di Amelio Pezzetta
Introduzione
Il periodo storico in esame, compreso tra la fine del Primo conflitto mondiale e l’avvento del regime fascista, in tutto il territorio nazionale è ricco di avvenimenti di notevole interesse storico, politico e socio-antropologico. Tenendo conto di questo, nel presente saggio si son voluti descrivere i riflessi che essi hanno avuto a Lama dei Peligni, un Comune abruzzese della provincia di Chieti decimato dall’emigrazione che attualmente conta circa 1100 abitanti.
La ricerca inoltre vuole evidenziare e riaffermare l’importanza della storia socio-religiosa, il valore antropologico e l’originalità della microstoria che ovunque sia studiata presenta sempre notevoli caratteri di unicità non riscontrabili in altre località anche prossime tra loro. I fatti narrati sono stati ricavati dalla consultazione di documenti archivistici, pubblicazioni varie e dalle testimonianze raccolte diversi anni fa tra gli abitanti del luogo.
Le condizioni economiche e sociali della popolazione
In base al censimento del 1921 la popolazione residente a Lama dei Peligni ammontava a 3958 individui, mentre gli abitanti presenti ammontavano a 3640 unità [1]. Lo scarto di 318 unità, pari a oltre l’8% del totale dei residenti, è costituito da soggetti temporaneamente emigrati. Siccome nel 1911 lo scarto tra la popolazione residente e quella presente ammontò a 1104 unità, ciò significa che nel 1921 una parte dei lavoratori emigrati era tornata a vivere in paese. Nel 1921 1818 individui pari al 49,9 % della popolazione presente era alfabetizzata, mentre gli analfabeti ammontavano a 1407 unità [2].
Per quanto riguarda le attività economiche praticate oltre il 60% della popolazione era occupata nell’agricoltura. Le condizioni economiche e sociali dei contadini, seppur migliorate rispetto ai periodi precedenti grazie alle rimesse degli emigrati, erano nel complesso critiche poiché caratterizzate da redditi molto bassi e condizioni sociali subalterne. A tal proposito Tancredi Madonna scrisse che nel 1919 a Lama dei Peligni:
«Era il tempo in cui i contadini lavoravano sodo, ma il loro lavoro non valeva nulla. I frutti della terra finivano in massima parte nelle mani dei padroni. Era il tempo in cui la polenta costituiva il cibo quotidiano dei poveri ed i disoccupati perenni in piazza offrivano la manodopera per un tozzo di pane di granturco…;era il tempo in cui i vestiti erano quasi sempre sdrucidi, rappezzati, incolori e sudici… ed i genitori esortavano i figli, come alta espressione di educazione a dire sempre ai ricchi signori che passavano per via, eleganti ed impettiti: Buongiorno don Giulio!, – servo suo don Ermete…La ricchezza e la miseria erano considerati fenomeni irreversibili: gli agiati possidenti erano fortunati per diritto di natura, i disgraziati erano miserabili per volere del destino» [3].
Le amare condizioni esistenziali sopra descritte spinsero molti giovani a lasciare il paese per cercare fortuna altrove. Questo fatto dimostra che essi avevano maturato la consapevolezza di poter essere padroni del proprio destino e avere la possibilità di superare le condizioni di precarietà in cui vivevano. Nella generalità dei casi gli emigranti lamesi dell’epoca appartenevano alla classe dei contadini nullatenenti poco o per niente alfabetizzati. Essi innanzitutto ambivano a elevare il loro status sociale passando dalla condizione bracciantile nullatenente a quella di piccoli proprietari liberi non sottomessi a sudditanze economiche e psicologiche. Di conseguenza cercavano di risparmiare e con i frutti dei loro risparmi far ritorno in paese per costruirsi un’abitazione, acquistare nuovi terreni e/o riscattare eventuali canoni su quelli che coltivavano. Alcuni di essi tuttavia una volta partiti si stabilirono in modo definitivo nei paesi d’accoglienza.
La conclusione del Primo conflitto mondiale a Lama dei Peligni
Al Primo conflitto mondiale parteciparono circa 360 soldati di origini lamesi di cui alcuni inquadrati nell’esercito americano. Tra essi 54 giovani soldati persero la vita nei luoghi di combattimento e non furono restituiti alle loro famiglie. I restanti 300 reduci portarono in paese il pesante fardello carico di esperienze tragiche e di sacrifici immani sostenuti sui campi di battaglia. Durante le varie fasi del conflitto le loro coscienze di credenti cristiani furono profondamente turbate poiché per salvare la propria pelle furono costretti a non osservare il comandamento di non uccidere.
La guerra mise a contatto i soldati lamesi con commilitoni e ambienti culturali diversi di cui era impossibile non accogliere alcuni tratti. A tal proposito Giuseppina Cinque ha scritto che un reduce durante la prima guerra mondiale «aveva visto il mondo,…aveva capito che esisteva una maniera di vivere diversa e senz’altro migliore di quella a cui la gente del paese era abituata… che la sua vita non era quella del lavoro nei campi» [4].
