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Verba et incantamenta carminum. Sulla medicina popolare siciliana

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Guaritrice (ph. André Martin, da Spreco, di D. Dolci, 1960)

di Gian Mauro Sales Pandolfini

Il frutto di questa indagine matura in anni di studi personali e alla luce dei contributi formativi, attinenti la sfera magico-rituale tradizionale, per i quali la conoscenza di Elsa Guggino, di cui sono stato allievo, si è rivelata in tal senso determinante. Ho rivolto, in particolare, la mia attenzione a ciò che Pitrè definisce “verminazione”, ossia la credenza e la pratica dei vermi, ancora oggi molto diffusa in Sicilia.

Per vermi si deve intendere tanto l’organismo presente nell’intestino, quanto la malattia in sé e per sé, una forma di parassitosi che investe gli organi dell’apparato digerente e che, in qualche modo, coinvolge anche lo stato di salute generale, psicosomatico, del paziente, specialmente del bambino.

Gli informatori insistono sul fatto che nel nostro corpo vi siano degli «agenti patogeni biologici (…) del tutto innocui, se non proficui al suo funzionamento, finché un accidenti qualunque non ne determina un mutamento di status, rompendo il loro primigenio equilibrio» (Guggino 2006: 22).

I vermi starebbero in una sacca, come un “gomitolo” (ghiòmmaru) o una “ciambella” (cuddùra), nella vucca du stomacu (‘bocca dello stomaco’) o vucca di l’arma (‘bocca dell’anima’), ossia nella zona epigastrica, zona liminare tra il basso del corpo e l’alto della mente, ad alto rischio, quindi, per la stabilità e la vita dell’individuo. In questo stato non sono dannosi, anzi coadiuvano la fisiologia dell’individuo. Allorché un qualsiasi accidenti esterno, come uno scantu (‘paura improvvisa’), uno stato di stress o una intensa emozione, agiti la loro quiescenza, la sacca si disfà e i vermi possono salire perfino alla gola provocando la morte per soffocamento. Allo scantu sono esposte le persone considerate per natura più deboli, donne e specialmente bambini.

Si tratta in effetti di un caso emblematico di quella che Cirese definisce «discesa culturale» di elementi e saperi, discesi cioè dalla “medicina culta” ufficiale e sottoposti a un processo di folklorizzazione, di appropriazione reinventata alla luce di codici e funzioni vissuti dalle collettività popolare.

Dico “vissuti” giacché la nozione di malattia va riletta in un’ottica diversa da come siamo abituati a intenderla: essa, come suggerisce Augè, manifesta tutta la sua efficacia simbolica, si fa carico del disagio psicologico o sociale del paziente, delle sue asimmetrie neurofisiologiche, diviene segno esplicito del mal-essere, di un disagio sociale. Attraverso l’intervento codificato del guaritore si riassesta dunque ciò che Galimberti definisce il “ben-essere nel mondo”. La malattia è avvertita come una colpa, una vergogna che riduce il senso dell’individuo nel mantenimento delle logiche sociali (autosussistenza e condivisione delle mansioni), ragion per cui la nascita di un eventuale bambino insano o infermo, viene giustificata alla luce di un intervento soprannaturale, per deresponsabilizzare la madre, il figlio e in generale l’intera famiglia dall’effettiva “crisi della presenza”.

«La credenza di tutti […]», scrive Mauss, «è effetto del bisogno di tutti, dell’unanimità dei desideri […]; il bisogno avvertito da tutti suggerisce a tutti il fine da perseguire» (Mauss 2000: 128). Ecco come la magia palesa il suo senso, permette di reinventare la vita, diviene ciò che Miceli definisce un “codice di riserva” da cui attingere, un codice sociale condiviso, una realtà alternativa da sostituire e vivere. Esemplare a tal proposito la novella Il figlio cambiato di Pirandello, in cui, come nelle tradizioni popolari isolane, le donni di fora – entità  mediane tra il mondo soprannaturale (spiriti) e quello carnale (maghe), accomunate da un collasso emozionale, magari per una maternità negata e per un sentimento di invidia – hanno cambiato il figlio sano con uno loro, malaticcio, di cui la madre – e di conseguenza tutta la collettività – dovrà prendersi cura, se vorrà che il suo bimbo continui a vivere felice nell’aldilà. L’immaginazione, la magia, restituiscono senso e ordine al caos della vita e il bimbo insano viene reintegrato nella comunità.

