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di Mauro Baiamonte
Dacchè io ricordi, sono sempre stato affascinato dal concetto di tempo: una dimensione astratta ma anche concreta in quanto ne percepiamo gli effetti; un’entità inafferrabile ed eterea che agisce però sulla nostra realtà, a volte delicatamente, altre volte in modo opprimente. Nulla può sfuggirgli. Il tempo travolge l’uomo ma anche (e soprattutto) lo spazio che lo circonda.
Tutti ci saremo fermati almeno una volta, ad esempio, a meditare sui cambiamenti che affrontano quotidianamente le nostre città e in generale il contesto urbano nella sua totalità; e sicuramente a molti sarà venuto il desiderio di esplorare tale contesto e le strutture che lo compongono per scoprirne la storia, i mutamenti e come talvolta esso, del tempo, ne sia rimasto vittima. Ed è proprio da questo desiderio che nasce il fenomeno, ormai globale e sempre più esteso, dell’Urbex.
L’urbex, o più semplicemente “esplorazione urbana”, è un’attività che come suggerisce il nome consiste nella perlustrazione dello spazio urbano, alla ricerca di luoghi nascosti e difficilmente raggiungibili, o di strutture artificiali abbandonate o in rovina.
Si tratta di una pratica piuttosto giovane, nata con lo sviluppo delle grandi città moderne, ma gli appassionati di tale fenomeno ne fanno risalire la nascita ad una curiosa vicenda, ancora oggi non confermata: la storia di Aspairt, un celebre esploratore francese che, secondo la leggenda, morì nel 1793 mentre visitava le Catacombe di Parigi (uno dei luoghi sicuramente più suggestivi per chi si dedica alla scoperta della dimensione urbana).
Sebbene quest’attività sia maggiormente diffusa nelle metropoli o nelle grandi città, essa non è strettamente limitata ai centri abitati e può interessare anche zone oltre i confini cittadini appartenenti al contesto rurale o naturale: cascine, miniere, bunker, installazioni militari, borghi in rovina, città fantasma e in generale ogni altro complesso artificiale che risulti abbandonato o non utilizzato.
Proprio a causa dell’enorme vastità di luoghi che diventano bersaglio degli esploratori, l’urbex si divide in sottocategorie (per esempio assume il nome di “draining” se ad essere esplorate sono fognature e canali di drenaggio, o di “rooftopping” nel caso in cui i soggetti fossero cime di grattacieli o altri edifici normalmente impraticabili dalla gente comune a causa dei rischi dovuti all’altezza).
L’esplorazione urbana inoltre può convergere con altre tipologie di attività come ad esempio la tutela del patrimonio storico, la fotografia, la caccia al paranormale e l’archeologia, compresa quella di tipo industriale.
Ma viene quindi da chiedersi cosa possa spingere molte persone ad avventurarsi in questi luoghi, sicuramente colmi di rischi e pericoli (non a caso i cultori dell’Urbex tendono a sconsigliare agli altri di ripetere le stesse imprese). I motivi sono molteplici, e tra i più disparati.
Uno dei più diffusi è sicuramente la volontà di conoscere a fondo il tessuto sociale e storico della propria città: in questo caso l’urbex diventa un modo per studiare la storia di un centro urbano, analizzarne i cambiamenti, mettendo in evidenza come esso si sia sviluppato, ma anche in quali ambiti abbia fallito, almeno progettualmente.
Non a caso sono molti coloro che utilizzano l’esplorazione urbana come mezzo di denuncia nei confronti delle istituzioni, con l’obiettivo di riqualificare settori della città in stato decadente, dando nuova linfa vitale a strutture che ormai non hanno più uno scopo (seppur possiedono ancora “un’anima”).
Ma ancor di più sono coloro che praticano Urbex perché semplicemente affascinati dai soggetti visitati, magari anche grazie ad una visione più intima e personale del fenomeno.
In un’epoca nella quale produttività e competizione dominano la nostra società, e le nostre vite sono caratterizzate dalla frenesia e dalla paura di rimanere indietro, questi luoghi al contrario appaiono come sospesi e cristallizzati nel tempo, quello stesso tempo che li ha condotti alla decadenza preservandoli però dal mondo esterno, creando quasi una dimensione tutta loro.
Un mondo ambiguo e irrazionale, che ti spinge a restare sempre all’erta e ad abbassare la guardia contemporaneamente; un’oasi del silenzio profondamente connessa al tessuto della realtà ma al contempo regno prediletto del surreale e dell’inconscio.
Tutto ciò, unito all’atmosfera onirica, malinconica e angosciante propria di questi ambienti, contribuisce ad evocare in chi li esplora un costante senso di meraviglia e sconcerto intrinseco alla natura umana, che si distacca però dal popolare e comune gusto estetico per l’orrido e il decadente (reperibile in certi contesti come quello ‘horror’), assumendo un significato più profondo proprio a causa di quei meccanismi dell’inconscio che lo hanno scatenato.
Una prova della suggestione provocata da questo genere di luoghi la si ritrova per esempio nel fenomeno delle “backrooms”, nato su internet in tempi recenti, il quale vede gente postare sul web foto di luoghi reali (ma anche foto ritoccate tramite programmi informatici) dall’aspetto desolato o decadente, in grado di causare nello spettatore un senso di deja-vu e di sconfortante nostalgia.
Ma vi è anche chi pratica urbex unicamente per il gusto del pericolo e della trasgressione, oppure per lasciare un proprio segno nei luoghi in questione come nel caso dei graffitisti e degli artisti urbani, sebbene in realtà quest’ultimi siano spesso ostracizzati a causa delle modifiche apportate all’interno dei siti (non a caso il motto chiave degli esploratori urbani è: “Non prendere nulla se non fotografie. Non lasciare niente se non le tue impronte”).
Insomma, le motivazioni che spingono gli appassionati di urbex sono molteplici, e ciò ha contribuito nel corso del tempo ad incrementare la fama di un fenomeno che difficilmente avrà vita corta, in quanto profondamente legato alla storia dell’uomo e ai cambiamenti che il nostro tessuto sociale, magari poco per volta, affronta giorno dopo giorno.
Allo scopo di illustrare questo ambito tematico presento un reportage realizzato all’interno di alcuni siti del territorio della provincia di Palermo.
Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
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Mauro Baiamonte, attualmente studente universitario del Dams dell’Università di Palermo. Dopo aver conseguito il diploma di Liceo Scientifico, ha visto negli studi umanistici e culturali il continuo del suo programma di formazione. Appassionato di arte in tutte le sue forme e aperto ad ogni innovazione relativa a questo campo, ha deciso, complice il suo interesse per la fotografia e il videomaking, di dedicarsi principalmente allo studio del cinema e delle arti audiovisive, col desiderio in futuro di lavorare in quell’ambito.
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