di Antonino Cangemi
‹‹Ha un cilindro per cappello/ due diamanti per gemelli/ un bastone di cristallo/ la gardenia nell’occhiello/ e sul candido gilet/ un papillon,/ un papillon di seta blu››, così Domenico Modugno pennella L’uomo in frack che ‹‹con incedere elegante››, nel cuore della notte, va solo e ‹‹randagio›› lungo la città appisolata per dire ‹‹ addio al mondo/ ai ricordi del passato/ ad un sogno mai sognato/ ad un attimo d’amore/ che mai più/ ritornerà…/›› [1].
Quell’uomo in frack, come Modugno svelerà, è Raimondo Lanza di Trabia, uno dei più eccentrici dandy dell’aristocrazia siciliana, viveur di primo piano nella dolce vita italiana degli anni ’40 e ’50 del secolo scorso.
La canzone – tra le più toccanti e note del repertorio del cantautore pugliese – uscì nel ’55, un anno dopo la clamorosa scomparsa del “Principino”. ‹‹Uomo di fascino assoluto che nella vita aveva avuto tutto, anche l’amore di una delle donne più belle ed eleganti dell’epoca, Olga Villi. Non riuscivo a capire perché quel nobile avesse scelto di uccidersi così, senza una spiegazione. La interpretai come il segno struggente della fine di un’epoca››, così Modugno spiegò le ragioni che lo indussero a scrivere Vecchio frack (L’Uomo in frack).
Tuttavia, senza togliere nulla a Domenico Modugno e alla sua ispiratissima canzone, probabilmente Raimondo Lanza di Trabia non indossò mai nella sua breve e irrequieta vita il frack. Su ciò Vincenzo Prestigiacomo, uno dei suoi biografi più attenti, non ha dubbi:
‹‹Questa storia del frac è di pura fantasia… Ho la certezza che Raimondo Lanza di Trabia non ne ha mai indossato uno. Era un vero anticonformista: si presentava ai ricevimenti di Ranieri di Monaco in tuta da pilota e alle nozze di Gianni Agnelli, dove tutti erano in tight, andò vestito in modo qualunque›› [2].
Non solo: nel testo di Modugno, con garbo e tocco lirico si allude alla volontaria rinuncia alla vita dell’Uomo in frack. Sul suicidio di Raimondo Lanza di Trabia all’epoca non si sollevò alcun dubbio, e ancor oggi resta un’ipotesi accreditata. Ma davvero quell’uomo dalle mille stridenti contraddizioni ma dall’apparente straripante vitalità, qual è stato Raimondo Lanza di Trabia, si tolse la vita? Le più recenti biografie [3] lo negano seminando misteri su misteri – che s’intrecciano anche con la mafia – sulle sue ultime ore.
‹‹Vita spericolata››, ‹‹esagerata››, ‹‹maleducata››, ‹‹ piena di guai››, per dirla con Vasco Rossi, quella di Raimondo Lanza di Trabia, ma anche fitta di enigmi. Alla fine, come agli inizi. Lo si apprende già sbirciando i suoi dati biografici e scoprendo il luogo di nascita: Arcellasco, un paesino della Lombardia. Cosa c’entra una piccola e anonima comunità comasca con un rampollo dell’aristocrazia siciliana? Ed ecco svelarsi il primo arcano. Vi è un amore clandestino dietro la nascita di Raimondo, registrato all’anagrafe col cognome Ginestra in omaggio a un feudo della famiglia Lanza [4].
Raimondo è figlio naturale di Giuseppe Lanza di Branciforte principe di Scordia e della sua amante, un’avvenente nobildonna veneta, Maddalena Papadopoli Aldobrandini, moglie del principe Gino Spada Potenziani (i due conviventi avrebbero poi avuto un altro figlio, Galvano). Se avesse dichiarato la maternità, l’adultera in quei tempi avrebbe rischiato la prigione; né il padre, peraltro impegnato nella guerra sul Carso, poteva, per la legge di allora, riconoscere Raimondo figlio naturale. Sicché Raimondo Ginestra risulta figlio di N.N.. Solo più tardi, nel 1926, sarà possibile per legge il riconoscimento da parte di Giuseppe Lanza di Branciforte e molto dopo, nel 1942, grazie anche alle intercessioni di donna Laura Florio con Mussolini – pur tanto inviso alla nobildonna siciliana –, vi sarà l’equiparazione nel nuovo codice civile dei figli legittimi e naturali.