1Se a volte ci si può realmente imbattere in un’infestazione da vermi, come l’ossiuriasi, diffusa specialmente nei bambini, altre volte i vermi non sono scientificamente riscontrabili, ma vengono comunque diagnosticati.

L’evento vermi trascina l’intera comunità, parenti, amici e vicinato, in una vorticosa girandola di scambi simbolici, garantendo una proficua occasione di partecipazione solidale, come anche la possibilità di drammatizzare sugli accidenti della vita, sul καιρός che altera, mosso dal destino o dalla necessità, gli equilibri pur sempre precari della vita. Ci si deresponsabilizza, s’individua nell’esterno, ad esempio come nell’accidente scantu, la causa generatrice del male: il male non risiede in noi, ha origine da cause esterne, naturali e casuali – ma anche sociali quando si parla di magia (per cui lo scantu diviene anche medium d’eccezione, durante la fattura, per la trasmissione e l’ingresso dell’essere). Nel corso della terapia, dunque, lo scambio collettivo si fa intenso, e ammalato e gruppo diventano attori di un unico psicodramma il cui fine è ristabilire l’equilibrio, la salute sociale ritrovata attraverso l’intervento codificato del guaritore.

Al di là della sua effettiva presenza, la malattia si manifesta con precisi sintomi che il paziente lamenta: febbre, insonnia, disturbi alla bocca dello stomaco (nell’area dell’epigastrio), gastrite, fetu ri vermi (‘alito cattivo dovuto ai vermi’), male allo stomaco, ai reni o alla milza, ittero, ingorgo mammario, insolazione, foruncoli, prurito al naso o stridore dei denti, ascessi, dolori alla schiena, alla testa e alle gambe, persino slogature e, in rari casi, mali per malocchio. Inoltre sono riscontrati problemi relativi allo stato psichico del paziente, come ansia, agitazione, stati confusionali, convulsioni, senso di sfinimento. Il mio informatore di Altofonte, Tonia, sostiene che «è psicosi» e che «siamo tutti vermi noi dentro». Guggino, d’altro canto, ricorda di aver sentito più volte dire dai suoi informatori, che in fondo «nervi e vermi sono la stessa cosa» (2006: 24).

Ci si rivolge allora alle guaritrici – più raramente si tratta di uomini – che vengono considerate e che si autorappresentano come “medici empirici”, depositari di un antichissimo sapere tradizionale, in grado di agire efficacemente e in modo alternativo alle cure del medico, cui spesso si sostituiscono: la differenza tra il medico e la guaritrice è nella metodologia terapeutica.

Le guaritrici sono chiamate in Sicilia in vari modi, ciarmavermi, amazzavermi, chidda chi cala u stomacu, chi dici a razioni/divizioni, chi pircanta i vermi/u scantu. Guggino ha privilegiato il termine ciarmavermi, poiché condensa appieno la relazione diagnosi-terapia, rivelata dal composto che è costituito dal nome del male diagnosticato più diffuso, i vermi, e dalla formula magico-terapeutica che viene recitata, il ciarmu (lat. carmen), detto anche arazioni, raziunedda, divizioni, priera, pircantu e più di rado scunciuru.