Il paese, invece durante il periodo di guerra attraversò un periodo di profonda crisi a causa dell’assenza della forza lavoro maschile. Alle donne fu affidato il gravoso incarico di portare avanti le attività economiche famigliari, ivi comprese le aziende agricole e, quando le loro forze non permettevano di farlo, si moltiplicavano le difficoltà. Il successivo ritorno in paese dei reduci fu accompagnato da questi problemi a cui si aggiunsero: il reinserimento nella vita civile che per tutti non fu semplice, la delusione per non essere stati adeguatamente ricompensati per gli sforzi sostenuti in guerra e una profonda crisi economico-sociale che anche a Lama dei Peligni portò a un vertiginoso aumento dei prezzi dei generi di prima necessità.
I partiti politici e le associazioni civili e religiose
Le particolari condizioni economiche, sociali e politiche che si vennero a creare a Lama dei Peligni tra il 1919 e il 1922 crearono i presupposti per la fondazione di associazioni e organizzazioni socio-politiche che nel loro complesso riunivano le persone con comuni interessi e finalità, miravano a proporre soluzioni concrete ai problemi che assillavano la popolazione dell’epoca e a orientare il malcontento e la protesta sociale chi in una direzione e chi in un’altra.
L’associazionismo finalizzato a riunire soggetti con interessi comuni, nel luogo è una pratica sociale che ha antiche origini. Infatti, la sua più vecchia forma attualmente conosciuta è quella confraternale che risale al XVI secolo, più precisamente al 1535 quando nella chiesa parrocchiale di San Nicola fu fondata la Confraternita del Santissimo Sacramento [5].
Nel XVII e nel XVIII secolo lo spirito associativo continuò a manifestarsi con la fondazione di altre confraternite. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del Primo conflitto mondiale nel paese si osservò un’inversione di tendenza poiché la fondazione delle confraternite laico-religiose fu sostituita dalla creazione di nuove associazioni che perseguivano finalità diverse: 1) una Mutuo Soccorso d’iniziale ispirazione mazziniana fondata nel 1891 con compiti assistenziali e previdenziali per i propri iscritti; 2) un comitato parrocchiale d’ispirazione cattolica che fu fondato nel 1898 e perseguiva esclusive finalità religiose; 3) una Società d’Alpeggio tra i proprietari di bestiame fondata nel 1911 a fini assicurativi; 4) una Lega di Contadini d’ispirazione socialista fondata nel 1914 che aveva il fine di lottare per eliminare o perlomeno ridurre i canoni enfiteutici che gravavano sui terreni. A queste associazioni sono da aggiungere quelle che sorsero tra il 1919 e il 1922.
Una di esse fu la Camera del Lavoro d’ispirazione socialista che fu fondata nel 1919 da una ventina di persone tra cui alcuni emigranti ritornati a vivere in paese, lavoratori ed ex combattenti. Tra i soci fondatori c’era Luigi D’Andrea, localmente conosciuto come Luigi de Garebalde, un noto attivista politico che si avvicinò ai principi del socialismo durante il suo periodo d’emigrazione, durante il fascismo restò fedele ai suoi ideali e fu oggetto di persecuzioni politiche [6]. L’associazione trovò le sue radici nelle precedenti organizzazioni contadine e operaie fondate a Lama. La sua principale finalità era di patrocinare gli interessi dei lavoratori mediante: 1) l’arbitrato sui prezzi dei generi di prima necessità e sui canoni enfiteutici; 2) l’offerta di consulenza legale, medica e sui problemi di collocamento. Il 18 luglio 1920 fu organizzato il primo congresso della Camera del Lavoro lamese e il 21 novembre dello stesso anno durante una riunione del consiglio direttivo Luigi D’Andrea relazionò toccando i problemi dell’emigrazione, i danni provocati dalla guerra e le mancate promesse del governo.
Nel 1919, a cura di Francesco Verlengia, ex capitano di fanteria, insieme ad altri reduci fondò a Lama dei Peligni l’Associazione dei Combattenti allo scopo di far riconoscere i diritti dei reduci e delle famiglie dei caduti durante il Primo conflitto mondiale. Essa insieme con altre associazioni della stessa categoria formò un partito che si presentò a quasi tutte le competizioni elettorali che in Abruzzo si tennero sino al 1924. Gli iscritti all’associazione ebbero a disposizione una propria sede societaria che fu utilizzata anche come luogo d’incontri e conferenze politiche.
In data 11 dicembre del 1919 a Lama dei Peligni si costituì una Società Anonima Cooperativa che assunse il nome di “Unione Cooperativa di Consumo”. L’associazione fu fondata allo scopo di combattere l’inflazione acquistando generi alimentari a prezzi migliori di quelli di mercato per poi rivenderli ai propri soci a prezzo minimo. In questo modo si tentò di evitare altri possibili moti e proteste popolari. La società doveva avere una durata trentennale e per formare il proprio capitale sociale e finanziarsi emise azioni dal costo di L. 25. Chi le acquistava diventava un socio della stessa e acquisiva il diritto di comprare all’ingrosso i beni alimentari messi in vendita [7].
