di Vincenzo Maria Corseri – Valentina Richichi
Abbiamo incontrato (con la nuova accezione in cui la pratica è intesa, dunque telematicamente e a distanza) uno dei fondatori e promotori della rivista “Nuova Busambra”, Santo Lombino, per farci raccontare questa breve ma intensa avventura editoriale condotta, negli anni 2012-2014, in un territorio della Sicilia che ha forti legami con la storia dell’intera Isola: la Rocca Busambra.
Santo Lombino, di Bolognetta (Palermo), autore che molti lettori di “Dialoghi Mediterranei” avranno avuto modo di conoscere e apprezzare, essendo collaboratore della rivista da alcuni anni, è ricercatore e storico delle migrazioni, nonché studioso di un’antropologia della narrazione diaristica che dialoga sia con gli studi storici e socio-antropologici che con gli studi linguistici. Nella prima metà degli anni Settanta partecipa ai moti studenteschi e operai, collaborando a Palermo con Mauro Rostagno, Peppino Impastato e molti altri protagonisti delle lotte culturali, sociali e politiche di quegli anni.
Nella sua lunga e articolata vita professionale, Santo Lombino ha svolto diversi mestieri (ferroviere, insegnante di discipline letterarie alle medie, professore di filosofia e storia nei licei), confrontandosi con le molteplici realtà sociali e lavorative conosciute (in Calabria, in Lombardia e, in Sicilia, a Palermo e nel territorio della sua provincia) senza mai tralasciare l’attenta osservazione dei fenomeni culturali a esse correlati.
Da alcuni decenni, soprattutto in Sicilia, Santo Lombino ha organizzato – e continua a organizzare e promuovere – associazioni culturali, mostre, convegni di studio coinvolgendo decine di studiosi, provenienti dal mondo accademico e non, ma anche artisti, animatori sociali, giovani studenti e semplici appassionati. Da attento “cacciatore di memorie”, avendo anche partecipato fin dai primi anni Ottanta ad alcuni convegni di studio sulle scritture autobiografiche popolari, nel 1988 viene contattato da Tommaso Bordonaro, un contadino emigrato negli Stati Uniti e scrittore autodidatta che in tre quaderni aveva raccontato la sua vita in un italiano stentato, quasi senza punteggiatura. Dopo aver trascritto il testo con la sua Olivetti Lettera 32, Lombino invia l’autobiografia di Bordonaro a Saverio Tutino, giornalista, scrittore e fondatore del premio di Pieve Santo Stefano (Arezzo), oggi sede dell’Archivio diaristico nazionale, il quale gli risponde dopo qualche tempo dicendogli che questo diario «era proprio ciò che la giuria andava cercando», una giuria allora formata da Natalia Ginzburg, Gianfranco Folena, Emilio Franzina e Vivian Lamarque. Il lusinghiero risultato di critica conseguito dal libro durante il premio, indurrà l’editore Einaudi a pubblicarlo con un titolo che sarà lo stesso Santo Lombino a suggerire, La spartenza, con la Prefazione di Natalia Ginzburg. Proprio in riferimento alla scelta di questo titolo, Andrea Camilleri, in un’intervista rilasciata a Gaetano Savatteri nel 2009, afferma: «Devo dire che è un titolo splendido, perché… certo, parla di un emigrante e quindi di una partenza, ma Bordonaro dice “spartenza”, cioè a dire coglie veramente la radice amara, amara, tossica della partenza nella spartenza, cioè nello spartirsi, nel dividersi, nel separarsi, nella separazione dalla propria patria».
Successivamente, non essendo più reperibile in libreria, il diario di Bordonaro è stato ripubblicato, sempre a cura di Santo Lombino, da Navarra Editore, con la Prefazione di Goffredo Fofi.
L’attività di Lombino non si è fermata ovviamente alla pubblicazione de La spartenza. Negli anni, ha scritto numerose prefazioni a testi di narrativa, storia e poesia. Si è occupato di teatro e di teatranti, soprattutto quelli della compagnia del “Teatro del Baglio” di Villafrati, facendo parte per dieci anni del consiglio di amministrazione di tale istituzione. Ha anche scritto libri di storia locale, tra cui I tempi del luogo (1996), Il grano, l’ulivo e l’ogliastro (2015), Un paese al crocevia. Storia di Bolognetta (2016). Il suo ultimo lavoro è la cura del volume antologico Tutti dicono spartenza. Scritti su Tommaso Bordonaro, edito dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani e recensito recentemente su questa rivista da Giuseppe Paternostro (cfr. Oltre La spartenza, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 42, marzo 2020). È inoltre direttore scientifico del Museo delle Spartenze dell’area di Rocca Busambra.