Nato ad Arcellasco l’11 settembre del 1915 da quella relazione adulterina, Raimondo fu rapito dall’amante tutore della levatrice, che ne chiese il riscatto. Solo dopo la morte del figlio Giuseppe, avvenuta nel 1927, donna Giulia Florio decise di incontrare a villa Butera la “peccatrice” Madda e i suoi nipoti già adolescenti, sino ad allora disconosciuti; in quei frangenti si convenne la loro sorte: Galvano sarebbe andato a vivere con la madre a Vittorio Veneto e Raimondo con i nonni paterni a Palermo.
Pertanto, Raimondo visse gli anni della sua adolescenza con i nonni negli ambienti elitari e raffinati di villa Trabia, respirando nobiltà e nutrendosi dello spirito anticonformista e determinato di Giulia Florio. Si mostrò subito un ragazzo singolare, pieno di interessi, spavaldo, altero, amante degli scherzi più beffardi. Allo studio preferiva l’azione, l’avventura, l’esplorare il mondo che lo circondava. Per la sua altezzosità, manifestata sin da piccolo e che era consapevolezza del privilegio di far parte dell’aristocrazia, fu battezzato il “Principino”. Tra le sue passioni, il mare e la pesca del tonno, per la quale mostrò subito particolare attrazione. Si racconta che da giovane affrontò nelle acque del Mediterraneo uno squalo e lo uccise con un pugnale.
Presto Palermo per Raimondo si rivelò troppo piccola, claustrofobica: soffocava la sua smania di avventura. Più tardi dirà: ‹‹Il miglior medico di Palermo è l’Alitalia›› [5]. A vent’anni, Raimondo si trasferì a Roma, dove non fece fatica a entrare nel giro del bel mondo e dei notabili. Strinse un fraterno sodalizio con Galeazzo Ciano e con Edda Mussolini. Malgrado la salda amicizia col marito, a detta di qualche biografo il “Principino”, tombeur de femmes con pochi rivali, conobbe anche le grazie della figlia del duce.
Quando scoppiò la guerra civile di Spagna, Raimondo – legato a Ciano e fedele al fascismo – non mancò di offrire il proprio contributo al regime partecipando come agente segreto alla battaglia di Guadalajara. Verso la fine degli anni ’30, Raimondo conobbe Susanna Agnelli. Tra i due nacque una relazione che non fu solo d’amicizia. Nella sua biografia Vestivamo alla marinara [6], Susanna Agnelli così descrive l’esplosività del principe di Trabia: ‹‹Quando entrava in una stanza era come un fulmine. Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo. Gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente››.
Irruente, d’inesauribile energia, sprezzante di ogni pericolo, passionale e a modo suo romantico, in tal modo lo ritrae Susanna Agnelli:
‹‹Correva su per le scale e si fermava, in cima, ansimante; guidava la macchina come un pazzo; si sdraiava sul letto ai miei piedi e parlava senza interruzione, finché, d’improvviso, si alzava, mi baciava e scompariva››.
La relazione con Susanna Agnelli lo portò a conoscere Gianni Agnelli, con cui strinse una familiare amicizia fatta di complicità, affinità e passioni comuni (non ultima quella per il calcio), comportamenti eccentrici, “vizi” e “licenze”. In poco tempo Raimondo divenne uno dei protagonisti della ‹‹dolce vita›› romana: fu conteso dalle donne più belle, politici, uomini d’affari, intellettuali lo conobbero e rimasero stregati dal suo estro stupefacente. La ‹‹dolce vita›› venne però interrotta dalla seconda Guerra Mondiale. Raimondo vi partecipa ed è ufficiale dell’esercito italiano dal ’40 al ’43; dopo l’armistizio è aiutante di campo del generale Carboni e cura il collegamento con le Forze alleate sino al ’45.
La sua breve vita fu intensa quanto intrisa di contraddizioni. La coerenza non fu il forte del principe dandy siciliano. Convinto fascista, Raimondo fece da spia per il regime sia, come detto, nella guerra civile di Spagna, sia nel secondo conflitto mondiale; ma poi, conosciuto Antonello Trombadori, si convertì – da acrobate del trasformismo – alla causa antifascista e si adoperò come informatore dei partigiani [7].
Raimondo girò il mondo, anche come diplomatico, e conobbe i personaggi più noti della sua epoca: da Aristotele Onassis, a bordo dei cui yacht si concesse più di un viaggio, all’ultimo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, dal principe Ranieri di Monaco a Rita Hayworth, con cui ebbe un breve flirt; per non parlare dell’attore americano Errol Flynn, spavaldo e spaccone quasi quanto lui: si racconta che insieme passavano al setaccio le taverne di Palermo sgolandosi, sino all’ultima goccia, tutte le bottiglie di Regaleali. Nel giro delle frequentazioni di Raimondo anche gli intellettuali: il regista Luchino Visconti, col quale spesso si trovava a banchettare, gli scrittori Curzio Malaparte e Alberto Moravia, tra gli altri.