2Queste donne possono essere anche indicate con il nome proprio o con un soprannome, spesso preceduto dall’appellativo za (zia), oppure con espressioni che evidenzino il loro operato (chidda chi ciarma i vermi, chidda chi cala u stomacu, chidda chi cogghie i vermi). Godono di un favore collettivo diffuso e sostengono, di frequente, di aver acquisito ritualmente l’antico sapere di cui sono in possesso: le formule magiche possono essere trasmesse solo in occasioni speciali, come la notte di Natale o il pre mortem di un’anziana ciarmavermi, momenti in cui l’arazione incrementa il suo valore e la sua forza apotropaica. Il rituale d’iniziazione si apre o si conclude con la recitazione di un padrenostro. Altre volte le ciarmavermi parlano, invece, di dono naturale, escludendo però categoricamente ogni analogia, rapporto o vicinanza con le maghe, che, oltre a vantare la possibilità di gestire forze soprannaturali, gli esseri, sono capaci nondimeno di effettuare il rituale per la cura dai vermi. Gli esseri talvolta evocati rimangono però figure benefiche, come i santi, che intervengono come guida, ispirazione o protezione, e non come comando per fatturare.

Le ciarmavermi fanno uso di elementi, come erbe (ruta in primis, ma anche alloro, aloe), infusi, estratti naturali, vino (che, in quanto alcolico, solleva l’organismo debilitato), aceto, petrolio impuro o nafta, semi di limoni, pere o mele (i vermi si attaccherebbero a essi per poi venire espulsi con le feci), sostanze in alcuni casi con effettive proprietà curative, con rinomata valenza simbolica e che possono agire per ingestione diretta o per uso esterno. L’aglio è l’ingrediente più diffuso, noto in effetti come vermifugo, ma il suo uso rituale lo carica nondimeno di potenti proprietà magiche: viene fatto annusare, inghiottire o viene spalmato con l’olio sullo stomaco, direttamente o tramite tazzine di caffè (u ciccarieddu), e in virtù del suo intenso odore e sapore, ha la capacità di «affascinare, incantare i vermi che non si riesce ad ammazzare o a fare uscire» (Pitrè 1978: 391), di stordirli e ridurre il loro stato di agitazione.

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Guaritrice (ph. André Martin, da Spreco, di D. Dolci, 1960)

Il rituale comprende una parte gestuale coordinata a un’altra verbale. Generalmente sullo stomaco del paziente viene applicata una tazzina di caffè, capovolta e con i bordi inumiditi da un intruglio d’aglio ed olio. Si tratta di una fase al tempo stesso diagnostica e terapeutica: qualora la tazzina rimanesse attaccata allo stomaco, con una sorta di effetto “ventosa”, i vermi sarebbero presenti nel paziente. Le ciarmavermi procedono, allora, con massaggi locali e/o con la recitazione di specifiche formule incantatorie, facendo segni della croce sull’addome (“crocioni sull’addome”, scrive Pitrè), fin quando una volta riapplicata la tazzina, essa lentamente si staccherà dallo stomaco. I vermi saranno tornati in basso, ordinati nella loro posizione iniziale e in uno stato proficuo di quiete.

La formula è costituita da una parte iniziale, l’historiola, una breve storia in cui si narra in modo esemplificativo un evento del passato, mitico, in cui da una condizione iniziale problematica si arriva a una soluzione, la parte finale, la formula scongiuratoria vera e propria. Si tratta dunque di una vicenda ciclica di morte e rinascita. Tra le altre, di maggiore ampiezza e articolazione, l’arazioni più diffusa è:

Lùnniri ssantu
Màrtiri ssantu
Mèrcuri ssantu
Iòviri ssantu
Vènniri ssantu
Sabbatu ssantu
A Ruminica ri Pasqua
E stu vermi ‘nterra casca.

Il succedersi dei giorni della settimana evoca chiaramente il periodo della Settimana Santa, la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Il paziente “morto” a causa della malattia, come Cristo, guarirà risorto a nuova vita: un chiaro esempio di sincretismo magico-religioso.

L’arazione viene bisbigliata, in quanto protetta da segretezza, ed è rivolta agli stessi vermi, che, come spesso viene detto, la sentono. Ciò evidenzia chiaramente l’idea di uno “stomaco vivente”, che ascolta e reagisce agli stimoli esterni, come una coscienza informe. Una “psichicità” addominale che non è prerogativa esclusiva della Sicilia: la ritroviamo, ad esempio ricorda Guggino, nella cultura classica o tra i Moudang del Ciad.

