Viviamo un tempo di profondi cambiamenti, dominato da incertezze e mancanza di prospettive: è quanto aveva già intuito, peraltro, Karl Polanyi quando definiva il Novecento il secolo della “Grande trasformazione” (1974). Trasformazioni rapidissime che di conseguenza hanno bruscamente interrotto il percorso lineare fra il passato, il presente e il futuro. Si è trattato in fondo di un’improvvisa “accelerazione della storia”, per usare le parole di Pierre Nora (2013), che ha progressivamente annullato la percezione del passato, potenziando l’autonomia del presente e di fatto vanificando ogni capacità di previsione del futuro. Questo continuo rimescolamento delle carte a tutto svantaggio della permanenza, ha finito col mettere in crisi anche la storia ufficiale intesa come ricostruzione “oggettiva” del passato, basata sulle fonti d’archivio e i documenti. A colmarne il vuoto, a compensarne la perdita di senso è stata proprio la memoria, collettiva o individuale, che negli ultimi trent’anni, complice la scuola degli Annales, ha letteralmente invaso il campo tradizionalmente demandato alla storia (Le Goff 1980).
Un sistema alternativo per accumulare informazioni e ricavarne dati utili per la conoscenza del passato almeno di quello più recente, attraverso i ricordi, i racconti e le testimonianze di chi ha vissuto direttamente o indirettamente quelle esperienze: i due conflitti mondiali, il fascismo e la Resistenza partigiana, il nazismo e l’Olocausto, il terrorismo politico delle brigate rosse e, più di recente, quello islamico a partire dagli attacchi delle Torri gemelle, le stragi mafiose e così via. Da qui l’importanza sempre più accentuata nei confronti di quello che con termine anglosassone si definisce eredità intangibile e nei francesi viene inteso come patrimonio, come un bagaglio di risorse comuni che consolida nei cittadini il senso di appartenenza.
Tale «avvento mondiale della memoria» (Nora 2013) si è accompagnato con una nuova era, quella della “commemorazione” con il proliferare di una serie di iniziative celebrative di eventi e personaggi assurti a simbolo e ammonimento per le nuove generazioni. Statue, cimeli, obelischi ma anche semplici “giornate della memoria” si sono moltiplicate negli ultimi anni a mò di exemplum per alimentare il ricordo di eventi e personaggi. Una tendenza che già col Risorgimento e l’unificazione nazionale si era fatta strada in Italia, come dimostra la statua di Garibaldi, “eroe dei due mondi”, immortalata in numerose le piazze pubbliche dei centri cittadini. Ma è soprattutto con la “Grande Guerra” che la smania del ricordare assume proporzioni eclatanti e la figura del Milite Ignoto diviene il simbolo per eccellenza del sacrificio di una morte eroica e prematura in nome di un ideale.
Più che l’attenzione alla storia e alla conoscenza oggettiva dei fatti accaduti, si accentua progressivamente da parte delle istituzioni il bisogno di ricordare, di celebrare pubblicamente, di attirare intorno a eventi la massima partecipazione delle comunità. La creazione di una memoria collettiva diviene così lo strumento più adeguato per la costruzione di una identità condivisa, da rinnovare di anno in anno secondo determinate ricorrenze stabilite dai calendari civili.
“I luoghi della memoria”, nel momento in cui circoscrivono un determinato evento al suo sito, diventano luoghi simbolici, e legandosi al paesaggio materializzano l’immateriale (Nora 1984-92; Sorcinelli 2020). Essi si moltiplicano concretizzandosi in varie forme non soltanto monumentali ma anche nei musei, negli archivi orali, nelle biblioteche tematiche o nelle banche dati per alimentare e stimolare il ricordo comune di ciò che è accaduto, di ciò che siamo stati. Memorie locali, nazionali, europee e mondiali: memorie più potenti, memorie più deboli che si accostano, si sovrappongono, coesistono, le une offuscando le altre, rendendo estremamente complesso e diversificato il panorama da cui attingere.
