno di Buccheri del 2000 il principe comunicò ufficialmente la nascita della prima “Associazione dei Comuni feudali siciliani”, in acronimo ANCOF. Ne fece parte anche il Comune di Buccheri. Ci riunimmo la prima volta a Villa Valguarnera e fu come entrare in un set cinematografico: c’eravamo i rappresentanti dei tanti comuni “appartenuti” ai Villafranca. Assieme a sindaci di buona cultura professionale, c’erano più modesti sindaci di paese, di piccoli centri, che per la prima volta forse si trovavano nelle sale di un palazzo storico, persi – come tutti d’altronde – nelle spire della storia che ogni angolo, ogni oggetto del palazzo trasudava. Per ognuno, per i più umili in particolare, il principe si mostrava cordiale e generoso, mentre si inalberava, lancia in resta, alla presenza di pretenziosi politici e di imbecilli di turno.
Nello statuto dell’Associazione spiccava l’articolo che dichiarava che, tra i fini, v’era che «i giovani non lascino più i loro paesi, ritrovando in essi motivi per un avanzamento professionale e non, come spesso accade oggi, impedimenti causati dalla perifericità geografica [...]». Il culmine della vita di questa Associazione, che intendeva valorizzare i comuni aderenti sotto ogni profilo (economico, sociale, culturale), fu il Convegno di Catania del 7 Febbraio 2002, tenutosi a Palazzo Biscari, alla presenza delle autorità regionali e locali, tra cui il sindaco Enzo Bianco, il Presidente della Provincia di Catania Nello Musumeci e ben 25 sindaci siciliani, oltre alla discreta presenza dei nomi della più blasonata nobiltà siciliana. Ogni comune esponeva i prodotti del territorio e pannelli espositivi sulla propria storia. L’associazione poteva vivere solo se i sindaci aderenti avessero assicurato la continuità amministrativa: ma bastò la defezione di pochi comuni, a causa di avvicendamenti politici, perché l’associazione cominciasse a declinare. Non fu sciolta mai, ma nei fatti non operò più, e don Francesco prese altre rotte.
Gli anni passano e rivedo don Francesco a Palermo, invecchiato ma sempre presente a sé e agli altri: eccolo ad un convegno organizzato da “Ice-Cube Sicilia”, industria produttrice di ghiaccio a Termini Imerese, tenutosi a Palermo nel 2013, a parlare ancora di neve, di gelati, della sua famiglia, della sua Sicilia. In quell’occasione il regista Nello Correale presentò l’anteprima del docu-film Il Signore della neve: protagonista ancora una volta don Francesco Alliata, che ad industriali del freddo, provenienti da Svezia, Norvegia e altri Paesi del Nord Europa, sorpresi nel vedere come i Siciliani si fossero cimentati nell’arte del freddo con grandi risultati, illustrò un’invenzione tutta siciliana, senza cui non sarebbe nato mai il gelato: la gelatiera, un tempo detta sorbettiera.
Poi un giorno l’annuncio: non che non ci si aspettava anche per lui l’estrema ora, ma pareva a tutti che ancora don Francesco dovesse fare qualcos’altro per la sua amata terra, per sé e per il suo illustre Casato.
Dialoghi Mediterranei, n.18, marzo 2016
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Luigi Lombardo, già direttore della Biblioteca comunale di Buccheri (SR), ha insegnato nella Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Catania. Nel 1971 ha collaborato alla nascita della Casa Museo, dove, dopo la morte di A. Uccello, ha organizzato diverse mostre etnografiche. Alterna la ricerca storico-archivistica a quella etno-antropologica con particolare riferimento alle tradizioni popolari dell’area iblea. Le sue ultime ricerche sono orientate verso lo studio delle culture alimentari mediterranee.
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