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Guaritrice (ph. André Martin, da Spreco, di D. Dolci, 1960)

Il mio informatore, Tonia (Altofonte, Palermo, 1957), desidera rimanere anonima. Donna magmatica, di una simpatia e di una loquacità unica, si definisce una casalinga “tuttofare”, sempre curiosa e appassionata di documentari scientifici, nonché capace di cucinare particolarmente bene e di riparare guasti idraulici, elettrici e apparecchi domestici. Diplomata al magistrale, è sposata da più di trent’anni con un idraulico che lavora in strutture ospedaliere, e con il quale ha avuto due figli, un ragazzo che lavora a Milano in una piccola azienda edile di proprietà e una ragazza impiegata presso una celebre industria locale di cosmetici. Una ricercatezza lessicale vagamente scientifica caratterizza il suo modo di parlare e porsi, quasi a voler continuamente ostentare le competenze tecniche acquisite con l’esperienza e la lettura di libri.

È il cinque di novembre 2007, una frizzante giornata d’autunno. Siamo ricevuti nel primo pomeriggio nella casa della madre di Tonia, Maria, sposata da oltre cinquant’anni con don Saro, che ha sempre dedicato la sua vita al lavoro nei campi, in attività di policoltura destinate al consumo familiare e che oggi si limita a lavoretti sporadici.

Mi accompagnano Giuseppina Burruano, originaria dello stesso paese e che ha fatto da mediatore, essendo don Saro il suo giardiniere, e le mie amiche antropologhe, Valentina Rametta e Valeria Dell’Orzo, che sono state fondamentali per agevolare il mio ingresso in un mondo tutto al femminile. Non abbiamo neanche il tempo delle presentazioni che Maria ci offre del caffè e degli ottimi buccellati fatti in casa. Poco dopo arriva Tonia. Le spiego le ragioni dell’indagine e inizia un dialogo che presto si trasforma in una polifonia d’incastro stile Ars Antiqua, che è stato difficile interpretare dalle sbobinature. Parlano tutti, ma Tonia e Maria (che scopro essere pure una ciarmavermi, anche se non più attiva), riescono a prendere il sopravvento e spiegarmi.

Sono i bambini del paese i pazienti più comuni se non addirittura gli unici possibili. Gli adulti, di entrambi i sessi, non si sottopongono alla terapia, considerata unicamente appannaggio del mondo infantile. Tonia si dedica, ormai da diversi anni, alla cura dei bambini. Ma la cosa interessante è che non è stata sua madre Maria, pure una ciarmavermi, a “iniziarla”, ma un’anziana signora del paese. Maria tiene a sottolineare che le sue modalità operative – ereditate a sua volta dalla madre – non hanno nulla a che fare con il rituale della tazzina di caffè che fa Tonia: tre segni della croce, realizzati con uno spicchio d’aglio, in tre punti dilicati del corpo, ossia la fronte, la gola e lo stomaco, – luoghi nevralgici di un organismo vivente, che ne determinano la stabilità psicofisica – accompagnati dalla recitazione del padrenostro e poi della celebre preghiera incentrata sulla Settimana Santa di cui faccio riferimento sopra.

5Un meccanismo sincretico che si avvale della forza della fede cristiana e, di conseguenza, dell’energia profusa dalla sfera divina, e che possiede un intenso potere magico – non usa però mai questa aggettivazione – e guaritore, in grado di agire su quei punti somatici, corrispondenti alle localizzazioni possibili dei vermi, che possono “salire” dall’intestino crasso, dove si trovano attaccati, in uno stato di quiescenza, fino allo stomaco, generando il più delle volte dolori locali e dissenteria, o alla gola, minacciando il paziente di soffocamento e persino alla testa. Il fine della terapia è il medesimo, ricacciare i vermi invasati al loro posto, localizzato nella zona intestinale.

Tonia, come già accennato, racconta di aver ricevuto questo “dono” da una signora anziana, che però, al momento della morte, non è riuscita a concludere la recitazione di quella orazione segreta che le avrebbe permesso di accedere a un potere taumaturgico ben più alto. Limita il suo operato alla recitazione della preghiera e all’uso della tazzina con l’aglio e l’olio. Non esegue alcun tipo di massaggio o strinta di pancia e non conosce altre arazioni, se non quella da me sopracitata, sebbene con la variante finale “Duminica di Pasqua, sutta ‘ste manu u verme casca”.