Tra le conquiste del principe, tantissime attrici: le due sorelle rivali nei set cinematografici, Olivia de Havilland, la dolce e coraggiosa Melania di Via col vento, e Joan Fontaine, protagonista (con Cary Grant) de Il sospetto di Hitchcock, Vivi Gioi, diva italiana del cinema dei telefoni bianchi, Hedy Lamarr, icona del fascino esotico, Joan Crawford, eletta dall’American film Institute una tra le dieci più grandi star della storia del cinema. Con la bellissima Olga Villi non fu solo un’avventura: i due si sposarono nel ’53 ed ebbero due figlie, Venturella e Raimonda (padrino di battesimo Gianni Agnelli).
Raimondo fu amico anche di Anna Magnani e quando, nel ’49, si consumò il tradimento sentimentale e artistico di Roberto Rossellini nei set di due film rivali girati contemporaneamente nelle Eolie (uno a Stromboli, l’altro a Vulcano), il “Principino” si divertì a fare scalo col suo motoscafo tra le due isole stuzzicando la gelosia che in quel momento accecava la talentuosa attrice romana. I due film che, ironia della sorte, vennero girati negli stessi giorni e a poche miglia di distanza furono Stromboli (terra di Dio) con la regia di Roberto Rossellini e con attrice protagonista Ingrid Bergman (di cui il cineasta si era innamorato dimenticando la Magnani) e Vulcano su cui Anna, cornuta e gabbata, era stata costretta a ripiegare [8].
Raimondo Lanza di Trabia amava stupire, le burle, gli eccessi. In ciò probabilmente si manifestava il suo rifugiarsi nella leggerezza della vita per occultarne i lati oscuri e drammatici di cui pure era consapevole. Molti sono gli aneddoti che si raccontano a proposito. Quando Galeazzo Ciano, divenuto ministro degli affari esteri, poco prima di partire per un incontro con il capo ungherese lo andò a trovare invitandolo per celia all’incontro (il treno per Budapest era in partenza tra un’ora), Raimondo, poco dopo, si fece trovare pronto alla stazione per fargli compagnia indossando pigiama e pantofole, e con quel look saltò sulla carrozza [9].
Si avvalse di Nuzio Nuvolari come maestro personale di scuola guida, lui che tra le tante passioni ebbe pure quella per l’automobilismo e che divenne direttore della Targa Florio, gara a cui peraltro partecipò più di una volta. Il principe Raimondo assunse la presidenza della squadra di calcio del Palermo per un paio di anni (26 gennaio 1951-30 giugno 1952), ma ne resse le sorti per un periodo più lungo [10]. Il suo interesse per il calcio cementò l’amicizia con Gianni Agnelli, storico presidente della Juventus, ma soprattutto lo rese noto come l’inventore del calciomercato. Prima di lui, la compravendita dei calciatori avveniva saltuariamente, senza che si seguissero regole stabili e particolari riti. Insieme a Gipo Viani, allora allenatore del Palermo, detto “lo sceriffo” per i modi determinati con cui trattava gli affari e il calcio, a Paolo Mazza, presidente della Spal, e al conte Rognoni, figura storica del calcio italiano, istituzionalizzò il calciomercato concentrando tutte le trattative alla fine del campionato ed eleggendo l’Excelsior Hotel Gallia di Milano suo tempio. Per lunghi decenni, nel mese di luglio quell’hotel diventò passerella di procuratori, allenatori, calciatori, giornalisti. Al calcio e al mercato dei calciatori dell’ Excelsior Hotel Gallia di Milano rimasero legati diversi episodi di cui Raimondo Lanza di Trabia fu protagonista.
Nel ’50 il principe ingaggiò dal Nancy, per il suo Palermo, il talentuoso e indisciplinato attaccante danese Bronèe: costo 40 milioni, una cifra allora. Ma acquistò anche l’argentino Enrique Martegani, a titolo personale: doveva palleggiare, oltre che nel prato della Favorita, nel suo giardino per allietare le serate con gli amici e, alla sua morte, il fuoriclasse passò in eredità alla moglie [11]. Al Gallia il principe Raimondo aveva la sua suite, e lì riceveva nudo i suoi interlocutori, a volte dentro la vasca da bagno, al massimo con una vestaglia. Luigi (detto Cina per via degli occhi leggermente a mandorla) Bonizzoni, quando firmò il suo contratto di allenatore del Palermo col bizzaro presidente che lo accolse del tutto nudo, non nascose il suo stupore, e il principe gli rispose: ‹‹Cosa vuole Bonizzoni? Che la riceva in frack forse?››.