Contro la diffusione delle nuove ideologie e associazioni laiche, la Chiesa lamese non rimase immobile e a sua volta propose proprie forme associative con cui rilanciare il messaggio evangelico e fornire delle risposte in chiave cristiana ai problemi dell’epoca. Un primo esempio di questa nuova vitalità della Chiesa lamese lo fornisce la fondazione del Gruppo dell’Unione Popolare che avvenne nel 1920 per opera del parroco di San Nicola don Silvio Sacchetti e nel suo primo anno di vita contò trenta iscritti. Nel suo statuto si legge che l’Unione Popolare aveva per finalità la difesa e l’attuazione dell’ordine sociale e della civiltà cristiana secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli indirizzi della Santa Sede.
L’Unione Popolare in Italia fu fondata per la prima volta nel 1905 e dunque a Lama dei Peligni arrivò dopo quindici anni di vita. Probabilmente don Silvio si spinse a fondarla per creare le premesse per l’apertura di una sezione del Partito Popolare che nel capoluogo provinciale si costituì del 1919. In base ad alcune testimonianze verbali raccolte dallo scrivente diversi anni fa tra le persone anziane del luogo, sembra che don Silvio Sacchetti si preoccupò realmente di svolgere un’azione propagandistica a favore del Partito Popolare tra i ferventi cattolici lamesi. Inoltre dalle memorie orali raccolte sembra che i suoi simpatizzanti non avendo una propria sezione e sede si riunivano di volta in volta nell’abitazione di qualcuno di loro per discutere i problemi politici del tempo e le questioni di partito.
Dalla relazione della visita pastorale risulta che nel 1920 don Silvio Sacchetti allo scopo di favorire l’associazionismo religioso e la partecipazione alle pratiche di culto fondò a Lama la Guardia d’Onore al Sacro Cuore di Gesù e l’Aggregazione del SS.mo Sacramento che all’epoca contarono rispettivamente 200 e 300 iscritti. La loro base sociale era formata in prevalenza da elementi di sesso femminile e da pochi altri di sesso maschile.
Nel 1921 don Silvio fondò anche L’ Unione Cattolica Femminile che inizialmente annoverò trentuno iscritte. L’associazionismo religioso favorito da don Silvio Sacchetti offriva un’alternativa cattolico-sociale alle associazioni laico-socialiste esistenti a Lama e nello stesso tempo fu anche uno dei mezzi con cui il parroco tentò di mantenere vivo il sentimento religioso. Il suo impegno pastorale si manifestò attraverso l’impegno politico con cui cercò di contrastare e ridurre l’influenza laica liberale e socialista tra la popolazione.
Le nuove associazioni d’ispirazione cattolica contribuirono a diffondere nel luogo una nuova immagine culturale di Dio che era in armonia con la dottrina sociale della Chiesa e lo spirito dei tempi. Essa sinteticamente può essere espressa dal seguente detto locale “Aiutete cà Ddiie t’aiute” (Aiutati che Dio ti aiuta) che spinge a darsi da fare senza sperare solo nell’aiuto della Provvidenza.
Alle nuove associazioni che sorgevano, bisogna aggiungere una che stava raggiungendo la fine della propria esistenza. Infatti, l’immediato primo dopoguerra provocò la decadenza dell’antica Confraternita di Gesù e Maria, fondata nel XVIII secolo nella chiesa di San Rocco Dopo la sua chiusura la parrocchia accentuò il proprio carattere di principale fonte d’animazione della vita religiosa.
L’insieme dei fatti fin qui riportati dimostra che tra il 1919 e il 1922 a Lama dei Peligni esisteva uno scenario che comprendeva diverse esperienze associative caratterizzate ognuna dalla diffusione di proprie pratiche sociali. È frutto della rilevanza locale di fatti di ampia portata nazionale e della nuova ventata culturale provocata dal ritorno dei reduci e dei lavoratori emigrati. In questo senso la fondazione della Camera del Lavoro, delle associazioni operaie, gli incontri privati tra i simpatizzanti del Partito Popolare, etc. documenta che, anche a Lama dei Peligni, una parte della popolazione aveva capito che per aspirare a una maggiore promozione sociale e al riconoscimento dei propri diritti era necessario impegnarsi nella lotta politica e sindacale.
Le proteste popolari del 1919 contro l’aumento dei prezzi e del 1920 contro il parroco
È noto che durante la stagione estiva del 1919 si generò in tutta Italia una fase di forte effervescenza sociale che portò a forme organizzate di protesta contro il carovita. Anche a Lama dei Peligni, nel mese di luglio del 1919, una parte della popolazione costituita in gran parte da contadini, tenendo conto delle notizie che giungevano da altri Comuni, iniziò la sua attività di protesta per chiedere la riduzione dei prezzi dei generi di prima necessità. Le autorità comunali dell’epoca, in seguito anche alle istruzioni ricevute dal viceprefetto di Lanciano, istituirono delle Commissioni col compito di porre dei calmieri all’aumento dei prezzi. Le decisioni prese non accontentarono i manifestanti che non vollero sottostare ai calmieri proposti e pretesero ulteriori ribassi.