Il male da scantu è la causa più diffusa, mentre i sintomi generati dai movimenti dei vermi nell’apparato gastroenterico vanno dal semplice prurito rettale al dolore addominale, d’intensità variabile, all’insonnia e al pianto convulsivo. A volte possono salire fino alla gola e provocare vomito e senso di soffocamento. I vermi, infine, sentono la voce e gli odori, avvertono la forza della preghiera e l’odore acre emanato dall’aglio, un vero e proprio antivapiro (‘antivampiro’), che li fa “scappare”. Nulla però sembra aver a che fare direttamente con la magia. Tonia e Maria mostrano una profonda ostilità nei confronti della figura del mago. Il loro operato è guidato dalla fede e dall’intercessione divina, non da esseri soprannaturali indefiniti. Sostengono infine di non avere un particolare nome o soprannome, anche se indirettamente mi fanno sapere che l’espressione “la signora che raccoglie i vermi” è quella più diffusa a Altofonte.

Dialoghi Mediterranei, n.29, gennaio 2018

APPENDICE
Pubblico qui in calce i momenti salienti di una lunga conversazione avvenuta a Altofonte, con Tonia e Maria, il 5 novembre 2007, dalle 15:40 alle 19:15.
Giovanni (G): Tonia, mi spiega cosa sono questi vermi?
Tonia (T): I vermi sono gli ossiuri che abbiamo nelle feci. Quindi è psicosi. Quando si muovono, che uno per esempio si spaventa o, per un motivo qualunque, cominciano a muoversi, poi escono dalle feci e cominciano a salire. C’è allora a chi ci fa male lo stomaco, c’è a chi vanno allo stomaco, c’è addirittura a chi vanno nella gola, e alcune volte i bambini possono pure soffocare. E se vomitano, buttano fuori pure ‘sti vermi, perché poi quando salgono nello stomaco, là naturalmente forse si nutrono di altre sostanze, altre cose. Sono più piccoli come gli ossiuri, diventano tipo fili di spaghetti, così [indica la lunghezza con le dita, l’indice, delle mani], perché io li ho visti. Hai presente i capellini? Gli spaghetti quelli fini fini. Una volta mio figlio ha vomitato piccolo – due anni, così – e facevo: “ma che cavolo ha? Ma che io ci ho dato a mangiare spaghetti?” Io li ho messi in un panno e la dottoressa mi ha detto: “Tonia, sono i vermi, perché al bambino sono saliti e ce li aveva nella gola”. E possono pure soffocare i bambini.
G: Da dove provengono di preciso questi vermi?
T: Salgono dall’intestino, dal colon. Ma non lo so, magari, che so, che una cade, spunta qualcuno e tu sei un tipo che ti spaventi [racconta divertita che la sera precedente, si scantò persino della sua stessa immagine riflessa nel grande specchio del bagno nuovo, appena rimodernato]. E così possono venire pure i vermi, con questa paura. Magari un incidente, una qualunque cosa, tu ti puoi spaventare. Stanno belli accucciati là sotto [indica l’addome]. Là sotto, all’intestino crasso, dove vanno le feci. Hai capito? Quindi stanno lì, attaccati. Quando tu butti le feci, loro non è che li butti, devi essere spaventato per buttare ‘sti cosi pure nella cacchina. Invece stanno belli composti, nelle pareti dell’intestino.
G: E a che servono, allora?
T: Certo una funzione ce l’avranno ‘sti cosi. Siamo tutti vermi noi dentro. Quindi ‘sti vermi una funzione nel nostro stomaco, pancia, quello che è, ce l’avranno sicuramente la funzione. Certo non è che u Signuri rice: “aspetta, a ttia ti metto i vermi”, quanno ti creò, pi ppiaciri. Avranno una funzione. È giusto? Quindi, quando loro si muovono con uno spavento, con una cosa, loro se ne cominciano a camminare.
G: E si muovono solo per lo spavento? Non ci sono altri motivi?
T: Altri motivi non te lo posso dire. Ma con gli spaventi ‘sti cosi si possono muovere.
