L’Antinatalismo
Che la vita sia un abominio, è un enunciato raramente espresso dagli appartenenti al comune consorzio umano. Chi se ne fa interprete, se ha il coraggio di farlo, si espone ad un sicuro stigma sociale. È infatti principio dominante, quasi assoluto, al di là delle comuni convinzioni filosofiche o religiose, che la vita, nonostante distrette e avversità, anche le più feroci e crudeli, sia ‘una cosa buona’.
Che venga intesa come dono, come castigo o come progetto, l’opinione di (quasi) tutti è che sia esistenzialmente irrinunciabile e irrefutabile nella sua essenza, per chi voglia dirsi umano. E chi non aderisce a questa convinzione o è un aspirante suicida o un incosciente pessimista o, semplicemente, un bestemmiatore (queste due ultime ipotesi spesso vanno insieme).
Alla luce del dominante tabù sul senso della vita, dunque, risulta facilmente comprensibile perché quella dell’Antinatalismo risulti una posizione di minoranza tra le più diffuse attuali correnti filosofiche. Come si fa a credere che l’uomo non sia destinato a compiere l’elementare missione del vivere? Come si fa a credere, sulla scia delle filosofie pessimiste tedesche della seconda metà del XIX secolo (da Schopenhauer a Mainländer), che il ‘bilancio eudemonologico’ (la somma algebrica dei piaceri e dei dolori della vita), sia un bilancio a saldo sempre negativo? Come si fa a predicare quella che palesemente appare postura contronatura, ovvero l’astensione volontaria dalla procreazione o, addirittura, a preconizzare e desiderare l’estinzione del genere umano, sia pure in modo indotto e non violento? Non sono, queste inusitate idee, comunque sospette di contiguità con un cinico e sacrilego rifiuto della civiltà umanistica?
Per fortuna, una risposta in senso contrario, ampia e documentata, filosoficamente e storicamente robusta, con l’intento di fornire una discussione quanto più approfondita e filosoficamente alta sugli argomenti antinatalisti, viene offerta da Sarah Dierna, studiosa dell’Università di Catania. La sua è una poderosa pubblicazione per i tipi di Mimesis su Storia e teoria dell’Antinatalismo [1].
Il sottotesto della coppia titolo-copertina
È degno di nota che il titolo del libro abbia tono esclamativo e non assertivo come quello di opere con analogo tema [2] le quali in modo praticamente identico riprendono l’adagio pronunciato dal mitico Sileno al re Mida nell’Edipo sofocleo, ovvero: ‘Per l’uomo è meglio non essere mai nato’ – adagio, peraltro, noto nella storia della filosofia soprattutto perché citato, sebbene con altra fonte, da Nietzsche nella Nascita della tragedia (1871).
Diversamente, e in modo originale, la studiosa ha scelto come titolo del suo libro una frase del Céline di Morte a credito [3]. E bisogna ammettere che non poteva esserci scelta più efficace ed intrigante per connotare il tema: ‘È il nascere che non ci voleva’ sembra una esclamazione di sorpresa ma, trattandosi di Céline, ipotizziamo che sia stata consapevolmente adottata dalla studiosa, piuttosto come una vera e propria imprecazione scandalosa dello scrittore, subito dopo il riferimento alla madre.
D’altra parte, il valore avvincente del titolo si rafforza se consideriamo l’immagine in copertina raffigurante il dipinto Il Colosso di Goya (1808-12). Saltando per brevità di recensione le numerose e controverse vicende interpretative del dipinto, crediamo di poter sostenere che, come lettori ermeneuticamente riconosciuti co-costruttori del significato dell’opera, al titolo e alla copertina sia sotteso un compatto asse semantico che amplifica l’effetto comunicativo del libro.