Un esempio per tutti con una data da ricordare: 9 maggio 1978 l’assassinio di Aldo Moro a Roma da parte delle Brigate Rosse, quando il corpo del segretario della Democrazia Cristiana viene ritrovato in via Caetani nel portabagagli di una macchina. Nello stesso giorno, in un piccolo paese del Palermitano, viene scoperto, nei pressi di una ferrovia, il cadavere di Peppino Impastato, giornalista dell’emittente locale Radio Aut. Mentre per anni la notizia sarà trascurata di fronte all’imponente e risonante attentato terroristico, e la disgrazia di Cinisi verrà giustificata col suicidio del giovane comunista, il processo alla fine renderà giustizia dell’attentato mafioso. Da allora il mese di maggio in Sicilia sarà costellato di due grandi giornate della memoria: quello del 9 che si svolge a Cinisi attorno a quel rudere di campagna divenuto simbolo dell’assassinio brutale di Impastato, e quella del 23 maggio attorno all’albero di Giovanni Falcone.
Non è un caso d’altra parte che il nuovo Millennio sarà inaugurato dall’istituzione di una giornata della Memoria, il 27 Gennaio del 2000, al fine di ricordare gli orrori dell’Olocausto. Attorno a quella data l’Europa intera si stringe nel ricordo di Auschwitz, celebrandone il ricordo, fondando e rifondando in quella ricorrenza la volontà comune di porre fine ai genocidi.
Ma vi sono altri accadimenti che delineano contestualmente i confini di un nuovo assetto internazionale, generando, anche in questo caso, dispositivi di memoria condivisa e sempre più allargata: la caduta del muro di Berlino nel 1989 e l’unificazione della Germania, la scomparsa dell’Unione Sovietica e la fine dei regimi totalitari comunisti, che consentiranno anche ai Paesi dell’Est, liberati dal giogo dell’oppressione, di entrare a far parte di una Europa comune, una volta aperti alla democrazia. Il crollo del totalitarismo del XX secolo, sia esso nazista, comunista o di altro regime dittatoriale, ha comportato inoltre una liberazione delle memorie dei popoli soggetti, fino a quel momento manipolate, strumentalizzate o cancellate dai vari regimi.
Ai fatti ricordati bisogna ancora aggiungere il venir meno delle dittature in America Latina, con la fine dell’apartheid in Sud Africa e la nascita della Truth and Reconciliation Commission, che hanno sicuramente alimentato il bisogno di restituire la parola a popoli ed etnie finora sommersi e per i quali il recupero della memoria diviene parte integrante del processo di costituzione della loro identità. È stata proprio questa esplosione di memorie minoritarie a modificare profondamente i rapporti fra lo statuto della storia e quello della memoria, i loro rapporti reciproci. Laddove la storia ufficiale restava vincolata al punto di vista delle autorità pubbliche, solo la memoria collettiva poteva dar voce ai popoli dimenticati. Per lungo tempo alla storia è stato conferito lo statuto della scientificità, mentre la memoria e le memorie, scaturite dai racconti orali, restavano confinate nel regno delle soggettività, dell’emotività e del particolarismo.
Tuttavia, in questi ultimi anni si è fatto abuso della memoria, sopravvalutata in maniera esagerata a discapito della storia. È quanto sostiene Marcello Flores nel suo ultimo libro edito dal Mulino nel 2020, che mette in guardia i lettori dai pericoli e dalle insidie generate da una Cattiva memoria (questo il titolo del libro), seguito da un sottotitolo piuttosto esplicativo: Perché è difficile fare i conti con la storia. L’autore parte da una considerazione richiamando il pensiero di una studiosa:
«Due fatti sono sotto gli occhi di tutti: 1) Negli ultimi anni la Shoah è stata oggetto di capillari attività commemorative in tutto il mondo occidentale; 2) Negli ultimi vent’anni il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura proprio nei Paesi in cui le politiche della memoria sono state implementate con maggior vigore».
Se è vero quanto asserisce Valentina Pisanty nell’incipit del suo I guardiani della memoria e il ritorno delle destre omofobe, (2020) è altrettanto vero che qualcosa nella costruzione della memoria collettiva non ha funzionato o quanto meno non ha sortito gli effetti desiderati, almeno negli obiettivi preposti dagli apparati istituzionali i quali facendo appello al ricordo, fungevano da monito per le nuove generazioni. La restituzione e la condanna del “male”, quale riaffiora dai ricordi e dalle sofferenze dei sopravvissuti a eccidi, stragi e massacri finiscono col divenire un valore assoluto che non tiene conto di altri fattori contestuali dei fatti esaminati, rischiando di cadere in contrapposizioni manichee e vittimistiche nei confronti della sofferenza.