G: Quali persone cura, Tonia? Chi viene da lei?
T: L’altro giorno mi hanno telefonato da Villaciambra e mi hanno portato un bambino di tre anni che piangeva, notte e giorno. Dice: “può darsi che si è spaventato il bambino? Ci raccogliamo ‘sti vermi?” E ci raccogliamo i vermi a Villaciambra. No, adulti mai. Si ora un adulto dice: “ora vado dalla signora e mi va cogghiu i vermi!” Non ci sarebbe niente di male ma possibilmente un altro, magari un adulto non ci crede che uno adulto si può spaventare per i vermi. Io a trent’anni, a quarant’anni mi posso spaventare mai? No, per me è una fissaria. Non sono un bambino. Giusto?
Maria (M): No! Solo bambini! “Maria fammi questo favore, il bambino grida perché si è spaventato”. Ci rissi: “aspetta ca ci cogghiamo i vermi”. Si è seduta, ci ho raccolto i vermi e così si è calmato. Poi l’indomani è venuta, dice: “Il bambino mi ha dormito tutta la notte”.[…] Sentite! La preghiera! Si dice la preghiera. Si fa la croce qua [esegue il segno della croce nella fronte], qua [nella gola] e qua [nell’ombelico], con l’aglio e si dice l’arazione. Questa è quella che io so. Perché me ne portavano pure i bambini per toglierci i vermi. E sappiamo questo. Io so questo. Se c’era mia madre ti poteva dire di più.
G: Sua madre [mi rivolgo ora a Maria] le ha insegnato questa cosa?
M: Mia madre, perché io avevo i bambini. Non è che potevo andare sempre…Io senza tazzina lo faccio però, solo con l’aglio. Uno spicchio d’aglio si schiaccia, mi faccio il segno della croce…il Padrenostro, pure, e poi con l’aglio, incomincio a fare la croce. […] I tre punti su dilicati questi. Delle volte pure l’aglio si mette dietro l’orecchio, qua dietro e si dice l’arazioni […].
T: A me invece hanno imparato quella con la tazzina. Io prendo ‘sta tazzina, me la metto in mano, prendo tre spicchi d’aglio, invece di uno come fa mia madre [Maria annuisce], li schiaccio, due li metto qua con l’olio, sporco un pochino il bordo della tazzina [mentre parla compie ogni singolo gesto davanti a me per farmi capire meglio], uno me lo tengo in mano. E poi mi faccio il segno della croce e comincio a dire la preghiera. Prima di dire “Lunneri Santo…”, comincio a dire la preghiera, il Padrenostro, poi faccio tre segni qua (indica la gola), sempre ca tazzina in mano, tre segni qua (indica l’ombelico), continuando sempre a dire la preghiera, tre croci. Poi quello spicchio lo metto nella tazzina con gli altri e gliela metto qua (nell’ombelico) riboccata (capovolta), e basta, continuo a dire la preghiera.Se c’è veramente il verme, i vermi, la tazzina pure che tu parli, non si muove, si attacca alla pancia, all’ombelico. Se i vermi non ci sono, non si attacca, si stacca subito. Ecco.
G: Perché fate questi segni della croce? A chi la dite la preghiera?
T: A chi la diciamo? Non la diciamo a nessuno. La preghiera è detta perché quando tu dici: “lunedì è Santo”, quindi parli in generale, con i Santi. È giusto? Per farti dare un aiuto. Poi l’ultima che dice “Duminica di Pasqua, sutta ‘ste manu u verme casca” [Maria ripete con Tonia, all’unisono, il verso]. Quindi Pasqua è il giorno della Resurrezione di Dio. È giusto? Quindi è detta, intanto per tutti i santi, e poi l’ultima parola per il giorno della Resurrezione. E quindi con questa preghiera i vermi si calmano. Non è che se ne vanno. Ritornano al loro posto.
G: E allora lei mi sta dicendo che i vermi sentono quello che dice.