Che sia l’orrore del vivere e la correlativa ignoranza-inconsapevolezza dell’uomo (imprecazione del titolo, caos della folla che corre terrorizzata in ogni direzione e asinello impassibile al centro della parte inferiore della composizione di Goya [4]), che sia la mostruosità del mondo a cui reagisce l’Antinatalismo (la cupezza di fondo del quadro in cui s’agita orrendamente il Colosso-mostro sopra la folla), in ogni caso, è innegabile l’effetto del loro combinato disposto comunque si interpreti la coppia titolo-copertina. Esso quindi ci sembra risultato comunicativo particolarmente felice e riuscito in rapporto al tema oggetto del libro. Va riconosciuto, infatti, che il nesso interpretativo che li salda, sostiene fortemente un messaggio implicito che, a nostro parere, prima ancora della lettura del libro, ‘buca lo schermo’ e attira l’attenzione del lettore: la vita è un orrore, dice il messaggio implicito, ed è questo orrore che l’Antinatalismo intende contrastare.
Ma veniamo ad alcuni aspetti del contenuto esplicito del libro di Dierna. La sua pubblicazione, lo diciamo senza esitazione, rappresenta un vero e proprio evento nel panorama editoriale italiano sull’argomento dell’Antinatalismo. Come dice Alberto Giovannni Biuso che ne scrive la prefazione, quello della Dierna è «un libro che impressiona per la ricchezza dei riferimenti, per la sobrietà con cui li analizza e li utilizza, per la chiarezza con cui pone molti problemi e offre soluzioni plausibili». E ciò che più impressiona, in particolare, è lo sforzo che informa la trattazione per sottrarla a mere considerazioni etico-storiche – che pure sono presenti e costituiscono elementi utili alla conoscenza dell’Antinatalismo nel contesto occidentale – per conferire al discorso una caratura eminentemente teoretica.
Non è un caso che al filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe non solo venga dedicato nell’economia del libro un notevole spazio di approfondimento – e già questo ne fa il massimo contributo in Italia alla sua conoscenza, soprattutto della sua opera da poco tradotta L’ultimo Messia [5] – ma soprattutto che sia interpretato come uno degli snodi argomentativi più rilevanti nella costruzione dello statuto teoretico antropodecentrico dell’Antinatalismo attuale. In questo senso, per la studiosa, Zapffe rappresenta, grazie ad una sua originale lettura nel contesto degli autori antinatalisti, il punto più alto – apertamente condiviso dall’autrice – del rapporto tra Proto-antinatalismo antico e Antinatalismo contemporaneo.
Naturalmente non è possibile in questa sede restituire la varietà dei motivi di interesse, taluni anche filosoficamente ardui, presenti nel libro. Tuttavia, ci sembra rimarchevole quello, forse tra i più interessanti e inaspettati per il lettore comune, della dichiarata e argomentata coincidenza dell’Antinatalismo con una prospettiva filantropica e «umanista nonostante tutto».
Nel paragrafo 5.5 dopo un invito a «prescindere dai vincoli valoriali e moralmente giusti o sbagliati per guardare a cosa sia la vita […], il suo inizio e a cosa corrisponda veramente la sua fine», Dierna spiega la sua adesione al paradigma non antropocentrico «non solo per l’esito pratico del tutto positivo che l’Antinatalismo avrebbe in ambito ecologico e animalista ma anche e soprattutto per l’esito che avrebbe nella comprensione che l’umanità ha di se stessa».
Non possiamo concludere questa nostra breve nota senza riportare la chiusa ‘lirica’ del libro, che si pone a significativo suggello del tema. Riferendosi a coloro che «non sono qualcosa», la studiosa afferma che «occorre preservare costoro dal male, lasciarli lì sulla soglia e non farli entrare. Lì al confine col niente. Il rifugio più sicuro per sopportare il buio di un’esistenza senza sole».
Naturalmente per utili approfondimenti sul tema del libro, imprescindibile è l’imponente apparato bibliografico presente nel libro. Qui, come utile servizio del recensore, ci permettiamo di indicare solo alcune letture per un avvicinamento preliminare al tema.