Il 17 luglio 1919 le dimostrazioni aumentarono d’intensità e la sera, secondo un rapporto inviato al Ministero degli Interni, una folla di oltre 500 persone, tra cui alcuni individui armati, si diresse verso un negozio per abbatterlo e saccheggiarlo. A seguito dell’intervento dei carabinieri chiamati per riportare la calma, dalla folla partirono due colpi di arma da fuoco che ferirono un milite alla mano, mentre un altro rispose con un colpo di moschetto in aria. Successivamente da Lanciano arrivarono altri carabinieri che procedettero all’arresto di nove persone e placarono la folla [8]. Insieme ai carabinieri giunse anche un funzionario della Prefettura che convocò una Commissione Annonaria col compito di fissare un altro calmiere dei prezzi, in seguito approvato dalla maggioranza dei manifestanti. Tra le persone che parteciparono alla sommossa e furono arrestate c’era anche il noto esponente socialista Luigi D’Andrea [9].
Secondo il racconto di Tancredi Madonna durante la protesta popolare un uomo sconosciuto con al collo un fazzoletto rosso si fece largo e arringò la folla dicendo:
«”È ora di finirla … anche in questo paese c’è chi ha tutto e chi ha niente… avanti muovetevi. Tutta l’Italia si sta sollevando… è il popolo che comanda. Siete voi i padroni. Voi che lavorate”. A queste parole si aggiunsero quelle di una donna infuriata che disse: “Vigliacchi! Muovetevi! Siamo noi i padroni! Noi lavoriamo! Noi produciamo! Al municipio… Svaligiamo i Negozi … Le case dei Ricchi! È tutta roba nostra”» [10].
Dopo qualche giorno secondo Tancredi Madonna giunsero in paese quattro camion di fascisti che si suddivisero in piccoli gruppi, entrarono nelle abitazioni di alcuni rivoltosi, li manganellarono e li costrinsero a bere dei bicchieri colmi di olio di ricino [11].
Il 13 aprile 1920 a Lama dei Peligni furono organizzate nuove manifestazioni popolari di protesta, in questo caso indirizzate contro il parroco don Silvio Sacchetti accusato di avere citato in giudizio alcune famiglie di contadini che da vari anni non pagavano i canoni enfiteutici sui beni della parrocchia. In questo caso la protesta popolare fu organizzata e guidata dalla Lega dei Contadini al fine di indurre il parroco ad allontanarsi da Lama [12]. Le manifestazioni del 1920 erano rivolte anche contro l’amministrazione comunale e la cooperativa di consumo che non riuscivano a soddisfare i bisogni della gente. A causa di ciò, molto probabilmente, i soci della Cooperativa il 3 aprile 1921 decisero l’autoscioglimento con 57 voti favorevoli, 3 contrari e 10 astenuti.
Dopo le manifestazioni diverse famiglie di contadini con il contributo delle rimesse dei parenti emigrati riuscirono a riscattare le antiche rendite della parrocchia. Gli affrancamenti dai canoni continuarono anche negli anni successi allentando le tensioni con il parroco.
Le proteste popolari contro carovita e il parroco, al di là delle valutazioni politiche, dimostrano che nell’ambito in esame la propaganda socialista e le esperienze dell’emigrazione e della guerra avevano contribuito a far maturare nella popolazione nuove ideologie con annessi nuovi atteggiamenti e modelli di comportamento con cui porsi di fronte alle pubbliche autorità. Questi nuovi modelli ideologico-comportamentali certificano che la rassegnazione, la remissività e l’obbedienza alle autorità, concetti da sempre predicati dalla Chiesa, non trovavano rispondenza da una parte della popolazione che aveva maturato la consapevolezza di poter essere protagonista del proprio destino senza subirlo passivamente.
La vita parrocchiale e religiosa della popolazione locale
A Lama dei Peligni i tragici avvenimenti della Prima guerra mondiale, l’emigrazione e la diffusione delle nuove ideologie laiche contribuirono dunque a modificare gli atteggiamenti nei confronti della Chiesa e le forme espressive del sentimento religioso, come dimostrano i fatti che seguono.
Alle sollecitazioni provenienti dalla realtà sociale dell’epoca in esame il parroco don Silvio Sacchetti rispose proponendo un nuovo impegno pastorale di cui una sua parte consistette nell’organizzazione di nuove associazioni religiose. Nella sua azione fu coadiuvato dagli altri religiosi presenti a Lama: don Candido Mancini, don Alessandro di Lallo, tre frati francescani del convento di Santa Maria della Misericordia e quattro suore delle Figlie di Nostra Signora di Misericordia di Savona che dirigevano l’asilo infantile. Di conseguenza una popolazione ecclesiastica di dieci unità doveva soddisfare tutte le impellenze pastorali poste da una comunità parrocchiale composta da circa 4000 fedeli.
Le suore arrivarono a Lama nel 1912, l’anno in cui fu ultimata la costruzione di un asilo infantile. Esse oltre a gestire l’asilo con tutte le iniziative pedagogiche rivolte ai suoi frequentatori, durante i giorni festivi collaboravano con il parroco nell’insegnamento catechistico. Dalla relazione della visita pastorale si apprende che nel 1920 don Silvio Sacchetti suddivise l’anno liturgico in modo da favorire in ogni mese una sua frazione a qualche particolare devozione: il mese di maggio lo dedicò alla Madonna, il mese di giugno al Sacro Cuore, il mese di ottobre alla Madonna del Rosario, alla novena dello Spirito Santo e alla novena interna dell’Immacolata e via dicendo. Nello stesso anno durante le pratiche devozionali del triduo delle 40 ore, delle quattro tempore e delle chiusure di maggio e giugno, il parroco allo scopo di alimentare la partecipazione alle attività di culto fece venire in paese un confessore straordinario.