T: Certo su’ surdi. Certo non ci sentiranno. Ma per opera di Dio, picchì si un c’è a so mano, non siamo niente. Si calmano e se ne vanno a posto. Se sono in pancia, allo stomaco… se ne vanno. E di solito si fa con i bambini a digiuno e la raccoglitrice – chiamiamola – pure a digiuno. Se tu lo fai Lunedì, Martedì e Mercoledì, lo devi fare tre giorni di seguito, perché si fa per tre giorni; se tu lo fai Mercoledì e Venerdì, vanno per tre giorni direttamente, in una volta, vanno per tre giorni.
G: E perché usate l’aglio?
T: Perché fa puzza. Perché una volta che facevano? L’antivampiro, mettevano l’aglio dietro la porta per farlo scappare. E dice che ‘sti vermicu ‘sta puzza se ne vanno, si sistemano, si quietano nell’intestino crasso.
G: Chi le ha insegnato la pratica della tazzina?
T: Una signora anziana del paese. Una volta avevo mio figlio che aveva ‘sti vermi, io ancora trentadue anni fa io non ce la faccio, non li sapevo fare, mia madre non c’era. E un’amica mia dice: “portalo da ‘sta signora che ti raccoglie i vermi a tuo figlio”. Glieli ha raccolti. Poi a un certo punto ‘sta signora cominciò a parlare piano piano che io non capivo quello che diceva, e cominciò a fare così, la girava, la faceva e ci stringeva la pelle della pancia. Poi quand’ha finito, ci rissi: “Ma che cosa ha fatto?” “Ho finito di raccoglierci i vermi”. Ci rissi: “ora mi ricisse che preghiera c’ha detto”. “Questa”, dice, “non te la posso insegnare. S’insegna solo al momento della morte”.
G: Allora non è la preghiera di poco fa? Quella che so pure io?
T: Quella è una cosa che non la so nemmeno io. Mi disse: “Al momento di morte, una ancora capisce”, dice che qualcuna che è interessata può chiedere: “m’insigna ‘sta cosa?” e già però una deve capire ca chidda se n’agghire da un momento all’altro, è giusto? E deve essere capace pure d’intendere e di parlare… L’orazione, quella “Lunneri Santo…”, me l’ha insegnata ‘sta signora. Poi non so che preghiera ha detto con questa “strinta” [‘stritolamento’, ‘stretta’] di pancia. Però la preghiera si dice in silenzio. Non è che io mentre raccolgo i vermi, la devo fare sentire a tutti, la dico in mente, io.
G: Le non la fa questa ‘strinta’ di pancia?
T: No, no, perché non la so. È inutile che stringo la pancia, ma per fare che cosa? Che devo dire? Non lo so. Il verme con l’orazione che io so dovrebbe morire effettivamente. Però siccome non muore, il verme ci sarà sempre, si rimette a posto, giù. Perché di solito i bambini hanno prurito al culetto alcune volte, e ci sono i vermuzzi nelle feci, perché stanno là. Perché non è per esempio un grande spavento che i bambini si sono presi. È una cosa magari che giocano tra di loro e s’innervosiscono e hanno prurito nel culetto e fanno le feci, e tu vedi ‘sti ossiuri nelle feci. Però quand’è uno spavento abbastanza consistente, iddi cominciano a ribellarsi.
G: Come la chiamano in paese per questa pratica medica? Vado da…?
T: Non è come tu dici: “vado dalla veggente”, dico per dire, ma la signora che raccoglie i vermi non ha un loro soprannome. Hai capito? Perché già veggente per me è soprannome che hanno, mancu nome, non lo so, aggettivo, sostantivo, non lo so definire anche ‘sta parola veggente, io. Che cos’è? ‘Sta parola è una parola astratta, che non ha significato, secondo me. Vero è? Ma che veggente? Non vedono niente. Vedono che su malati i ciriveddu, secondo me! [Scoppia una risata generale].
G: Quali sono i sintomi dei vermi che lei riscontra nei pazienti?
T: Prurito e bruciore del culetto, ti può fare pure male la pancia. Quando loro cominciano veramente a salire per venire qua sopra [indica la gola], iddi piangono la notte, magari un ci dormono,a mamma pensa: “nenti ave i vermi u picciriddu”. Nenti, che non mangiano, hanno prurito nu culetto, che un ci dormono a notti e piangono.
