di Laura Leto
La memoria del Cimitero all’Acquasanta è ancora viva nelle parole di Gabriele Quattromani che descriveva questo lembo di umanità perduta in terra di Sicilia così:
«Entrando nel recinto v’ha un piccolo giardino ch’è campo funebre per gli eterodossi. Godesi da quel giardino un orizzonte ristretto selvaggio, ma piacevole, poiché il monte Pellegrino ti è sopra vicinissimo con l’erta via che conduce alla sommità, e su la falda vedi il bel casino di Belmonte e ti pare un tempio, di modo che io credea veder in distanza da un lato il cammino di Dante nel purgatorio, dall’altro gli Elisi del paganesimo. Sorge in mezzo del cimitero un monumento di stucco che indica il luogo; vè scritto intorno quel passo d’Orazio Vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam» [1].
La storia del Sito è da esaminare separatamente dal resto della struttura dell’originario Lazzaretto. Questa inizia nel 1787, quando il viceré Francesco Maria Venanzio d’Aquino, Principe di Caramanico, emanò il bando per la realizzazione di cimiteri fuori dalle mura cittadine e presso il Lazzaretto nacque il piccolo “recinto”, descritto dalle autorevoli parole di Giuseppe Giliberto:
«[…] s’apre a dritta un piccol sepolcreto ad uso degli eterodossi. Il terreno che lo compone, di figura triangolare, è piantato a mirti ed a cipressi, che lo ripartiscono in molti ben ordinati vialetti, di selciato coperti, tutti portantesi al centro, in dove elevasi un gran mausoleo e dietro a questo un semplice fonte, che serve ad inaffiarlo. Quivi senza legge di simmetria s’ergono varie tombe, fornite di iscrizione, altre piccole, altre di bella forma costrutte, al doppio oggetto di conservare le ossa degli estinti, e tramandare la memoria loro alla posterità» (Giliberto 1840: 11-12).
Rimane testimonianza dell’atmosfera “idilliaca” che si respirava in una tela di Andrea Sottile (1802-1856) [2], al quale era stato commissionato un quadro che ritraesse il monumento funebre della figlioletta dell’ammiraglio Johan Eberhard von Schantz (1802 – 1880) che l’aveva persa a pochi mesi.
Inizialmente ho avuto l’occasione di ammirare la tela soltanto in un file in formato .jpg di scarsa risoluzione dal momento che lo storico dell’arte Kim Björklund, residente a Karis, cittadina finlandese, decise di condividerlo via mail – intorno al 2013-14 – con l’architetto Flora La Sita, responsabile del progetto “GHOST – Garden at the HOlywater Suburb: green, art and social inclusion for the Territory” [3]. Dal 2019 ho cercato di contattare nuovamente Björklund sia per avere riscontro dell’opera che mi risulta appartenere agli eredi della Famiglia, ma anche per comunicargli che avevo intrapreso la ricerca sugli individui inumati presso il Cimitero e avevo ipotizzato quale potesse essere il monumento, anche se distrutto. Purtroppo non ho ricevuto alcuna risposta.
La situazione è mutata con una chiamata da parte di Cécile Lambert – studiosa dei cimiteri palermitani [4] – che mi ha messa in contatto con Axel Holmström, discendente della famiglia finlandese, interessato a riscoprire la storia di famiglia e il legame con la città di Palermo. Lo scambio di mail nel corso dello scorso novembre non mi ha condotta a nuove scoperte rispetto a quelle riportate sulla mia tesi di Dottorato, ma l’aver ravvivato quella corrispondenza foscoliana di amorosi sensi tra le generazioni mi ha riempita di gioia.
Ritornando alla tela, questa si rivela preziosissima per molteplici fattori: rappresenta una testimonianza dello stato dell’arte del Sito nel 1842 ca. ed è fondamentale per l’identificazione di un individuo di nazionalità finlandese che – da quanto mi risulta – non è menzionato su nessuna fonte legata al Cimitero. Sebbene l’Autore abbia rappresentato una visione “ideale” dello spazio che ha come centro il monumento von Schantz, sono riscontrabili elementi realistici sia nelle opere architettoniche circostanti che nel paesaggio. Leggendo le parole di Quattromani e guardando il quadro, si ritrova il piccolo giardino con gli slanciati cipressi, le siepi di mirto che delimitano i vialetti, gli oleandri e gli altri fiori che ingentiliscono il paesaggio, il mare azzurro su cui si affaccia fiero il Monte Pellegrino, il “Casino” e la Villa Belmonte, le spalle del portale nel quale è possibile scorgere la corona dell’emblema borbonico – non più presente – e l’aquila, ormai distrutta e priva della sua ala [5]. Ne ho riconosciuto i frammenti sparsi tristemente sul terreno e ho denunciato l’accaduto senza averne il minimo riscontro.