Negli anni compresi tra il 1918 e il 1922, le autorità diocesane sollecitarono il parroco alla raccolta di fondi in favore dei danneggiati di guerra di alcune nazioni europee tra cui la Polonia e la Russia. Ma tali iniziative non furono adeguatamente accolte dai fedeli che contribuirono con cifre irrisorie. Infatti, nel 1918 si raccolsero solo 1,5 Lire per i danneggiati della guerra in Polonia, 12 Lire nel 1921 per la nazione russa e 23,95 lire nel 1922 per la stessa finalità. Nello stesso periodo il parroco organizzò la raccolta di altri fondi per finanziare le Missioni Estere, l’Opera per l’Infanzia, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Opera di Propaganda Fide ottenendo anche in questi casi cifre molto irrisorie.
Il 21 marzo 1920, don Silvio Sacchetti partecipò insieme al clero diocesano e agli esponenti delle organizzazioni cattoliche provinciali alle celebrazioni religiose che accompagnarono l’ingresso a Chieti del nuovo arcivescovo Mons. Nicola Monterisi. Nell’occasione alcuni militanti socialisti, radicali e di altre forze anticlericali organizzarono una contromanifestazione ostile al nuovo presule.
Altre notizie utili ai fini del presente saggio si ricavano dalla relazione della visita pastorale che nel 1920 fu organizzata dall’arcivescovo Nicola Monterisi. In questa relazione è scritto che il parroco fece presente che la vita religiosa nel paese era peggiorata poiché avevano attecchito le idee socialiste tra la popolazione, la gente era costretta a lavorare nei giorni festivi e si cominciavano a osservare i primi scioperi in un’industria manifatturiera in cui erano occupati vari lavoratori lamesi [13]. Il parroco inoltre aggiunse che la massoneria locale ostacolava le vocazioni religiose. Egli si dette da fare per far entrare nel seminario di Chieti un giovane con una borsa di studio concessa da una banca. Ma, a suo avviso, a causa dell’interferenza dei massoni lamesi, la borsa di studio fu concessa a condizione che il giovane studiasse nelle scuole tecniche e non al seminario.
Il forte sentimento laico esistente all’epoca fu confermato anche da un episodio che coinvolse le suore. Esse tentarono di indirizzare cinque giovani ragazze alla vita monastica, ma ciò creò l’ira dei cosiddetti massoni che si opposero vanificando il loro tentativo.
Per quanto riguarda in genere la partecipazione alla vita religiosa, dalla relazione della visita pastorale risulta che nel 1920 il precetto pasquale fu osservato da circa 2/3 dei fedeli, gli uomini in genere frequentavano poco la messa domenicale, durante quali circa cinquanta persone ricevevano regolarmente l’Eucarestia mentre venti donne la ricevevano giornalmente; tutte le persone erano battezzate, in genere i fidanzati rispettavano la morale cristiana, solo il 5% dei giovani si sposava avendo avuto rapporti prematrimoniali, 5-6 famiglie erano sposate solo civilmente e le vigilie e i digiuni previsti dalla Chiesa non erano pressoché osservati.
Nel 1921 dovendo provvedersi alla manutenzione della chiesa parrocchiale di San Nicola fu fondato un comitato apposito e un suo membro, Francesco Verlengia, per trovare i fondi necessari per i lavori decise di scrivere una lettera agli emigranti locali residenti negli Stati Uniti d’America sperando nei loro contributi finanziari [14].
L’insieme dei fatti riportati e, in particolare che tutta la popolazione fosse battezzata e tranne pochissimi casi, la celebrazione dei matrimoni si faceva in chiesa, ribadisce essenzialmente due cose: 1) esisteva una morale dominante di matrice cristiano-cattolica che raccoglieva il consenso generalizzato e in alcuni suoi riti e fatti esteriori era pienamente accettata e osservata; 2) la popolazione locale avvertiva l’esigenza di celebrare alcuni importanti momenti e fasi di passaggio della propria vita con riti sacri attinti alle proprie tradizioni religiose.
Le feste religiose
Un altro interessante aspetto della vita sociale locale è rappresentato dalle feste religiose. Nell’epoca considerata la comunità lamese aveva adottato un proprio e originale calendario festivo annuale che attribuiva importanti valori comunitari alle seguenti ricorrenze civili e religiose: Capodanno, l’Epifania, San Sebastiano, Sant’Antonio Abate, la Candelora, il Carnevale, San Giuseppe, la Settimana Santa, Le Rogazioni, Il Santo Bambino, l’Ascensione, San Domenico di Cocullo, il Corpus Domini, Sant’Antonio da Padova, San Giovanni Battista, San Pietro, La Madonna del Carmine, Sant’Anna, l’Assunta, San Rocco, la Madonna di Corpi Santi, San Cesidio, San Michele Arcangelo, San Francesco Saverio, Ognissanti, la Festa dei Morti, San Martino, San Nicola, Santa Lucia e il periodo natalizio. Queste festività nel loro complesso erano caratterizzate da un numero variabile dei seguenti caratteri: inizio-fine di un ciclo, eventi considerati magici, proverbi, leggende, interruzione del lavoro quotidiano, processioni, tridui, novene, messe religiose, giochi popolari, accensioni di luci e luminarie, fuochi d’artificio, esibizioni musicali, preparazione di piatti tipici, riti propiziatori, divinatori e purificatori, incontri e pasti comuni con amici e parenti.