La verità sta probabilmente nella consapevolezza che la memoria, ogni memoria è sempre un fatto arbitrario, legato al punto di vista di chi la esplicita in un determinato momento, rendendola pubblica, accessibile e partecipata. La memoria – come ci ha insegnato Le Goff ma anche Leroi-Gourhan – è un processo costante di accumulazione, conservazione e selezione, per molti versi soggettiva. Se così non fosse non si spiegherebbero altrimenti le posizioni contraddittorie che hanno dominato la stampa e il dibattito pubblico su eventi come la Shoah per citare nuovamente il più famoso, fino a posizioni estreme come quella del negazionismo di chi ritiene lo sterminio ebreo il frutto della fantasia di pochi. O ancora certe posizioni della destra estrema secondo cui le responsabilità dei regimi sovietici stalinisti su violenze e massacri sarebbero equiparabili agli effetti devastanti del nazismo.
Insomma un pericolo c’è e bisogna limitare l’eccessiva enfatizzazione dei ricordi, mai trascurando la loro soggettività e guardando sempre ai contesti che li hanno generati e ricollocandoli in un rapporto dialettico complementare con la storia. Soprattutto non bisogna dimenticare il fatto che proprio la memoria, proprio per la sua dimensione orale e intangibile, si presta ad essere manipolata e facilmente diviene strumento di propaganda politica da parte di fazioni contrapposte.
Un breve accenno a quanto sta succedendo nel mondo, nel corso della pandemia diffusa dal Covid 19, può tornarci utile a questo proposito. Mai come adesso, un virus esistente in natura che sta provocando un numero spaventoso di vittime, dato estremamente obiettivo, è stato oggetto di diverse interpretazioni, spesso discordanti, generando contrapposizioni e attacchi ai governanti nazionali e internazionali. Anche la scienza che dovrebbe basarsi su dati certi e inconfutabili si trova divisa fra allarmismo e negazionismo e all’interno di quest’ultimo sorgono movimenti identitari come quelli dei no mask che affollano le piazze, incuranti dei contagi. Quello che sta succedendo ogni giorno sotto i nostri occhi è una delle prove più evidenti dell’assoluta arbitrarietà di ogni interpretazione, dei pericoli della propaganda politica e della strumentalizzazione di fenomeni di assoluta gravità per ricavarne appoggi e favoritismi da parte dei vari partiti d’opposizione e governativi.
Questo induce a ritenere con Flores che occorrerebbe rivedere il rapporto fra la storia e la memoria tenendo presente il fatto che entrambi restano pur sempre letture mai univoche di fatti realmente accaduti, inevitabilmente soggetti al potere discrezionale di ogni giudizio. In realtà si opera sempre una scelta che mette in risalto certi dati e ne trascura altri. È vero soprattutto per la memoria, come abbiamo più volte ripetuto, frutto di tante memorie soggettive, patrimonio intangibile e più soggetto alla manipolazione. Ma è vero in fondo anche per la storia, come ricorda Le Goff quando sostiene che ogni “documento” non è mai neutro e contiene in sé anche il valore di “monumento” con un’implicita finalità comunicativa, quella del ricordare.
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Riferimenti bibliografici
Le Goff, Jacques
1978 Documento/Monumento, in «Enciclopedia Einaudi», v. 5, Torino: 38-48
Le Goff, Jacques
1979 Memoria, in «Enciclopedia Einaudi», v. 8, Torino: 1069-1105
Le Goff, Jacques (a cura di)
1980 La nuova storia, Milano Mondadori
Leroi-Gourhan, Andrè
1977 Il gesto e la parola. La memoria e i ritmi, v.2, Torino, Einaudi
Nora, Pierre
1984-92 De lieux de mémoire, 3 voll., Paris, Gallimard
2013 L’avvento della memoria, in «Eurozine», rivista online
Polanyi, Karl
1974 La grande trasformazione, Torino, Einaudi
Pisanty, Valentina
2020 I guardiani della memoria e il ritorno delle destre omofobe, Milano, Bompiani
Sorcinelli, Paolo
2020 Suggestioni della memoria e riflessioni storiografiche, in «Storia e Futuro», rivista di storia e storiografia online, n.52, Aprile
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Orietta Sorgi, etnoantropologa, ha lavorato presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, quale responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006); Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015); Sicilia rurale. Memoria di una terra antica, con Salvatore Silvano Nigro (2017).
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