Ma veniamo adesso alla nostra conversazione con lo studioso di Bolognetta intorno alla “Nuova Busambra” e al contesto culturale in cui la rivista è nata e ha preso forma.
Ci piacerebbe che prima spiegassi ai lettori che non ne hanno mai sentito parlare cos’è la Busambra e come possiamo inserirla nella complessa realtà territoriale e socioculturale siciliana.
«Come è noto, dal punto di vista geografico la Rocca Busambra è la cresta rocciosa più alta dei monti Sicani che caratterizza il paesaggio nel territorio meridionale della provincia di Palermo. Essa domina Corleone, Mezzojuso, Prizzi, ma anche una ventina di altri comuni circostanti. Negli anni ’70 Francesco Carbone, nato in Libia ma originario di Godrano, ha per primo elaborato il concetto di “area Busambra” intendendo riferirsi ad un sentire e ad una esperienza antropologica, storica e culturale condivisa, pur con le specificità locali, dalle popolazioni di quei paesi».
La personalità di Francesco Carbone, militante civile e attivista di grande spessore umano e culturale (scomparso nel 1999), mediante un’intensa opera di sensibilizzazione e di stimolo, partendo da Palermo e dalla sua provincia, ha fornito una serie di spunti di riflessione di estrema originalità intorno al dibattito artistico e culturale siciliano e nazionale tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. A Godrano Carbone fonda l’aperiodico “Busambra. Ricerca interculturale”, un progetto editoriale capace di gettare nuova linfa sulle generazioni di quel tempo. Potresti tracciare un tuo personale ricordo di Carbone?
«Carbone era sociologo, artista, critico d’arte, giornalista, scrittore: un intellettuale poliedrico di livello europeo che ha segnato con la sua presenza il nostro territorio e la mia stessa esistenza. L’ho conosciuto a Palermo presso “Nuova Presenza”, insieme libreria e centro propulsore di iniziative culturali, dove Carbone promuoveva un dibattito permanente sulla funzione della letteratura, dell’arte e della ricerca storica nella nostra realtà e stimolava noi giovani alla “attivazione socio-politica” della nostra terra, intrecciando sociologia ed arte, azione locale e pensiero globale. Quando, dopo una lunga pausa, riprese il suo intervento a Godrano, passava sempre dal mio paese e sollecitava la partecipazione mia e di altri giovani alle manifestazioni che organizzava a “Godranopoli”, museo e base di lancio di interventi artistici, teatrali, culturali a raggio intercomunale e a volte regionali, tesi a sollecitare la presa di parola di giovani, cittadini comuni, studiosi, artisti. A Ciccino Carbone la rivista “Nuova Busambra” ha dedicato il numero monografico che esaminava la sua figura di uomo impegnato nella lotta a quella che lui chiamava la “frammentazione dei saperi”. Fu curato da Paola Bisulca, Irene Oliveri, Valeria Sara Lo Bue, ideatrici di un articolato progetto che ha coinvolto ragazzi, giovani, artisti e l’intera popolazione di Godrano nel 2012, cui ha partecipato il compianto artista Giusto Sucato, originario di Misilmeri, che di Francesco fu il più vicino collaboratore».
Dopo circa un trentennio un gruppo di studiosi volle proseguire il discorso di Francesco Carbone fondando la rivista “Nuova Busambra”, con sottotitolo “Natura, culture e società”. Ci vuoi parlare di tale gruppo e delle sue caratteristiche?
«Un gruppo di studiosi legati al territorio sentiva l’esigenza di uno strumento di comunicazione, di riflessione e di dibattito che andasse “alla ricerca del tempo presente”, cercasse di capire cosa stesse accadendo ad ogni livello nell’entroterra palermitano. Naturale che le finalità di tale strumento, calibrate tenendo conto dei mutamenti sociali e culturali avvenuti nel corso del tempo, fossero assai vicine a quelle dell’opera di Carbone. Per due anni si sono tenute a Bolognetta, Marineo, Mezzojuso incontri preparatori, a volte faticosi, tendenti a chiarire tali finalità e a individuare destinatari, linguaggi e rubriche interne del semestrale che si pensava di realizzare. Nell’ampia discussione ci fu anche chi, tra gli intellettuali “cittadini” che avevano collaborato con Carbone, si dissociò dal nostro progetto, ritenendo, a nostro avviso erroneamente, che occuparsi della realtà locale significasse sminuire o tradire il “respiro” europeo della figura di Carbone stesso… Dal dibattito emerse un comitato di redazione formato, oltre che da me, da Francesco Virga, Pino Di Miceli, Nicola Grato, Salvina Chetta, Arturo Anzelmo, Nino Scarpulla ed un gruppo di collaboratori come Paola Bisulca, Orazio Caldarella, la compianta Irene Oliveri, Rosario Giuè, Valeria Sara Lo Bue, Giovanni Giardina, Roberto Lopes, Salvo Cuttitta, Domenico Gambino ed altri. Al loro fianco Carlo Greco, autore delle pagine illustrate di satira, Gianni Schillizzi che ha ideato e progettato la particolare ed apprezzata grafica di copertina, delle rubriche e delle pagine interne e l’editore Tonino Schillizzi che ha curato la stampa dei vari numeri.