Alcune tra le feste religiose citate riproponevano i rapporti di subordinazione sociale poiché le loro scadenze calendariali erano momenti in cui i braccianti e contadini avevano l’obbligo informale di fare donativi ai notabili a cui erano legati da particolari vincoli economici e di altro tipo. Una di esse era il Natale e in quest’occasione a Lama dei Peligni c’era la consuetudine di preparare un cesto di vimini coperto da una tovaglia che nel gergo locale si chiamava lu stare e poteva contenere dolci locali, salumi, pollo, tacchino e frutta secca. Il cesto si donava ad amici, parenti e notabili con cui si avevano rapporti sociali. Tale usanza è persistita sino ad alcuni decenni fa.
Negli anni in considerazione era in vigore una delibera del Sindaco emanata nel 1908 che ordinava di affidare l’organizzazione delle feste religiose a una commissione formata dal parroco e sedici notabili del luogo. In questo modo i notabili stessi condizionavano anche la vita religiosa, avevano altri motivi per mettersi in vista e rinforzavano il prestigio comunitario di cui godevano. Probabilmente tra i membri della commissione e il parroco non correvano buoni rapporti poiché nella relazione della visita pastorale don Silvio Sacchetti usò nei loro confronti espressioni molto pesanti definendoli “Mestieranti e speculatori che fanno queste cose a scopo di lucro”.
In continuità con il passato, negli anni in considerazione continuarono a organizzarsi le feste di San Domenico di Cocullo nel mese di giugno e del Santo Bambino a maggio e settembre. Esse non furono le uniche. Infatti dalla relazione della visita pastorale risulta che il 27 e 28 luglio 1920 a Lama dei Peligni fu promossa anche una festa in onore di Sant’Antonio da Padova la cui statua si conservava nella chiesa annessa a un monastero appartenente ai francescani [15]. È interessante notare che la festa del santo anziché celebrarla il 13 giugno fu spostata a fine luglio per soddisfare esigenze locali attualmente sconosciute. In quell’occasione nella chiesa del monastero lamese fu eseguito un programma di canti e musica sacra dai frati cappuccini del convento di Lanciano. Il 18 luglio fu organizzata la processione a cui partecipò una banda musicale e cento ragazzi che intonarono canti religiosi. La sera tutte le vie principali del paese furono illuminate, un globo di luce elettrica fu posto sul campanile del monastero e il complesso bandistico si esibì nella piazza principale.
A Lama dei Peligni nel 1920 per la preparazione di tutte le feste religiose si spesero circa 20 mila Lire (pari a oltre 22 mila euro odierni), una cifra enorme considerati i mezzi e le risorse economiche della popolazione. Una nuova festività che nel luogo è documentata per la prima volta nel 1921 è denominata “La festa dei tre colori”, si svolse dal 29 al 31 agosto e ogni giorno onorava un santo diverso [16]. Fu così chiamata poiché le donne che accompagnavano le processioni, ogni giorno utilizzavano abiti di colori diversi.
La festa del 29 agosto fu definita “Azzurra e di serena allegrezza”, dedicata alla Madonna di Corpi Santi e in questo caso le donne in processione usavano abiti di quel colore [17]. La festa del 30 agosto fu definita “Bianca di tranquillità e di pace”, dedicata alla Madonna del Carmine e le devote indossavano gonne bianche. La festa del 31 agosto infine fu definita “rossa, di gaudio e letizia”, dedicata a San Cesidio Martire e le donne in questo caso si vestivano di rosso [18]. A queste tre giornate consecutive si aggiunse un altro giorno di festa organizzato l’otto settembre che fu definito “Ottavario della Madonna di Corpisanti”.
Il programma festivo delle tre giornate e dell’Ottavario dell’8 settembre era articolato nel modo seguente:
«1) 29 AGOSTO FESTA DELLA MADONNA DI CORPISANTI
a) ore 5.30: apertura della festa con incendio di fuochi pirotecnici sul campanile, suono di campane e sparo di bombe. La musica di Gessopalena farà un breve giro per il paese;
b) ore 7.30: breve concerto in piazza Umberto I. Questua e ricevimento dell’albero che viene dalla campagna;
c) ore 9: vendita all’incanto dell’albero e breve concerto in piazza del Mercato;
d) ore 10.30: Messa solenne in chiesa con orchestra corale della Cattedrale di San Giustino di Chieti e panegirico del prof. don Luigi Giabico maestro del Collegio di Teologia di Napoli;
e) ore 12.00: processione della Madonna di Corpi Santi e sparo di mortaretti lungo la via della fontana;
f) ore 16.30: vendita all’incanto dei piatti, nel mentre la banda farà un giro per il paese;
g) ore 18: vespri in chiesa [19];
h) ore 19: lancio dell’aeroplano e concerto musicale in piazza del Mercato; (l’aeroplano avrà l’innalzamento ad olio ed il motore per l’elica a polvere pirica: ditta Morelli in Lama);
f) ore 21: nel mentre la banda farà un breve giro per le principali vie del paese, il suono delle campane e tre colpi di mortaio giustificheranno la chiusura della giornata azzurra.
2) FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE 30 AGOSTO
a) ore 21.30: apertura della giornata bianca con breve suono a festa delle campane e tre bombe bianche;
b) ore 2.30 spettacolo cinematografico con la grandiosa proiezione in piazza Umberto I;
c) ore 6.30: giro della banda di Gessopalena per il paese;
d) ore 9: beve concerto della banda di Gessopalena in piazza Umberto I;
e) ore 10.30: messa solenne in chiesa con orchestra corale e panegirico;
f) ore 12: Processione Bianca della Madonna del Carmine con sparo di mortaretti ed accompagnamento delle bande di Gessopalena e Pretoro;
g) ore 18.30: vespri in chiesa;
h) ore 19: concerti musicali in piazza Umberto I delle due bande di Pretoro e Gessopalena;
i) chiusura della giornata bianca con suono di campane.
3) FESTA DI SAN CESIDIO 31 AGOSTO
a) ore 6.30: lo sparo di tre bombe oscure ammoniranno con il suono delle campane l’apertura della giornata rossa e le due bande faranno un breve giro per le vie del paese;
b) ore 8: giro delle bande per il paese;
c) ore 9: breve concerto in piazza Umberto I della banda di Pretoro ed in piazza del Mercato della banda di Gessopalena;
d) ore 10.30: messa solenne con orchestra corale e panegirico;
e) ore 12: grande processione azzurra, bianca e rossa con sparo di mortaretti;
f) ore 17: giro per il paese della banda di Gessopalena;
g) ore 17.30: corsa velocipedistica di velocità e resistenza. La partenza avverrà dalla Borgata di Corpi Santi ed il traguardo sarà al larghetto presso l’Asilo. Al I classificato L. 50. Al II
classificato una medaglia e L. 15. Premio di consolazione all’ultimo arrivato con il distacco massimo di un quarto d’ora: una bottiglia di marsala;
h) ore 19: vespro in chiesa;
i) ore 19.30: concerto musicale in piazza Umberto I della banda di Gessopalena ed innalzamento di un globo simbolico;
l) ore 23: incendio di fuochi pirotecnici in piazza del Mercato;
m) ore 24: chiusura della giornata di musica per il paese, suono di campane a distesa ed infine tre colpi oscuri fortissimi.
Il paese sarà artisticamente illuminato dall’Impresa Verlengia.
Le Deputazioni delle feste si raccomandano vivamente a tutti i cittadini di munirsi di distintivi colorati a seconda dei colori delle giornate ed in particolare alle donne che seguono le
processioni d’adornarsi come meglio potranno dei tre colori delle processioni stesse.
4) 8 SETTEMBRE: OTTAVARIO DELLA MADONNA NELLA BORGATA DI CORPISANTI
a) ore 6.30: apertura della festa nella borgata;
b) ore 7.30: messa a Lama e ritorno della Madonna col solito rituale alla borgata di Corpi Santi ove sarà accolta da spari di mortai;
c) ore 9.30: giro della banda per il paese;
d) ore 11: messa cantata nella chiesa rurale di Corpi Santi con breve processione e sparo di mortaretti;
e) ore 15: vendita dei piatti ed estrazione del ballio;
f) ore 18.30: vespri nella chiesetta di Corpi Santi;
g) ore 19.30: concerto musicale;
h) chiusura della festa e sparo di tre bombe» [20].
All’epoca la commissione incaricata della organizzazione della festa raccolse 905 lire in contanti che corrispondono a circa 860 euro attuali. Tale cifra fu donata da 113 soggetti. Il resto della popolazione, considerata la generale e diffusa pietà popolare, oltre che il limitato benessere economico, contribuì alla realizzazione della festa con offerte in natura.
Le feste religiose celebrate a Lama dei Peligni, nel loro complesso riaffermavano un comune credo religioso e poiché erano caratterizzate da un’ampia partecipazione popolare, una certa originalità dei santi festeggiati e delle pratiche festive messe in atto, si possono considerare elementi con un’importante e forte componente identitaria.
Nonostante l’importante valore religioso e comunitario attribuito alle feste religiose dalla popolazione dei Comuni della Provincia di Chieti, esse nel loro complesso non godevano di una completa approvazione da parte delle autorità diocesane. Infatti, a tal proposito nel 1921 l’arcivescovo di Chieti Mons. Nicola Monterisi scrisse:
«Nella nostra diocesi di Chieti e Vasto si spendono certamente oltre un milione all’anno in feste esterne numerose, con bande, luminarie e fuochi d’artificio. Se dicessimo di darci l’un per cento per aiutare la Chiesa ed i poveri saremmo messi alla gogna. Eppure sarebbe risolto un problema importante della nostra società cristiana» [21].
