di Eugenio Giorgianni
Sartre (2008) riconosce il principio fondativo del sé nello sguardo esercitato dall’altro. Uno dei più rilevanti fenomeni delle città contemporanee, attraversate da flussi migratori, è il moltiplicarsi degli sguardi ‘altri’ a cui il cittadino è sottoposto.Nel contesto urbano di Palermo, i migranti hanno scarso spazio di espressione, sia nella comunicazione ufficiale che nei rapporti quotidiani: dalla televisione alla strada, sono loro ad essere osservati e fatti oggetto di commento, raramente avviene il contrario. Eccetto in quella parte maggioritaria del centro storico che non è stata coinvolta in nessuna ‘primavera’, e che continua ad essere segnata dalle rovine, dove si concentra la residenzialità migrante con condizioni abitative e rapporti di potere sociale non molto diversi rispetto agli abitanti locali. Il diritto allo sguardo è qui esercitato reciprocamente; a Palermo, l’interazione tra culture diverse è una creazione prettamente popolare (Cole, 1997).
Ballarò è il fulcro di questo paesaggio. Il quartiere costituisce il centro geografico ed economico del bacino migrante nell’area urbana. Nel mercato di Ballarò, venditori di tutte le nazionalità espongono sulle bancate igname e spezie nordafricane accanto a broccoli e cardi, cercando di attirare i clienti senza badare alla loro provenienza; il fumo degli spiedini di carne halal arrostiti sulla brace per strada si mischia a quello delle stigghiole. Questo ricco panorama sensoriale – tanto osannato dalla retorica ufficiale delle amministrazioni locali, con particolare enfasi sullo street food, probabilmente in seguito al recente trend di programmi televisivi dedicati alla cucina – non è che la componente estetica di un fenomeno di marginalizzazione, di cui lo spaccio di droga è una componente forse ancora più intima delle abbanniati dei venditori di strada.
Dopo i bombardamenti del 1943, la speculazione edilizia ha riversato un mare di cemento sulla Conca d’Oro, provocando l’esodo degli abitanti del centro storico verso i nuovi quartieri di edilizia popolare. Lo spopolamento, la rottura del tessuto socioeconomico tradizionale, i crolli provocati dall’incuria, hanno determinato l’ossimoro della marginalità del centro. In questo cortocircuito delle funzioni urbane, attratti dai prezzi bassi e la disponibilità di spazio, protetti dal cono d’ombra del controllo istituzionale, si inseriscono i migranti, specie quelli più precari, gli indocumentati; la loro presenza è necessaria per l’economia della città, che basa interi settori sul lavoro nero e sulla disponibilità di manodopera non tutelata e a basso prezzo.
L’iniezione di nuova residenzialità ha costituito linfa vitale per il mercato di Ballarò, l’ultimo dei mercati tradizionali palermitani a mantenere la struttura popolare del suk. La dimensione face-to-face dell’economia tradizionale embrica il momento del mercato nella rete dei rapporti sociali, lo lega saldamente ai suoi abitanti, senza i quali è condannato all’estinzione. La legge del mercato prevale sul razzismo e la diffidenza, cosicché Ballarò ingloba l’elemento migrante, come clientela e come entità commerciale; il mercato continua a sopravvivere, trasformandosi radicalmente.
La presenza migrante arricchisce l’offerta, attira nuovi clienti, riempie gli spazi lasciati vuoti. La rilevanza economica delle comunità migranti nel tessuto di Ballarò produce spazi sociali organizzati in maniera autonoma, in cui la presenza di palermitani rappresenta una minoranza. La domenica sera, mentre le altre attività riposano, il microcosmo subsahariano celebra il giorno di festa nella piazza e nelle strade adiacenti al mercato, con impianti stereo montati su tavoli di plastica o addirittura su motorini.
