di Paolo Giansiracusa
I Fondi fotografici privati sono beni culturali da recuperare, conservare, curare. Sono un patrimonio etnoantropologico di estrema importanza. Sono documenti di storia, di storie, di costumi, di vita. Come l’Archivio Ferla di Tristaino che consta di 347 fotografie d’altri tempi, autentiche feritoie di luce e memoria su un mondo che non c’è più, ricordi di un sistema sociale che si è dissolto sotto i nostri occhi, polverizzandosi per sempre.
Questo patrimonio fotografico è pertanto la reliquia, il documento sacro di quel film dell’esistenza che si è svolto nei nostri centri abitati, nelle nostre campagne, nelle case della gente più umile, nei palazzetti della borghesia più evoluta e nei salotti dell’aristocrazia siciliana, raffinata e moderna.
Le immagini nell’insieme costituiscono l’itinerario emozionale di un viaggiatore curioso, di un fotografo ambulante che sapeva cogliere i segni della bellezza in ogni sua espressione. L’anonimo artista, con consapevolezza, ci ha lasciato rilievi fotografici di architetture e sculture, di dipinti e di feste, di fanciulle in fiore e di giovanotti aitanti pronti ad affrontare la vita con la gioia di chi guarda il divenire con la passione nel cuore.
Sono immagini databili intorno al 1910, come è documentato da uno scatto riguardante un contadino di Castiglione di Sicilia. L’umanità nuova che fuoriesce dal prezioso bianconero è disinvolta e serena; pur con i segni del sacrificio del duro lavoro si esprime con una gestualità composta e un’espressione distesa.
Ancora la grande guerra (luglio 1914 – novembre 1918) non aveva solcato di sangue la nazione e l’Europa e l’armonia antica delle famiglie non conosceva l’ombra della morte e i segni dei corpi deturpati. Con la partenza al fronte delle forze migliori, quasi in ogni casa, da lì a poco, giunsero giovani mutilati. Nei casi peggiori, e furono tanti, le famiglie piansero un figlio defunto.
Nelle foto le giovani prostitute sono ancora modelle divertite, i campi sono rigogliosi di vita, gli anziani siedono tranquilli nei crocicchi dei paesi, i rampolli della ricca borghesia si esprimono in pose eleganti.
Paolo Ferla ha ritrovato le lastre diversi anni fa in una soffitta del settecentesco Palazzo Gandolfo Maggiore, nel cuore del centro storico di Vizzini, cittadina di cui, tra l’altro, la collezione contiene rare immagini della Cunziria. La casa gentilizia, espressione luminosa del mondo verghiano, era allora di proprietà della nonna di Paolo, Luigia Gandolfo dei Baroni di San Giuseppe.
Ritrovamento avvenuto casualmente, come i casi analoghi delle foto di Gioacchino Iacono Caruso di Comiso e quelle di Francesco Meli Ciarcià di Chiaramonte Gulfi pubblicate da Gesualdo Bufalino (Il tempo in posa, Palermo 2000).
La polvere del tempo, sotto gli impalcati lignei di una delle dimore più prestigiose dell’entroterra siciliano, restituì un patrimonio di inestimabile valore, un autentico tesoro per la storia, per l’antropologia, per l’arte, per il costume e le tradizioni dell’Isola.
Chi è l’autore delle foto dell’Archivio Ferla? È la prima domanda che ci poniamo scorrendo questo insieme di immagini tese a raccontarci persone e luoghi della Sicilia dei primi anni del Novecento.
Subito dopo ci chiediamo come mai la collezione, oltre alle foto dei Baroni Gandolfo di San Giuseppe, include un campionario assortito di rilievi che va dal paesaggio agricolo alle prostitute in posa, dalla Madonna col Bambino di Francesco Laurana (ancora carica dei colori popolari che sporcavano il delicato marmo bianco) alle arcate della ferrovia di Catania bagnate dalle acque basse del porticciolo etneo non ancora interrato.
Perché abbandonò a Vizzini, nella casa dei Gandolfo, il suo patrimonio di vetri al collodio? Niente, dallo studio delle immagini, si riesce a comprendere. L’anonimo fotografo rimane avvolto nel mistero con l’insieme straordinario di figure e ambienti che ha immortalato e di cui oggi riusciamo ad apprezzare la bellezza.
Ciò che appare evidente è l’abilità tecnica del suo lavoro che, unita ad una spiccata sensibilità per la strutturazione compositiva e per il dosaggio della luce, lo inserisce nell’ambito di quei fotografi-artisti che, muovendosi come ambulanti nei territori più impervi dell’Isola, hanno documentato l’altra faccia del Grand Tour in cui il mondo contadino e il nudo proibito si mischiano, compenetrandosi e dissolvendosi nelle brume della Belle Époque isolana.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
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Paolo Giansiracusa, Storico dell’arte, Professore Emerito Ordinario di Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti. Già Docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania. Componente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa-Roma. Direttore del M.A.C.T. Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea di Troina. Fondatore e Direttore della Rivista Nazionale “Quaderni del Mediterraneo”.
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