G: Riesce sempre a risolvere il problema?
T: Sì, non me li portano più quelli che sono venuti. Quindi una soluzione gliel’ho trovata, giusto? Qualche cosa l’ha fatto.
G: Se i vermi arrivano in gola o in alto che succede?
T: Puoi avere solletico alla gola, ti può venire il senso di vomito, ti senti soffocare. Perché magari se arrivano allo stomaco e ti senti quel senso di vomito, come è successo a mio figlio ch’era bambino… Appena mi ha vomitato, naturalmente ti parte dallo stomaco il vomito, e li ha buttati, perché sono sicura che lui nella gola non ce li aveva. Sono partiti dallo stomaco, perché avranno quella sostanza, magari gli stessi acidi, qualche cosa che si nutrono, e sono diventati più lunghi. Però io sono sempre del principio che non abbiamo solo due vermi, noi nel discorso, la tenia e gli ossiuri, ma più di uno, ma la funzione di tutti non la sappiamo. Ma io ho fatto il magistrale, va bene? Siccome sono un tipo che mi voglio interessare molto, alcune volte, pure che sono seduta sola, studio e faccio: “ma come è successa ‘sta cosa? Come si è formata questa cosa?” […] Mi pongo tante di domande e problemi nu ciriveddu, che voi non ne avete l’idea. Mi sono pure chiesta che funzione [il concetto di funzione è rivisto da Tonia più come effetto, conseguenza] hanno ‘sti vermi in noi. La tenia, per esempio, a funzione ce l’ha, come penso io. Che poi, la tenia tende lei a mangiare sempre e non ingrassa mai, ha una forma di tagliatella lunga, allunga, sette metri, otto metri, dieci metri, dodici metri, quella allunga. Se quella ti viene alla gola, t’affuca proprio, come quando tu metti una corda al collo, ma alla gola non ci va, perché la tenia tu la butti dall’intestino, la puoi buttare a pezzi, però se non butti la testa per intero, non muore mai, si riproduce, l’altra metà si va allungando sempre. Quella quindi c’ha una funzione di farti dimagrire, perché mangia lei, le sostanze se le mangia lei. La Callas, dice, che se l’è bevuta nello champagne per dimagrire? Come a quelli che hanno l’ulcera gastrica, si mangiano una lumaca, la escono viva dalla buccia la lumaca, o che se la mangiano così e se la ingoiano, oppure la mettono in una mollica chiusa e s’ingoiano ‘sta mollica, perché con quella schiuma che si fa, dice che l’ulcera gastrica passa. E io mi mangerei a pensare a ‘sta cosa che va camminando dentro la pancia? [Scoppia un’altra risata generale e dopo saluti e convenevoli ci si congederà].
Riferimenti bibliografici
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Pitrè G., 1978, Medicina popolare siciliana, in Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, ristampa anastatica dell’edizione di Palermo, 1870-1913, a cura di Aurelio Rigoli, Il Vespro, Palermo.
Seppilli T., (a cura di), 1983, Studi sulla medicina popolare in Italia, in “La Ricerca folklorica in Italia. Contributi allo studio della cultura delle classi popolari”, n.8.

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Gian Mauro Sales Pandolfini, laureato a Palermo in Beni Demoetnoantropologici, si occupa di credenze popolari, siciliane e classiche, attinenti la sfera magico-rituale e di fenomeni legati allo Spiritismo medianico e magnetico tra Otto e Novecento. Ha contribuito al disvelamento dell’opera saggistica, letteraria e fotografica di Luigi Capuana, inerente l’occultismo, adottando metodologicamente il dialogo interdisciplinare tra antropologia, letteratura e arte figurativa. Già redattore multimediale presso la Casa editrice G. B. Palumbo, ha diretto il Bookshop del Teatro Massimo di Palermo.

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