Conclusioni
L’insieme dei fatti riportati dimostra che nel periodo considerato Lama dei Peligni è caratterizzata da una grande vitalità culturale che portò i suoi membri a fondare associazioni di diversa ispirazione ideologica, a organizzare feste e a tentare di rinnovare la pratica religiosa. Tutto questo durò poco poiché nel 1922 con l’avvento del fascismo molte iniziative culturali furono represse e le altre che continuarono a sussistere dovevano avere una sola finalità: contribuire a rinforzare il regime approvando le sue scelte politiche.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
Note
[1] Pezzetta A., Casa rurale, ambiente, agricoltura e società a Lama dei Peligni dal 1700 ai giorni nostri, Tip. Savorgnan, Monfalcone (Go),1994: 30.
[2] ivi: 39.
[3] Madonna T., Lungo le nostre valli, Tipografia Ianieri, Casoli (Ch), 1993: 48.
[4] Cinque G. E., Cent’anni sotto la Majella, Casa Editrice Rocco Carabba, Lanciano, 2016: 79.
[5] Pezzetta A., La Confraternita del Santissimo Sacramento a Lama dei Peligni, Aequa n. 80, 2020: 51.
[6] Iovito A., 100 anni delle Camere del Lavoro nella Provincia di Chieti, SPI-CGIL, op. cit.: 7. www.spicgilabruzzomolise.it.
[7] Archivio di Stato di Chieti, Foglio degli annunci legali della Provincia di Chieti, anno 1920 n. 79 ed anno 1921 n. 82.
[8] Archivio Centrale dello Stato di Roma, Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Categorie annuali, 1919, busta 96.
[9] Iovito A., 100 anni delle Camere del Lavoro nella Provincia di Chieti, SPI-CGIL, 2019: 8. www.spicgilabruzzomolise.it.
[10] Madonna T., Lungo le nostre valli, op.cit.: 49.
[11] ivi: 51-52.
[12] Pezzetta A., Chiesa, parrocchia e parroci di San Nicola a Lama dei Peligni: aspetti artistico-architettonici, storici e socio-antropologici, Rassegna storica dei Comuni, 2020, n. 218-223: 130. La Lega dei Contadini è un’associazione pubblica che a Lama dei Peligni fu fondata nel 1914.
[13] Archivio della Curia Arcivescovile di Chieti, Relazione della visita pastorale del 1920, busta n. 485.
[14] Francesco Verlengia (1890-1967) è un noto personaggio originario di Lama dei Peligni che nel 1938 divenne direttore della Biblioteca Provinciale di Chieti, si occupò e scrisse articoli di tradizioni popolari, storia regionale e dell’arte. Nel 1948 fondò la Rivista Abruzzese che diresse sino al 1963.
[15] Le prime notizie sul culto patavino a Lama dei Peligni risalgono al XVI secolo. Infatti, nella relazione della visita pastorale effettuata a Lama nel 1578 è scritto che nella chiesa parrocchiale di San Nicola era conservata una statua di Sant’Antonio da Padova.
[16] Pezzetta A., La devozione mariana a Lama dei Peligni, L’Universo n.3, Firenze 2015: 453.
[17] Si ricorda che la Madonna di Corpisanti è una particolare denominazione locale della Madre di Dio che trae origine da un’omonima frazione di Lama dei Peligni in cui è eretta la chiesa e si conserva la statua.
[18] San Cesidio era un sacerdote che fu martirizzato a Trasacco (Aq) durante una persecuzione ordinata dall’imperatore Massimino tra gli anni 231 e 235. Il suo culto a Lama dei Peligni con molta probabilità si diffuse durante il XIX secolo, quando iniziò a essere festeggiato.
[19] I “piatti” che nel linguaggio attuale del luogo sono detti spase, sono costituiti da un grande vassoio con un insieme di pietanze preparate da una o più famiglie. Di solito contengono: coniglio e/o pollo ripieno o ai ferri, contorni vari, frutta di stagione, una bottiglia di vino e altro. Essi erano raccolti dai membri della commissione feste, venduti all’asta e il ricavato si utilizzava per finanziare la festa in programma.
[20] Pezzetta A., La devozione mariana a Lama dei Peligni, op. cit.: 453-455.
[21] Monterisi N., Trent’anni di episcopato nel Mezzogiorno (1913-1944), Ed. A.V.E., Roma, 1981: 145.
Riferimenti bibliografici
Mair, L., Introduzione all’antropologia sociale, Feltrinelli, Milano, 1970.
Paziente F., La nascita delle Camere del Lavoro.1890-1922, in 80esimo anniversario (1919.1999) Costituzione delle Camere del Lavoro nella Provincia di Chieti, Ires Abruzzo Edizioni, Pescara, 2002: 32-45.
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Amelio Pezzetta, laureato in filosofia all’Università di Trieste è insegnante di Scuola Media in quiescenza. I suoi interessi principali sono la storia locale e le tradizioni popolari dei Comuni della Valle dell’Aventino (Prov. di Chieti, Abruzzo). Ha collaborato e collabora tuttora con importanti riviste del settore tra cui: Aequa, Dada, L’Universo, Palaver, Rivista di Etnografia, Rivista Abruzzese e Valle del Sagittario.
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