L’aquila si presentava dunque con le ali spiegate secondo l’iconografia tipica dell’emblema della città di Palermo, retaggio della cultura classica. La sua capacità di guardare il sole e di cacciare serpenti, l’accostava al mondo soprannaturale, simboleggiando la vittoria della ‘luce’ sulle ‘tenebre’. In ambito romano veniva associata alla regalità, pertanto era l’iconografia dell’imperatore.
Nella composizione in stucco, come riferisce Giliberto, doveva essere collocata alla base delle altre figure una cornucopia, simbolo per eccellenza di abbondanza e fertilità. Quest’ultima si ritrova di frequente al fianco di Cerere, dea della prosperità, accostata da sempre in Sicilia al ciclo delle stagioni e alla fecondità della terra.
Alla destra nel quadro domina il monumento identitario della realtà cimiteriale che viene illustrato in maniera del tutto inedita: sormontato da una lucerna con acroteri laterali, mai riscontrata sin ora in nessun documento. Ancora oggi, questo presenta un rivestimento in stucco ed è costituito da una base a gradoni di forma quadrangolare sulla quale risiede, mediante una rientranza a gola. il plinto con la dedica in latino: VITAE SUMMA / BREVIS SPEM / NOS VETAT / INCHOARE LONGAM [6], distribuita sulle quattro facce del corpo centrale. Si evince come il monumento avesse una forte connotazione simbolica per il Cimitero, facendosi ‘significante’ della dicotomia morte-vita, perfettamente espressa grazie alla citazione del Carme di Orazio che nel concetto del carpe diem esprimeva la convinzione che non si può vivere la propria esistenza senza accettarne la fine. Al di sopra svettava una colonna scanalata, attualmente spezzata, ma che presentava di certo un ulteriore elemento decorativo, oggi ne abbiamo prova.
Dalla planimetria di Giuseppe Giliberto, si scorge che sul cippo, collocato in posizione centrale nell’area del “grande Sepolcreto”, convergevano quattro “tracce”, che potrebbero far pensare ai vialetti che serpeggiavano tra le sepolture o a canali di scolo, dei quali sopravvivono frammenti che sarebbero stati collegati alle vasche, ancora presenti, e riscontrabili sulla planimetria del 1841. Sempre sulla destra è riportato il passaggio al vestibolo del Lazzaretto con i due piloni, quadrangolari e non cilindrici, sormontati da pigne.
I monumenti funebri sono effettivamente disposti asimmetricamente e si riconoscono in lontananza quelli degli inglesi Francis George Hare (1786 – 1842) e di James Williams (1803 – 1836). Seguono altre stele, una particolarmente grande con lunetta e acroteri laterali e un’altra molto semplice che dalla forma potrebbe trattarsi della sepoltura di William Harris (1796 – 1823).
Come è accaduto più volte nel corso della ricerca, felici circostanze mi hanno trattenuta dallo scoraggiarmi di fronte a un difficile percorso, una di queste è stata la conoscenza della presenza delle spoglie di Alexandra Carolina Susquehanna von Schantz presso il Cimitero. Nessuna fonte ne citava il monumento, nessun esperto di genealogia ne ha trascritto l’epigrafe, eppure si è fatta trovare. Certamente la collocazione all’interno del quadro non è da considerarsi reale rispetto a quella in situ; come già evidenziato bisogna considerare che, essendo il soggetto principale, occupa una posizione centrale nello spazio.
Del monumento non rimane traccia sebbene si può ipotizzare possa trattarsi di uno dei due cippi, dei quali rimane solo la base quadrata, collocati accanto al monumento di Joseph Gunsburg (1826-1856), a ridosso della superfetazione “abusiva” che ha sovrastato il cottage a destra rispetto all’ingresso.
L’ipotesi è nata dal confronto con l’immagine della tela che propone una base quadrangolare a due gradini con modanatura e ulteriore elemento che sembra presentare del cromatismo rosso sulla fascia che precede il cippo, sormontato da colonna. In base all’orientamento dell’epigrafe del vicino Gunsburg, si intuisce che, al posto dell’immobile attualmente presente, vi fosse un vialetto che ne consentiva la fruizione: pertanto avvalora l’ipotesi la prospettiva del quadro che vede a destra il portale con pigne.
