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Una personale nota sulla Questione Palestinese

1-cartinadi Antonino Pellitteri

I tragici avvenimenti che riguardano la Palestina a partire dallo scorso mese di Ottobre 2023 ripropongono la questione palestinese in tutta la sua drammaticità, quale questione centrale nel Mondo arabo e islamico e nel bacino meridionale del Mediterraneo.

Una novità è costituita dalla posizione assunta dai governi dell’Unione europea, che ad eccezione di pochi Paesi, come la Spagna e l’Irlanda, tendono a negare i fatti storici a favore di una geopolitica asservita ad interessi d’oltreoceano. Per la prima volta nella storia dell’Europa occidentale, come si è formata all’indomani del Secondo conflitto mondiale, nessuno dei grandi Paesi dell’UE può svolgere un ruolo di mediazione nel conflitto che insanguina Gazza e la Palestina tutta. Non lo può fare l’Italia, che da anni non ha una politica estera mediterranea, che era nel passato, come è noto, una caratteristica nazionale, nonostante la partecipazione dell’Italia alla Nato e i legami con le Amministrazioni americane. Non tenere conto della storia è fatto che lo si è già visto a proposito del conflitto in Ucraina, e le conseguenze sono la creazione di nuovi muri, di incomprensioni e nello stesso tempo di totalitarismi e del cosiddetto pensiero unico che poco hanno a che vedere con la storia, anche recente, delle società europee.  

la-palestina-giardina-liverani-scarcia-editori-riunitiAltra novità, questa positiva, concerne la grande mobilitazione popolare nei Paesi della Unione e negli stessi Stati Uniti contro i genocidi a Gazza e a sostegno della Resistenza palestinese. Fino a qualche mese fa sembrava una drammatica normalità quanto accadeva nei territori palestinesi occupati in fatto di repressione, di pulizia etnica e colonizzazione sionista. Sembrava che la cosiddetta primavera araba del 2011 avesse relegato la questione palestinese in secondo piano e che la normalizzazione delle relazioni tra alcuni ricchi Paesi arabi del Golfo e il governo di Tel Aviv spianasse la strada verso una pacificazione nel Vicino Oriente e quindi nella Palestina occupata. Ma i recenti e tragici fatti dimostrano che così non è e che non si può barattare la normalizzazione con una pretesa sicurezza regionale, senza costruire una pace giusta che tenga conto dei diritti storici dei popoli della regione e innanzitutto del popolo arabo di Palestina.

Quindi torniamo al ruolo fondamentale della Storia. La Palestina ha una storia antichissima, per cui consiglio la lettura di un bel saggio dal titolo La Palestina. Storia di una terra. L’età antica e cristiana, l’Islam. Le questioni attuali (Editori Riuniti, Roma 1987), i cui autori italiani sono grandi specialisti: A. Giardina, M. Liverani, B. Scarcia. La conquista islamica avvenne nel VII secolo dell’era cristiana e la Palestina fu da allora considerata territorio meridionale della Siria storica e/o naturale (Bilad al-Sham).

sodapdf-converted-7Fu così fino al secolo scorso, ossia fino al Primo conflitto mondiale, quando Siria e Palestina erano province ottomane. Le società che abitavano e abitano questa regione, sono composite dal punto di vista etnico e confessionale, dove musulmani di diverse scuole giuridiche, cristiani di diverse tendenze e comunità israelite, rimaste nella regione dopo la fine delle guerre giudaiche al tempo dell’imperatore romano Tito (I secolo d.c.), o arrivate successivamente dopo l’espulsione degli Ebrei dall’Andalusia (sec. XV) sotto protezione islamo-ottomana, basavano la loro esistenza su una sostanziale convivenza (in arabo ta’ayush).

Il grande mutamento si ebbe agli inizi del sec. XIX ad opera delle potenze coloniali europee, Impero britannico e Francia. Nel 1916 vennero firmati gli accordi segreti Sykes-Picot tra Inghilterra e Francia, secondo cui l’Asia arabo-islamica andava divisa in zone di influenza tra le due potenze coloniali a seguito del crollo dell’Impero ottomano nella Grande Guerra mondiale. Nel 1917 la Gran Bretagna fece proprie le istanze del sionismo (Dichiarazione Balfour), nazionalismo ebraico nato in Europa alla fine dell’Ottocento, che rivendicava un focolare nazionale ebraico nella Palestina, che, come si è detto, era amministrata dalla Sublime Porta come territorio meridionale della Siria storica.