L’approccio di Dierna è quello di una sorta di Summa unica nel suo genere, anche se può essere messa a confronto, per livello di approfondimento, da una parte, con l’accuratissimo Meglio non essere nati, di Umberto Curi [6], che copre, con acribia storico-filologica, un arco temporale che va da Eschilo a Nietzsche; dall’altra, con l’ormai classico saggio prettamente filosofico, di stampo analitico-esistenziale, di David Benatar, Meglio non esser mai nati [7]. Su un tema come questo non può mancare il geniale libro di aforismi, anch’esso ormai un classico, di E.M. Cioran, L’inconveniente di essere nati [8].
Tuttavia per chi volesse avvicinarsi all’Antinatalismo in modo meno impegnativo, ma non meno rigoroso, vanno indicati i singoli interventi della stessa autrice del libro, apparsi sulle riviste online Dialoghi mediterranei e il Pequod. Nel primo contributo per Dialoghi Mediterranei al centro sta il significato dell’Antinatalismo contemporaneo [9], il secondo è dedicato nello specifico al filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe [10]. Di Zapffe, come sopra accennato, è recentissima l’uscita per Mimesis del saggio-poema L’ultimo Messia ampiamente discusso e approfondito nel libro di Dierna.
Su il Pequod si segnala l’intervista (in inglese) realizzata da Dierna con importanti esponenti dell’antinatalismo, come David Benatar, Théophile de Giraud e Alberto Giovanni Biuso [11]. Di quest’ultimo è di rilievo, infine – per il rigoroso e originale approccio teoretico e scientifico – il saggio Contro la nascita [12]; si tratta di un saggio tutto calato nello spirito della migliore critica filosofica che, se autentico esercizio di pensiero come in questo caso, fa strame della soggezione del pensare, in tema di etica della procreazione, all’imperante senso comune.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Note
[1] S. Dierna, È il nascere che non ci voleva. Storia e teoria dell’Antinatalismo, Mimesis, Milano-Udine 2025.
[2] In Italia sono usciti o sono stati tradotti testi di Umberto Curi, David Benatar, Emil Cioran, i cui riferimenti bibliografici vengono dati più sotto.
[3] L.F. Céline, Morte a credito, trad. di G. Caproni, Corbaccio, Milano 2000: 40.
[4] In realtà, la figura dell’asinello, presente nella parte inferiore del quadro di Goya, nella copertina del libro è tagliata e quindi non è visibile.
[5] P.W. Zapffe, L’ultimo Messia, trad. di M. Corcioni, Mimesis, Milano-Udine 2024.
[6] U. Curi, Meglio non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
[7] D. Benatar, Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo, trad. di A. Cristofori, Carbonio, Milano 2018.
[8] E.M., Cioran, L’inconveniente di essere nati, trad. di L. Zilli, Adelphi, Milano 1991.
[9] S. Dierna, Antinatalismo contemporaneo, «Dialoghi Mediterranei», n. 62, luglio-agosto 2023, pp. 473-483. Una ricognizione sistematica delle tesi antinataliste è stata svolta su questa stessa rivista da S. Dierna – A.G. Biuso, Antinatalismo. Storia e significato di una filosofia radicale, «Dialoghi Mediterranei», n. 64, novembre-dicembre 2023: 56-75.
[10] Id., Peter Wessel Zapffe. Il profeta dell’“Ultimo Messia”, «Dialoghi Mediterranei», n. 68, luglio-agosto 2024: 538-550.
[11] Debating Antinatalism. Interview with David Benatar, Alberto Giovanni Biuso and Théophile de Giraud, in Il Pequod, numero 9, anno V, giugno 2024: 9-14.
[12] A.G. Biuso, Contro la nascita, «il Pequod», n. 10, dicembre 2024: 176-182.
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Emilio Simonetti, laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, è stato per molti anni Dirigente della Comunicazione Istituzionale del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ha svolto varie docenze presso enti pubblici in tema di Usabilità e User Experience e ha coordinato il GLU (Gruppo di Lavoro per l’Usabilità) del Dipartimento della funzione pubblica. Ha pubblicato il libro Pensieri e Aforismi. Aporie del discredere, Gangemi editore, Roma 2017.
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