Anche la collocazione del “Cippo simbolo” del Cimitero è surreale, è più probabile che l’artista lo abbia ivi collocato per identificare il Sito, ma soprattutto per veicolare un messaggio. Infatti su quest’ultimo è riportata la scritta VETAT MORI, piuttosto che la presente NOS VETAT, probabile riferimento alla volontà di sconfiggere la morte da parte dei committenti dell’opera: i genitori della piccola Susqueanna.
La bambina nacque il 28 maggio del 1842 a Kronštadt, città portuale dell’isola di Kotlin, nel golfo di Finlandia, la quale costituisce una suddivisione amministrativa della città federale di San Pietroburgo (Russia) [7]. Data la sua breve vita purtroppo non è stato facile reperire notizie a differenza del padre, il noto ammiraglio Johan Eberhard von Schantz (1802 – 1880), originario di Pori, città finlandese. Si legge della sua eccellente carriera sul sito dedicato ai Generali e ammiragli finlandesi nell’esercito russo 1809-1917 [8]. Iniziò da giovanissimo, seguendo le orme paterne, nella marina mercantile e ben presto fu promosso guardiamarina. Nel 1828 divenne tenente e il 20 aprile dello stesso anno, sulla nave Fère Champenoise, fu trasferito all’ottavo squadrone navale che chiuse lo stretto dei Dardanelli nella guerra russo-turca. Successivamente venne nominato aiutante dell’ammiraglio AS Menschikoff, Capo di Stato Maggiore della Marina russa, ruolo che ricoprì sino al 7 novembre 1838. Promosso tenente capitano, sulla nave da trasporto America in qualità di comandante partì alla volta della circumnavigazione del mondo il 6 maggio del 1834. Durante la navigazione dalla Nuova Zelanda alla Kamchatka, incontrò un gruppo di isolette, che furono chiamate Isole Schantz in suo onore.
Nella scalata verso il titolo di capitano di prima classe, in Finlandia, all’età di 36 anni, sposò il 15 gennaio 1839 Selma Sofia (1806 – 1894) – della quale si ignora il cognome – mamma di Susqueanna.
Lo stesso anno, gli fu ordinato di dirigere negli Stati Uniti la costruzione della fregata a vapore Kamchatka a New York che condusse nel 1841 a Kronštadt. Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, von Schantz studiò anche la tecnologia delle navi a vapore e divenne uno specialista del settore nella Marina russa. Ancora sulla Kamchatka prestò servizio come primo comandante, dal 1842 al 1847, in quegli anni visitò diverse zone dell’Europa. Probabilmente proprio in quel periodo passò per la Sicilia e questa non fu di certo una tappa felice. Susqueanna venne infatti seppellita a Palermo nel 1842.
Dai siti di genealogia risulta che la coppia ebbe un’altra figlia Onejda Sophia Emilia von Schantz, nata il 18 settembre del 1843 a Helsinki, Finlandia. All’età di 24 anni sposò Axel Leonard Ramsay, il 16 gennaio 1867, dal quale ebbe un figlio, ma anche la sua storia è molto triste, dal momento che si spense dopo soli tre anni il 5 agosto del 1871 a Tala, Lansi-Suomi, Finlandia. Onejda fu sepolta nella sua città natia. Si può soltanto immaginare il dolore della famiglia che perse così prematuramente le uniche due figlie, è probabile che il padre si rifugiò nella Marina dove si distinse e come si scrive sul già citato sito kansallisbiografia.fi:
«Non solo von Schantz era un importante costruttore navale, ma era anche uno scienziato navale di talento. I suoi scritti apparvero in pubblicazioni che trattavano di guerra navale in inglese, russo e svedese. Nelle sue memorie Mina första steg på sjömansbanan (1870) e Mina första steg på örlogsmannabanan (1871), von Schantz descrisse le sue attività come giovane ufficiale di Marina a Viapor e le condizioni durante la guerra d’Oriente nella marina russa» (SKS Henkilöhistoria).
Purtroppo dell’idillio dell’opera di Sottile non resta nulla. Chiunque visiti il Cimitero percepisce un’immediata sensazione di desolazione e abbandono che ostacola la percezione del suo fascino. Spero di contribuire con il mio lavoro a sciogliere questo “nodo” e far comprendere come il Cimitero sia un luogo unico per Palermo, nella convinzione che è ancora possibile tutelare quel che resta e divulgarne la storia.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] Lettera XXXII di Paolo R. ad Errichetta da Palermo 14 Settembre 1835, in Quattromani, op. cit.: 131-136.