3-lettteraVa detto che le pretese dei sionisti europei e la stessa ideologia sionista, vennero osteggiate non solo dai palestinesi e dagli arabi, ma dalle comunità ebraiche ortodosse in Europa, in America e nel Mondo arabo-islamico. Secondo queste comunità il nazionalismo sionista non era confacente con l’ebraismo dei padri e avrebbe prodotto disastri per le stesse comunità israelite sparse per il mondo. Tra gli ebrei antisionisti si ricorda il celebre fisico Albert Einstein (m. 1955), di cui qui propongo copia della lettera significativa da lui inviata agli amici americani favorevoli allo Stato di Israele in Palestina.

Nel 1948 venne fondata in Palestina l’entità statuale ebraico-sionista (Israele) con l’ausilio della Gran Bretagna, che aveva ottenuto il Mandato sulla Palestina nel 1920. La fondazione di Israele, sostenuta dall’Occidente, venne rifiutata dai palestinesi e dagli Arabi, sconfitti nella guerra di quell’anno, nota col nome di Nakba o disastro dagli Arabi, guerra di “liberazione” dai sionisti. Alla guerra seguì l’espulsione di migliaia di palestinesi dalle loro case e terre; nota è in Occidente – anche grazie al romanzo dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani (m. 1972, ucciso a Beirut da agenti del Mossad israeliano) dal titolo Ritorno a Hayfa – la pulizia etnica operata a Hayfa nel Nord della Galilea, dove centinaia di famiglie furono costrette dai gruppi armati sionisti spalleggiati dagli Inglesi ad abbandonare la città in cerca di rifugio negli attuali Libano e Siria.

kanafani2A tale proposito va ricordato che il 9 aprile del 1948 vi era stato il massacro a Deyr Yasin, villaggio palestinese vicino a Gerusalemme, che contava allora circa 600 abitanti. 120 combattenti sionisti appartenenti all’Irgun e alla Lehi (comunemente nota come “banda Stern”), di cui uno dei capi era Y. Shamir dal 1944 (poi primo ministro israeliano) attaccarono il villaggio. Gli abitanti resistettero all’attacco terroristico, che si risolse in una lotta casa per casa e nell’uccisione di centinaia di civili, tra cui donne e bambini. I superstiti furono espulsi.

Sarebbe lungo raccontare la storia del conflitto arabo-israeliano e della questione palestinese, anche se l’entità statuale israeliana in Palestina è recente. Lo Stato di Israele infatti venne fondato, come si è accennato, nel 1948. Mi preme ribadire che la fondazione di questa nuova entità statuale in Palestina e nel Vicino Oriente arabo-islamico si è fondata sull’ideologia sionista, nata in Europa, e sull’immigrazione nella terra di Palestina – che non era il vuoto, come si riconosce nella stessa Dichiarazione Balfour del 1917 – di migliaia di israeliti provenienti dall’Europa (i cosiddetti ebrei askenazi). Ciò naturalmente, come si è visto, ha prodotto una “democrazia” che ha teso ad emarginare gli Arabi palestinesi, musulmani e cristiani, abitanti originari della Palestina, rimasti nella loro terra (detti Arabi del ‘48), ad espellere con la forza tutti gli altri che hanno trovato rifugio nei Paesi arabi vicini, soprattutto in Libano e Siria, dove esistono i più grandi campi profughi palestinesi, oggetto, come in Libano, di massacri e violenze da parte di Israele, dei suoi servizi segreti e/o dai suoi alleati (vedi la strage di Sabra e Shatila nel 1982 durante l’occupazione israeliana di Beirut).

Ma non solo, la cosiddetta democrazia israeliana-sionista non ha mai considerato con pari diritti le comunità ebraiche ortodosse avversarie dell’ideologia nazional-sionista, preesistenti in Palestina o immigrate. Così come molti israeliti sefarditi, provenienti dai Paesi arabi e, più recentemente, dall’Etiopia (falashà) sono visti dai coloni sionisti e dai gruppi ebraici privilegiati come cittadini israeliani di secondo rango. A tale proposito va detto che la gran parte delle élites politiche, economiche e culturali di Israele appartengono alle comunità ebraiche provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Basti muoversi a Tel Aviv o nella parte occidentale di Gerusalemme per notare le differenze politiche, socio-economiche e culturali all’interno della società israeliana, come d’altra parte dimostra la mobilitazione degli israeliani di questi mesi contro le politiche del governo Netanyahu. Sono politiche dello Stato ebraico-sionista che favoriscono da un lato i ceti più benestanti della società israeliana, dall’altro, politiche che hanno accentuato la repressione del Movimento di Resistenza dei palestinesi contro la occupazione militare, favorendo la colonizzazione sionista dei territori occupati in Palestina e nel Golan siriano con la guerra del 1967, occupazione e colonizzazione che l’Onu considera illegittime, e la conseguente pulizia etnica.