Si trattava di persone diverse per storie, interessi di ricerca, orientamento politico, temperamento personale, collocazione professionale, credenze religiose, ma accomunate dalla volontà di comprendere la realtà delle nostre comunità per favorirne il cambiamento in positivo. Il fatto che tali comunità fossero periferiche ci stimolava ad un impegno maggiore, dal momento che eravamo orgogliosi di farci portavoce di punti di vista alternativi e diversi dalle impostazioni “panormocentriche” della vita culturale e politica siciliana. Eravamo convinti che dovesse essere ancora una volta la campagna ad “assediare” la città e a segnalare fenomeni e valori che non coincidessero con gli individualismi, i personalismi e lo spirito di “clan” presenti nei grandi agglomerati urbani».
Il secondo numero della “Nuova Busambra” include una sezione monografica dedicata al tema delle migrazioni. Il territorio della Rocca Busambra è scenario di partenze e ritorni, avvenuti e contraddistinti nelle loro fasi storiche peculiari, a esempio legate alla vicenda della Riforma agraria o risalenti alle più recenti partenze dei primi anni Ottanta. Qual è il tratto distintivo della questione che questo numero della rivista ha inteso evidenziare?
«L’intenzione di questa parte monografica – che intitolammo “Quando affonda l’utopia…” ispirandoci alla tragica vicenda della nave Utopia andata a picco nello stretto di Gibilterra nel 1891 con alcune centinaia di emigranti, tra cui una dozzina della nostra zona – era quella di mettere in evidenza gli aspetti umani del grande esodo che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento aveva visto partire per le rotte transoceaniche centinaia di migliaia di italiani, non solo meridionali, e di siciliani in particolare. La provincia di Palermo aveva costituito un gigantesco serbatoio di manodopera per lo sviluppo industriale degli Stati Uniti e la colonizzazione dell’America meridionale, ed era stata privata di tante energie nuove presenti nei nostri paesi, dove il predominio mafioso ebbe così campo libero, specie dopo la sconfitta del movimento dei Fasci dei Lavoratori. Abbiamo voluto far emergere sia la necessità di conservare e valorizzare l’esperienza migratoria delle popolazioni dell’area, sia l’utilità di mettere a confronto le “nostre migrazioni”, anche interne, con la mobilità che oggi vede protagonisti gruppi di abitanti dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa orientale diretti in Europa con tremendi costi umani dovuti alle traversate del Mediterraneo, e con le migrazioni che oggi vedono decine di migliaia di nostri giovani cercare lavoro e dignità in altri Paesi europei. Un confronto da cui possono emergere analogie e differenze, ma anche la consapevolezza che i movimenti di popolazione fanno parte integrante della storia del genere umano e non è possibile fermarli con muri, reticolati, respingimenti…».
In ognuno dei fascicoli vengono affrontati temi specifici della storia culturale e identitaria della Sicilia, innestandoli nelle più interessanti e complesse analisi del territorio palermitano e siciliano, anche dal punto di vista ambientale e paesaggistico, come ad esempio nel quarto numero della rivista. Abbiamo pure riscontrato, nella sezione monografica del terzo numero, dedicato al tema “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri?” (cfr. n. 3/2013), una particolare attenzione per l’importante ruolo ricoperto dalla Chiesa nel sensibilizzare la comunità della Busambra verso il bene comune e la promozione della persona, spesso prendendo posizione contro la mafia e i poteri forti. È un segno indelebile lasciato anche da personalità dello spessore di don Pino Puglisi, che è stato parroco a Godrano dal 1970 al 1978. Vorresti parlarci un po’ più dettagliatamente di queste parti monografiche?
«Ci è sembrato utilissimo fare il punto sul passato e l’attualità della storica Riserva naturale di Ficuzza, uno dei polmoni verdi della Sicilia, che sono stati messi a fuoco da diversi autori, coordinati da due attenti operatori e studiosi come Orazio Caldarella, botanico e naturalista e Giovanni Giardina, che da anni è impegnato nel Centro di recupero faunistico della LIPU. Ne viene fuori il quadro di una importante risorsa che tendiamo a considerare scontata ed immobile, ma ha in effetti bisogno di tutte le cure che si devono a una realtà così delicata ed esposta a comportamenti umani che possono irreparabilmente danneggiarla. Il nostro quindi era un intento documentaristico, scientifico e pedagogico insieme.