[2] Termitano di origine, fu allievo di Giuseppe Velasco e Giuseppe Patania. Si hanno notizie della sua attività a Palermo a partire dal 1837, momento nel quale esplose la commissione di pitture paesaggistiche. Tra altri, Andrea Sottile si distinse tra i paesaggisti di pregio, partecipando alle Esposizioni di Belle Arti presso l’Università di Palermo nel 1838 e nel 1856. Dipinse anche soggetti mitologici e sacri; come la Sacra famiglia e lo Sposalizio di S: Caterina, la prima presentata all’Esposizione di Belle Arti del 1863 presso il Palazzo Comitini di Palermo e attualmente conservata presso la Galleria della Regione Siciliana di Palazzo Abatellis. Lo Sposalizio è visitabile presso la Chiesa di Santa Chiara a Termini Imerese. Dalle sue ‘vedute’ traspare sia un paesaggio “da cartolina” come contribuì a diffondere il fenomeno Gran Tour, sia un’attenzione naturalistica e sentimentale che lo accomunano ai grandi pittori ottocenteschi. Cfr. G. Barbera (a cura di), Ottocento siciliano: dipinti di collezioni private agrigentine, Electa, Napoli 2001.
[3] Nato nel 2013, grazie alla collaborazione di cittadini e professionisti interessati alla valorizzazione del bene in una chiave di lettura contemporanea che includa anche la fruizione dello spazio attraverso l’uso integrato di nuove tecnologie, l’istituzione di laboratori didattici bilingue e l’attivazione di nuova occupazione nel tessuto sociale. Il progetto è stato redatto nel quadro del concorso per idee progettuali “Ars. Arte che realizza occupazione sociale” dall’arch. Flora La Sita, dall’arch. Stefania La Barbera, dall’ing. Manlio Macaluso, dall’arch. Antonino Daniele Panzarella, dalla dott.ssa Maddalena Scannaliato e dalle professoresse Maria Vera Scibilia e Marisa Burrascano, al tempo insegnanti presso l’Istituto Comprensivo Arenella, pionieri nella fruizione del Sito dal 2012 sino al 2016 grazie all’“Adozione del monumento”.
[4] Si rimanda al blog https://cimiteripalermo.com/welcome/about/
[5] Dal 2019 si presenta irriconoscibile, si pensava infatti l’avessero trafugata e invece è stata distrutta in piccoli frammenti che, se recuperati, sarebbero indispensabili per il restauro. Inizialmente giaceva al fianco dell’aquila, in alto, dove nessuno poteva danneggiarla ad eccezione dei fenomeni atmosferici. Purtroppo, come mi ha riferito la docente dell’Istituto comprensivo G. Sileno che si è occupata per anni dell’adozione del Cimitero, il Comune ha deciso di spostarla per evitare che cadesse sulla testa di qualche passante, determinandone come ho avuto modo di costatare la fatale sorte.
[6] Come recita il verso 15 dell’Ode IV di Orazio (libro I): “La brevità della vita ci vieta di progettare speranze a lungo termine”.
[7] Da ancestry.com la sua nascita sembra risultare da un registro di Kronštadt Births and Baptisms, 1755-1917, Numero di microfilm FHL:1882644, ID di riferimento: p100-45, ma non è disponibile la digitalizzazione del documento.
[8] https://kansallisbiografia.fi/kenraalit/henkilo/352.
Riferimenti bibliografici e sitografici
G. Barbera (a cura di), Ottocento siciliano: dipinti di collezioni private agrigentine, Electa, Napoli 2001.
Giliberto G., Sul lazzaretto di Palermo. Memoria di Giuseppe Giliberto, Palermo 1840.
Quattromani G. (a cura di), Lettere su Messina e Palermo di Paolo R. Pubblicate per cura di Gabriele Quattromani, Tipografia R. Di Guerra, Palermo 1836.
https://ancestry.com
https://cimiteripalermo.com/welcome/about/
https://kansallisbiografia.fi/kenraalit/henkilo/352
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Laura Leto, antropologo e storico, ha conseguito il dottorato di Ricerca con l’Universidad del Paìs Vasco UPV/EHU con oggetto di studio il Cimitero acattolico dell’Acquasanta di Palermo. Ha cooperato, in qualità di operatore didattico, con diverse Associazioni culturali palermitane, in seguito all’acquisizione del titolo di Esperto in Didattica museale. Ha partecipato al Catalogo collettivo delle biblioteche ecclesiastiche italiane in qualità di bibliotecaria e catalogatrice.
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