Deyr Yasin, villaggio palestinese vicino a Gerusalemme,scomparso dalle mappe dppo il massacro

Deyr Yasin, villaggio palestinese vicino a Gerusalemme, scomparso dalle mappe dopo il massacro del 9 aprile 1948

Ma si tratta di vicende ben note, come la storia recente ci racconta della striscia di Gazza, da tempo sotto assedio israeliano e oggi oggetto di aggressione armata inaudita, di massacri e di genocidio, che nulla hanno a che fare con la cosiddetta autodifesa dello Stato israeliano. Si dimentica infatti che i Palestinesi non hanno uno Stato, che gli Arabi di Palestina subiscono dal 1948 una feroce occupazione di tipo coloniale e la pulizia etnica. Stando così le cose, per il diritto internazionale Israele se si vuole difendere deve togliere l’occupazione e la colonizzazione delle terre occupate. I Palestinesi sempre per il diritto internazionale, sancito dall’Onu, hanno il diritto di resistere all’occupante con ogni mezzo. Riporto pertanto una dichiarazione di Hudà Hijazi, una donna ferita durante un bombardamento israeliano nel Sud del Libano nel Novembre scorso: «Fear Is Not in Our Vocabulary». La Hijazi ha aggiunto: «We are the owners of this land, and we will soon expel you». «To the enemy I say: You killed me in my land. I will kill you in my land as well…the land that you have stolen… the land of Palestine… in Al-Quds, where we will pray».

In conclusione, vorrei precisare alcuni concetti. Il 7 Ottobre 2023 rappresenta solo un momento tra i più drammatici di uno scontro che ha inizio nel 1948. Gazza è Palestina e il Movimento Hamas, acronimo di Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, fondato nel 1987, che le Amministrazioni americane hanno voluto inserire nella lunga lista delle organizzazioni terroriste a loro uso e consumo, è parte della più generale Resistenza palestinese, piaccia o non piaccia a coloro che in Occidente pensano che sia una organizzazione di “destra” e islamista e di conseguenza “terrorista”.

La battaglia degli Arabi e dei Palestinesi non è contro l’ebraismo, ma contro il nazionalismo sionista, sostenuto dagli Usa e oggi anche, e purtroppo, dall’UE. Quindi, nessuna guerra di religione è in corso, cosa che il sionismo internazionale vorrebbe far credere.

La soluzione? Non credo che sia possibile il piano dei “due Stati e due popoli”. Gli accordi di Oslo del 1993 sono carta straccia, perché così hanno voluto i governi israeliani, non ritirandosi dai territori palestinesi occupati e intensificando la colonizzazione sionista in Cisgiordania e attorno a Gazza. Basta dare una occhiata alla carta geografica oggi per capire che uno Stato palestinese indipendente è praticamente impossibilitato ad esistere. La cosa più sensata, giusta e veramente risolutiva sarebbe quella di rifondare in Palestina una entità statuale basata sulla ricomposizione multiconfessionale e multietnica nel rispetto dei diritti di tutti e innanzitutto dei diritti dei Palestinesi. Quindi fine dell’occupazione e della pulizia etnica, sradicamento da Israele e dalla Palestina occupata dell’ideologia sionista. Se solo la comunità internazionale lo volesse, non sarebbe impossibile. Già la cosiddetta comunità internazionale è stata l’artefice della creazione di Israele in Palestina nel 1948. D’altra parte molti ricorderanno che la fine dell’apartheid in Sudafrica nel 1994 rese fattibile un dato che sembrava impossibile da realizzare, e che soprattutto le migliaia di bambini uccisi a Gazza e in Palestina lo chiedono.

Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024

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Antonino Pellitteri, ordinario di Storia dei Paesi Arabi e Islamistica presso l’Università di Palermo, si occupa pricipalmente degli sviluppi storico-culturali del Mondo arabo-islamico nel periodo moderno e contemporaneo. Ha curato la traduzione italiana di Storia della Arabia Saudita di Al-’Uthaymin (Sellerio 2001), ed è autore, tra l’altro, di Damasco dal profumo soave (Sellerio 2004) e Introduzione alla storia contemporanea del Mondo arabo (Laterza 2008). Un suo recente articolo, “Al-dawla al-fatimiyya. Politics, history and the reinterpretation of Islam” è stato pubblicato in The Journal of North African Studies (vol.16, n.2, June 2011). Ha poi pubblicato La formazione del pensiero nazionale arabo. Matrici storico-culturali ed elementi costitutivi (FrancoAngeli 2012), e più recentemente, per la stessa casa editrice, Sicilia e Islam. Tracciati oltre la storia (2016).

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