Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta.
Lo scrive papa Francesco per rendere chiaro il senso della sua enciclica Laudato si’ di cui molto si scrive e si parla in questo scorcio di primavera. L’evento va ben al di là delle pur essenziali tesi espresse nelle duecento pagine dell’enciclica, per il suo caratterizzarsi per l’urgenza dell’invito a rinnovare il dialogo sul futuro del pianeta. L’enciclica non si limita, infatti, ad una descrizione inconfutabile della realtà, ma denuncia le responsabilità di chi la produce e invita all’azione.
Non è certo la prima volta che un papa si rivolge oltre che ai fedeli, cristiani e non, anche ai non credenti, ma a rendere eccezionale questo invito contribuiscono sia il tema sia la schiettezza, con cui lo propone, che impediscono agli interlocutori di rifugiarsi in consensi di comodo. Già cinquant’anni fa il suo predecessore Giovanni XXIII aveva scritto un’enciclica di portata universale, indirizzata a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, sulla responsabilità di promuovere la pace su cui non era difficile convenire non essendo chiamati per nome i suoi nemici: i nemici della pace son sempre gli altri!
Papa Francesco, nel rilevare i rischi che si stanno correndo con l’attuale corsa al progresso, denuncia, invece e senza possibilità di equivoci, i responsabili di tali rischi evitando le sicurezze di un facile ecologismo e assumendo come chiave di lettura delle tematiche ambientali la questione dei poveri, cioè i “preferiti” di Cristo. A loro spese e contro di loro è stata risolta, lo scrive esplicitamente, la recente grave crisi economica che avrebbe invece potuto offrire occasione e strumenti per avviare i radicali cambiamenti al sistema economico e sociale indispensabili per «rispondere alla inderogabile urgenza per il destino della famiglia umana di custodire il bene comune del creato».
È questa la chiave di lettura dell’enciclica: la relazione fra la fragilità del pianeta e l’incapacità della tecnologia, legata alla finanza, di essere la soluzione dei problemi, che, nella sua prima parte, il papa analizza con puntuale attenzione. Li ricava dalle ricerche, condivise in sede scientifica, senza pretendere di accreditarli con la propria autorità, come avevano fatto in analoghi documenti i suoi predecessori.
Siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico che produce innalzamento dei mari e, al tempo stesso, rende difficile l’accesso all’acqua per gli uomini e gli animali, dei quali molte specie stanno per questo scomparendo. «Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero».
Sulla base di queste argomentazioni propone, in alternativa, non un apocalittico rifiuto del progresso, ma uno sviluppo sostenibile che sia frutto, da un lato, dell’abbandono della crescita avida e irresponsabile, prodotta negli ultimi decenni, e, dall’altro, di nuove modalità per crescere, rallentando un po’ il passo e ponendo alcuni limiti ragionevoli. « È arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo, procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti, scrive Francesco, smentendo chi lo accusa di essere un fautore di un ecologismo estremo. Aggiunge infatti: «Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane». Questa provoca, infatti, da un lato il primato del mercato, che «crea un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti», e, dall’altro «l’esaurimento di alcune risorse dando origine a condizioni favorevoli a nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni».
Il primato nelle colpe spetta alla finanza che sostiene le ricerche tecnologiche premesse indispensabili di urbanizzazione, cementificazione, inquinamento, riscaldamento globale, accumulo di rifiuti, riduzione dell’acqua potabile con conseguente degrado ambientale, fine della biodiversità, emigrazione. C’è, infatti, un nesso profondo fra crisi ambientale e crisi sociale. Per spezzarlo urge una ecologia integrale, un nuovo modo di coniugare salvaguardia della natura e giustizia sociale in una cura del creato a cui saranno chiamati tutte e tutti, uniti nella comune umanità.
L’economia e la finanza non sono enti astratti, ma capitalisti, banche e multinazionali che promuovono la massimizzazione del profitto diventato il valore dominante e il motore del sistema. Diventano necessarie, perciò, una autorità politica mondiale e una rivoluzione culturale capace di sovvertire il paradigma tecnocratico e di ridefinire il progresso: «uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso». Questo si deve connotare per la «subordinazione del diritto di proprietà alla funzione sociale e ai diritti dei più svantaggiati». Non deve essere più tollerato che «il salvataggio a ogni costo delle banche si persegua facendo pagare il prezzo alla popolazione e riaffermando un dominio assoluto della finanza che non ha futuro». Si devono favorire il lavoro, le piccole imprese e l’economia di scala, diffondendo, al tempo stesso, l’educazione ambientale.
In questa prospettiva l’enciclica individua i campi di azione sui quali devono impegnarsi non solo i politici, sviluppando la loro azione in un’ottica mondiale, ma anche singoli e gruppi, in primo luogo quelli che si dicono cristiani. Ad essi il papa rivolge non generiche esortazioni, ma l’imperativo ad opporsi con forza alle guerre, distruttive per l’uso di armi nucleari e biologiche, ad impegnarsi per eliminare la iniqua distribuzione delle risorse della terra e ad evitare inefficienze e sprechi per promuovere la realizzazione di condizioni di benessere per tutti. Urge diffondere educazione ambientale, buone pratiche, ma anche decisive azioni di boicottaggio dei consumi. Serve un radicale cambiamento di “stile di vita”, rinunciando «… alle luci accese e all’uso dei condizionatori».
Come Leone XIII con la Rerum novarum, nel 1891, inaugurò il magistero sociale del cattolicesimo, Francesco con la sua Laudato si’ apre un nuovo filone del magistero della Chiesa, quello ecologico, finora inesplorato. Si inserisce, così, a pieno titolo tra i promotori della dottrina sociale della Chiesa caratterizzandosi per la scelta di presentare il pianeta terra diviso fra ricchi e poveri, un criterio insolito per un papa, e di farne la premessa di una inequivocabile condanna delle strutture del potere finanziario, economico e politico responsabili di tale divisione.
Questa esplicita condanna dell’ordine mondiale costituito ha suscitato, come era prevedibile, reazioni negative negli ambienti della destra economica e politica, particolarmente quella statunitense, alle quali, pur se con toni diversi, si sono aggiunte, meno prevedibili, voci di dissenso in ambienti ecclesiastici conservatori. Non è mancato un tentativo di sminuirne l’impatto mediatico con una manovra giornalistica promossa dal vaticanista Sandro Magister, sempre attento al dissenso curiale contro l’azione riformatrice di papa Bergoglio, che ha pubblicato su L’Espresso il documento, ricevuto sotto embargo, ben tre giorni prima della presentazione ufficiale del testo. La manovra non ha avuto successo, ma resta indice del clima ostile che si respira in Vaticano e in altri ambienti ecclesiastici nei confronti della “politica” di riforme di papa Bergoglio.
Ben diversa l’accoglienza della comunità ecclesiale espressa nelle parole di Carlo Petrini, autore delle 22 pagine di prefazione al testo del Papa, che definisce l’enciclica «un impegno rivoluzionario per il futuro», aggiungendo anche: «non c’è dubbio che queste parole rappresentino uno dei momenti di svolta più importanti nella storia della Chiesa e soprattutto dell’umanità».
Dialoghi Mediterranei, n.14, luglio 2015
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Marcello Vigli, partigiano nella guerra di Resistenza, già dirigente dell’Azione Cattolica, fondatore e animatore delle Comunità cristiane di base, è autore di diversi saggi sulla laicità delle istituzioni e i rapporti tra Stato e Chiesa nonché sulla scuola pubblica e l’insegnamento della religione. La sua ultima opera s’intitola: Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (2009).
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