I molteplici esercizi commerciali e punti di ritrovo gestiti e frequentati da migranti costituiscono osservatori sul quartiere e sulla città. In questi nuclei lo sguardo si fa più sostenuto, le esperienze e idee compongono circuiti di senso; è il palermitano ad essere osservato, analizzato e commentato, ad avvertire il disagio della radicale alterità nel proprio spazio abitato. I migranti elaborano mappe mentali del luogo di arrivo che non tengono conto dei pregiudizi e dei posizionamenti di chi vi ha sempre vissuto, e questo comporta una notevole potenzialità di contestazione della rete semiotica locale. Durante la mia esperienza etnografica sono stato sorpreso dalla serenità con cui gli imprenditori migranti di Ballarò trattano la questione del racket, ammettendo soddisfatti di pagare regolarmente il pizzo. In un contesto di precarietà economica e legale, essere soggetti a una tassazione, di qualunque natura, sancisce questi imprenditori come agencies economiche riconosciute, li inserisce nel sistema. L’imprenditoria migrante rispetta e infrange le stesse regole di quella locale. In questo senso, i migranti percepiscono le organizzazioni informali del territorio come più tolleranti rispetto alle istituzioni ufficiali; ciò mostra la violenza e l’estrema precarietà del contesto in cui avviene il contatto, sostanzialmente estraneo alla politica ufficiale.
Nonostante la marginalità, il fenomeno della transculturalizzazione di Ballarò manifesta la vitalità del tessuto urbano e la capacità di acquisire nuove centralità dal basso. Ballarò è un polo di attrazione nell’universo migrante, capace di attirare come turisti del divertimento durante il fine settimana anche migranti residenti nei comuni circostanti, che si recano nelle discoteche e nei bar gestiti da connazionali. L’importanza del luogo è manifesta nella scelta dell’NPD, partito politico ghanese, di celebrare la convention annuale del 2012 proprio a Ballarò: la rilevanza della comunità diasporica ghanese sul territorio palermitano e a livello internazione inserisce la città in nuovi circuiti politici, il cui esito ultimo è la designazione di Palermo come sede del nuovo Consolato ghanese in Italia.
La socialità esuberante e la volontà di inserimento dei migranti conferiscono ai loro spazi una tensione di apertura verso il resto della cittadinanza. Ciò contribuisce ad una ulteriore, nuova centralità di Ballarò: durante tutta la settimana le taverne del quartiere, oltre agli avventori locali e migranti, attirano una moltitudine variegata di giovani. A parte i risvolti politici del fenomeno, ritengo che buona parte di questa compagine – dalla quale non mi sento affatto estraneo – sia attratta da quella che definirei la fascinazione delle rovine, che sublima l’insoddisfazione rispetto al proprio contesto culturale in uno scenario di cui l’unico lato contestatario che si coglie è quello estetico, quanto basta per considerarsi bohème di una città decadente. Questo fattore, sebbene produca contatti sociali solo in misura limitata e costituisca di fatto una conferma del degrado, apporta significativi effetti economici. Ciò è evidente alla Vucciria, dove la desolazione diurna di un mercato diafano si contrappone alla vitalità notturna di una miriade di attività, per lo più informali, che hanno proliferato intorno alle feste di piazza. L’impotenza di questa rivitalizzazione rispetto al degrado è resa manifesta dal crollo di uno delle migliaia di edifici a rischio del centro storico, avvenuto nel febbraio scorso in piazza Garraffello, teatro dell’urban art e dancehall a cielo aperto. Come misura di sicurezza è stato eretto un muro intorno alla piazza, divelto nottetempo per aprire la via ai locali notturni della zona.
La classe dirigente continua a preoccuparsi del recupero urbano solo quando non c’è più niente da recuperare, quando la città è ridotta a macerie, e non c’è più bisogno di mediare la rifunzionalizzazione con nessuna parte sociale; mentre nel cuore della città, nelle scuole, nelle taverne a Ballarò, gruppi umani eterogenei condividono il confuso spazio della postmodernità, ricomponendo rovine che nessuna amministrazione ha mai messo in sicurezza.
Dialoghi Mediterranei, n.6, marzo 2014
Riferimenti bibliografici
Cancila Orazio, Storia delle città italiane. Palermo, Laterza, Roma-Bari 1999.
Cole Jeffrey, The new racism in Europe: a Sicilian Ethnography, Cambridge University Press, Cambridge–New York 1997.
Sartre Jean-Paul, L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, trad. it., Il Saggiatore, Milano 2008.