di Bianca Navarra
“Fino alla fine” è un film di Gabriele Muccino. Si tratta di un remake del celebre “Victoria”, pellicola d’azione ambientata a Berlino nel 2015. Viene naturale chiedersi: perché Muccino ha scelto di reinterpretare proprio questo film? E, soprattutto, perché ambientarlo a Palermo? Che cosa ha spinto il regista a connettere idealmente Berlino e Palermo, due città tanto diverse ma accomunate da una ricca cultura e da un senso di mistero macabro e di perdizione?
Questi elementi, la ricchezza culturale e una certa inquietudine, emergono anche attraverso le due figure femminili che aprono il film: due sorellastre, l’una complementare all’altra, protagoniste nei primi minuti della narrazione. Entrambe sono profondamente legate all’arte, alla musica e alla cultura. È la sorellastra maggiore, Rachel, a portare Sophie, la protagonista indiscussa del film, a scoprire Palermo. La motivazione di questo viaggio risiede nella fascinazione per la storia della città, crocevia di culture ed etnie diverse. Palermo, con la sua bellezza intrinseca, il mare e il patrimonio culturale, rimane sempre presente, sì, ma sullo sfondo. Riconoscibile forse solo agli occhi di chi conosce bene la città, sia un palermitano doc. o anche un visitatore particolarmente attento o istruito.
Sin dalla prima scena, ambientata a Mondello, lo spettatore viene quasi forzato a rivolgere lo sguardo altrove. È costretto a protrarsi per scoprire la verità, anche se ciò comporta ansia. Non si tratta del cinema classico americano in cui lo spettatore scena dopo scena è accompagnato comodamente nel corso della narrazione. Questo senso di disorientamento si evince ad esempio quando le due protagoniste arrivano in hotel: qui, la videocamera si sofferma sulla sorella maggiore, che tiene in mano un dépliant con i principali monumenti palermitani. Sophie, invece, si trova ai margini dell’inquadratura, intenta a guardare oltre, verso l’esterno, verso la spiaggia e il divertimento, verso l’ignoto. La spiaggia diventa così simbolo di evasione, un luogo dove ci si perde, ma non necessariamente per ritrovare sé stessi.
Muccino costruisce il film con un ritmo volutamente affannoso, amplificato da una colonna sonora martellante e da movimenti di camera rapidi, talvolta volutamente grezzi, quasi amatoriali. Uno stile riconoscibile. Dopotutto, se riconosciamo un film di Quentin Tarantino dall’utilizzo di colori sgargianti e dalle inquadrature dei piedi, la firma personale di Muccino è qui espressa attraverso la rappresentazione costante di personaggi che urlano, litigano e manifestano un’aggressività tanto evidente quanto, a tratti, sotterranea. Quest’ultima, però, non riesce mai a esplodere completamente, rimanendo soffocata, sospesa tra la tensione verbale e quella fisica.
“Fino alla fine” è un racconto intenso e doloroso, una valanga di emozioni e scelte che conducono i protagonisti sempre più giù, verso l’oscurità. La trama narra una storia che potrebbe benissimo essere “reale”, seppur difficile da accettare e digerire, perché mette in scena con brutalità l’aggressività, la depressione e il senso di smarrimento che spesso caratterizzano alcune delle emozioni giovanili. Sophie vive appieno le sue emozioni, anche quelle più cupe, mettendosi a nudo e offrendo al pubblico un frammento di autenticità solo in un contesto ben specifico.
Ma attenzione, caro lettore, il momento più intenso non risiede tanto nelle scene di intimità fisica – come il rapporto sessuale in cui il fiato appanna l’obiettivo della videocamera, creando un effetto idilliaco, di estasi, simile a un assolo di chitarra – quanto nei momenti in cui Sophie si racconta completamente, mostrando il suo dolore con autenticità e vulnerabilità. La sua aggressività, in queste circostanze, diventa genuina, capace di creare un legame emotivo con lo spettatore.
Tuttavia, è necessario avvertire chi spera di ritrovare una rappresentazione autentica di Palermo: ne rimarrà deluso. La città, così come viene mostrata, non è la Palermo reale, ma un luogo caotico e complesso, dove il senso di perdita prevale. Forse, sono proprio queste caratteristiche a rendere Berlino e Palermo simili, in una narrazione che esplora il disordine e il caos interiore dei personaggi. Sole e bellezza rimangono sullo sfondo, creando una cornice in cui ci si può smarrire, ma senza mai ritrovare pace in questo racconto.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
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Bianca Navarra, giovane laureata in Scienze della Comunicazione per I Media e le Istituzioni, specialistica in comunicazione il patrimonio culturale LLO di Erasmus Student Network Palermo.
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