E poi ci sono libri che all’improvviso rivelano sentimenti che appartengono alla storia del mare. Sottili, incarnati nell’essenza stessa della natura. Fili del cuore di cui solo la memoria conosce le ragioni. Una eco, un tuono silente alle porte dell’anima. Che come un prodigio diventa cosmo. La Porziuncola di una vicenda sacra, il racconto di un mito. Che appartiene agli uomini, questa volta.
No, l’Olimpo non c’entra niente. I torti degli dèi, le loro arroganti presunzioni qui sono spazzati via dalle mirabolanti imprese di un re. Che avrebbe ragionato con loro assiso sui templi pur di addomesticare la leggenda alla verità. Il tesoro di chi abita quaggiù, e conosce i venti, le maree, gli uomini. E guarda il destino dritto negli occhi.
Ninni Ravazza, autore di decine di testi e saggi su questo mondo arcaico che sparge vita e dottrina fra tonni, banchine, barche e coralli, è il mentore di un universo che grazie a lui rivive; anzi non è mai stato dismesso. I suoi racconti hanno dentro l’energia per trasportare davanti a noi remote emozioni, costruendo sulle loro fondamenta una nuova attualità. Palesando in questo modo un amore per la cronaca che diventa storia con la esse maiuscola. Il frutto di accurati studi e ricerche, ma anche di testimonianze, la maggior parte vissute in prima persona.
Rais, una storia di mare (Quick edizioni, 2020) è uno dei pezzi di questo cammino. Il nuovo capitolo di un romanzo popolare che palpita di passioni mai sopite. Una perfetta storia di tenerezze, pericoli, dolori, avventure, successi. Il mito dell’eroe, Odisseo, che dopo mille peripezie trova nella fuga il senso del ritorno. Il testo di Ninni Ravazza esplora, con un linguaggio semplice e maieutico, le vicende ispirate da Mommo Solina, l’ultimo grande Rais del Mediterraneo. Rispettando tempi e cronologia. In tonnara a 14 anni; sulla barchetta del padre pescespadaro fino a 18 anni; la chiamata alle armi nel 1937. Sopravvissuto alla battaglia di Capo Matapan, sull’incrociatore Zara, è stato per giorni interi a galleggiare su una zattera prima che sopraggiungessero due cacciatorpediniere inglesi a salvare i naufraghi. Al rientro, lo attendeva ancora la tonnara. Dopo quattro stagioni come pescespadaro, e due anni da capitano del rimorchiatore, nel 1954 è capo Rais”.
«Ho voluto raccontare attraverso la sua vita l’epoca dei pescatori del secolo scorso. Persone umili che di fronte al mare sono divenuti eroi. Non è forse un caso che, incorrendo in un inconsapevole errore lessicale guardando con malinconia il passato si dolevano che “l’epica”, cioè il tempo, è cambiato», scrive Ravazza nella prefazione. Il borgo di Bonagia, a pochi chilometri da Trapani, è il microcosmo in cui gli eventi sono la rappresentazione del passaggio della storia in tutte le declinazioni possibili: l’infanzia fra scogli e barche, la scuola difficile da amare con un mare così davanti agli occhi, gli amici, il grande amore, la pesca del pesce spada, quella delle spugne a Sfax.
La guerra, l’affondamento della nave Zara nella battaglia navale di Capo Matapan, diventa l’apologia della resistenza, il nutrimento di un destino che qui si compie in forma di diario. «La nottata è passata. Pensavamo di morire e invece siamo ancora qui, tutti e diciannove su due zatteroni legati insieme. Il sole illumina relitti e cadaveri, zattere e naufraghi. Tremiamo per il freddo. Qualcuno ci verrà a cercare. Speriamo. No, non addormentatevi, muovetevi sempre, remate, non importa verso dove, basta che ci riscaldiamo. A mezzogiorno un aereo ci passa sopra due o tre volte, è inglese. Stavolta è finita Eugenio, ci sparerà. E invece no, il pilota si abbassa, ci saluta con la mano e se ne va. Non spara. Ora lo sanno che siamo qui, vivi, magari lo comunicano alle nostre navi».
I passi della guerra, solo apparentemente disgiunti dal resto del libro, diventano sullo spartito di Ravazza la forza del destino. Un pentagramma di potenza, tempra e saggezza. Come se quelle lunghe ore trascorse in acqua fossero il preludio, ma anche l’epilogo, di una intera stagione di vita. Un posto da cui ricominciare senza mai abbandonare il momento, l’attimo in cui può cambiare tutto. E poi la tonnara, la carezza del fato, le sirene senza il canto ingannatore. Più di venti anni, dal 1979 al 1998, con la corona di Rais sul capo. Che non è solo un mestiere, un titolo di responsabilità, è molto di più: un posto dove sognare, patire, crescere i figli.
Una saggezza che Ravazza legge sulla faccia del Rais. Ogni ruga un cerchio della quercia, l’impronta del mare, geroglifici disegnati dalla vita. E fra le vene gonfie dal tempo, i segreti della raisia: tenacia, testardaggine, curiosità, attitudine al comando, fatica. Ma soprattutto passione e cuore. Tanto cuore da buttarlo giù nelle reti solo per il gusto di riprenderlo a mani piene. Sì, perché da questa pozione miracolosa nasce la magia di questo re che da solo in mezzo alla tonnara orchestra i tonnaroti. La metafora di un gruppo addestrato per il lavoro. Gli istinti ragionati e geometrici, la spontaneità ponderata e calcolata, gli occhi attenti, ogni movimento delle mani studiato come al teatro.
L’autore, che in tonnara è stato sommozzatore dal 1984 al 2000, ha amato troppo il suo Rais per tradirne il linguaggio. Che queste pagine consegnano all’antropologia di un popolo intero alla ricerca di una identità. Che qui è raggiunta e svelata. Un glossario che in coda rivela espressioni, alcune onomatopeiche, che dipingono Solina; anzi sono proprio i colori dei suoi giorni. «Per rispettare l’universo umano, e culturale dei miei amici marinai ho cercato di trascrivere fedelmente il modo di parlare a volte magari poco rispettoso della coniugazione e della grammatica». Ma vero, profondamente vero. La verità di chi sa parlare col cielo. Idealizzata, profetizzata e proclamata dall’eroe greco Odisseo. Che fa del suo ritorno a casa il capolavoro di una esistenza intera.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
______________________________________________________________
Giacomo Pilati, giornalista e scrittore, i suoi romanzi sono: Le Siciliane (Coppola), Le altre Siciliane (Coppola), La città dei poveri (Il Pozzo di Giacobbe), Minchia di re (Mursia), Sulla punta del mare (Mursia), Le nuove Siciliane (Di Girolamo), Morsi d’Italia (Tarka), Piccolo almanacco di emozioni (Imprimatur), Dell’’inutile amore (Di Girolamo). Nel 2009 da Minchia di re è stato tratto il film Viola di Mare in concorso al Festival internazionale del cinema di Roma, e un monologo messo in scena in diverse parti del mondo da Isabella Carloni. I suoi libri sono stati pubblicati in Francia, Stati Uniti, Russia. Collabora con diversi giornali. Si è aggiudicato due volte il Premio nazionale di giornalismo Giuseppe Fava.
_______________________________________________________________