Il terzo numero è uscito in coincidenza con la cerimonia di canonizzazione di Padre Pino Puglisi, che facendo perno nel paese di Godrano ha sviluppato nella zona, prima del passaggio a Palermo, una pastorale incentrata sulla spiritualità intesa non come astrazione dalla realtà sociale ma come cambiamento interiore coordinato al cambiamento delle relazioni interpersonali. La famiglia di padre Puglisi aveva tra l’altro vissuto per alcuni anni a Villafrati, intessendo rapporti che sono continuati nel tempo. Qualcuno ha anche notato i buoni rapporti esistenti tra 3P e Francesco Carbone che operavano nello stesso territorio, almeno per qualche tempo. Quella parte monografica era indirizzata anche ad indagare, a cinquant’anni dal Concilio ecumenico vaticano II, quali risultati avesse avuto tale iniziativa di Giovanni XXIII e di Paolo VI nella vita religiosa delle parrocchie dei nostri paesi, dove i mutamenti sono a volte assai lenti e difficili. Ne è venuto fuori un interessante quadro fatto, come si dice in questi casi, di luci e ombre…».
Il 1° giugno di sette anni fa moriva a Palermo Franco Scaldati, drammaturgo, attore e regista originario di Montelepre, sicuramente una delle voci più interessanti del teatro degli ultimi decenni. A Scaldati avete pensato di dedicare un intero numero monografico della rivista, l’ultimo dei sei pubblicati, con diversi contributi capaci di analizzare e rievocare le istanze più originali e toccanti del suo magistero. Come possiamo considerare, partendo proprio dallo speciale che gli avete dedicato, l’eredità artistica di Scaldati nel panorama culturale attuale?
«Le testimonianze che abbiamo raccolto, di giovani attori allievi di Scaldati, di altri protagonisti della scena teatrale siciliana, di critici locali e nazionali, di giornalisti e uomini politici, hanno ampiamente fornito la misura della perdita inferta a tutti noi dalla scomparsa di Franco Scaldati. La sua concezione del mondo, espressa in modo poetico sul palcoscenico e non solo, partiva anch’essa dalle piccole città, dalle “città nella città” costituite dai quartieri antichi di Palermo. “Il sarto”, operatore culturale di livello nazionale e non solo, teneva particolarmente a far sapere di essere nato a Montelepre, paese della provincia tra i più poveri, dove i genitori erano “sfollati” dalla grande città per sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ci è sembrato che la figura umana e l’intensa opera culturale di Scaldati fossero quanto mai in sintonia col nostro desiderio di valorizzare gli ultimi, gli emarginati, i provinciali, i fragili, in una parola, i “periferici”».
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
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Vincenzo Maria Corseri, dottore di ricerca in Filosofia, è stato redattore delle due riviste dell’Officina di Studi Medievali di Palermo: «Schede Medievali» e «Mediaeval Sophia». Ha collaborato con Luca Parisoli nella cura del volume miscellaneo Il soggetto e la sua identità. Mente e norma, Medioevo e Modernità (Officina di Studi Medievali, Palermo 2010). Ha svolto attività seminariali presso la cattedra di Storia della filosofia medievale dell’Università degli Studi di Palermo e insegnato Estetica, come docente a contratto, presso l’Accademia di Belle Arti “Kandinskij” di Trapani. È stato collaboratore della Facoltà Teologica di Sicilia per la redazione del Dizionario Enciclopedico dei Pensatori e Teologi di Sicilia. Già componente del direttivo della Rete Museale e Naturale Belicina, ha recentemente curato, insieme a Giuseppe L. Bonanno, il volume Cultura storica e tradizioni religiose tra Selinunte e Castelvetrano, una raccolta di studi sulla storia religiosa e culturale del territorio selinuntino (Edizioni dell’Istituto Euroarabo, Mazara del Vallo 2018). Vive a Milano, dove insegna nei licei statali.
Valentina Richichi, laureata in Beni demoetnoantropologici presso l’Università di Palermo e specializzata in Antropologia culturale presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca, si interessa di educazione nelle classi multietniche e di processi migratori. Ha svolto ricerca nel contesto dell’accoglienza ai migranti minori non accompagnati. Attualmente opera nell’ambito dell’editoria e degli studi sull’emigrazione storica siciliana. È membro del comitato scientifico del Museo delle Spartenze di Villafrati (Palermo).
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