Si racconta pure di un duello di scherma con il barone Arcangelo Alù. Costui, oggetto di ripetuti scherzi del principe, aveva osato candidarsi alla presidenza del suo Palermo e sfidarlo a scherma. Raimondo accettò la sfida e si allenò con l’amico Emilio Salafia, schermidore palermitano vincitore di due medaglie d’argento alle Olimpiadi. Il duello ebbe luogo, ma per fortuna del barone Alù venne presto interrotto: fosse proseguito, l’incauto duellante avrebbe perso la vita [12].
Solo agi, divertimenti, belle donne nell’esistenza di Raimondo Lanza di Trabia? Solo caviale e champagne, spregiudicatezze, facezie, effimere bislaccherie? No, non vi fu solo questo. Ogni vita, anche quella apparentemente più vacua o spensierata, porta con sé frustrazioni rimosse, amarezze inconfessate, travagli interiori nascosti. Ciò valse pure per il “Principino”, ossimoro vivente nelle sue insanabili antinomie: spregiudicato, ribelle, esuberante, ma anche tormentato, accigliato, incline alla depressione nel suo temperamento altalenante. Quanto alle ricchezze, gran parte furono polverizzate, oltre che dalla scarsa attitudine ad amministrarle e da un tenore di vita sopra le righe, dalla riforma agraria.
Il 29 novembre del ’54, Raimondo si trovava a Roma. Alloggiava all’hotel Eden di via Ludovisi in una camera attigua a quella del fratello Galvano. Si dice che, in preda a disturbi depressivi, quel giorno sia stato visitato da un neurologo che gli aveva praticato un’iniezione potentissima per risollevarne l’umore. Giunto in albergo, si era gettato nudo –come suo costume – sopra il letto, privo di forze. All’alba del 30 novembre, il corpo nudo del principe Raimondo di Trabia fu trovato sull’asfalto del marciapiede, privo di vita. Nel giro di pochi minuti accorsero sul luogo molti dei suoi amici, Galeazzo Ciano, Gianni Agnelli, Curzio Malaparte tra gli altri. La notte tra il 29 e il 30 novembre il principe, vittima dello sconforto più nero, si era gettato dalla finestra per porre fine, con un ennesimo coup de téatre, alla sua esistenza?
Che il principe Raimondo soffrisse di disturbi bipolari, alternando momenti di euforia, che moltiplicavano le sue risorse, a stati malinconici, pare non fosse un mistero. Che amasse i gesti teatrali ed estremi era altrettanto noto – e un suicidio accompagnato dall’ostentazione della nudità del proprio corpo, in lui consueta, rientrava nel copione del suo esibizionismo e del suo vivere senza paura di nulla, nemmeno della morte. Tuttavia, nel suo distacco dal palcoscenico della vita c’è qualcosa che non ritorna e da qualche anno i suoi biografi [13] lo hanno notato. Diversi sono i punti che fanno pensare a un suicidio solo sceneggiato, ma mai messo in atto. Innanzitutto, vi è una frase detta dal fratello Galvano poco prima di morire: ‹‹Quello di Raimondo non fu un suicidio››. Sul cadavere del principe non fu effettuata alcuna autopsia. Come mai? Della sua tragica morte non fu data notizia al neurologo che poco prima lo aveva visitato. Perché? Non si è mai chiarito da quale piano il principe si fosse gettato: dal quarto, dal terzo, dal primo? Come mai era stato scelto l’albergo Eden e non il Grand Hotel, dove Raimondo aveva una suite in cui regolarmente dimorava?
E ancora: la posizione del cadavere, con la testa in giù, è anomala per un suicida che si getta dall’alto. In un ripostiglio della stanza d’albergo sono state trovate una valigia piena di documenti e una piccola chiave contenente un anello.
Vi è poi una casualità che proietta – ulteriormente – l’ombra del mistero sulla prematura scomparsa del principe: in quello stesso hotel albergava Enrico Mattei. Il giallo Mattei, le oscure trame legate al petrolio che circondano la sua morte sono un capitolo tetro e carico di irrisolte ambiguità della recente storia del nostro Paese, ma che cosa c’entrano con la morte di Raimondo Lanza di Trabia? Il punto di contatto potrebbe essere, secondo alcuni biografi, la decisione che il principe aveva assunto di vendere la solfatara Tallarita, dal momento che lo zolfo siciliano non era più competitivo, e di entrare nel business del petrolio. Tuttavia la gestione di quella zolfatara, sebbene non redditizia, affidata a un potente avvocato che curava tutti i beni di casa Lanza di Trabia, costituiva un bacino clientelare-elettorale non indifferente, con interessi anche da parte della mafia. L’atto di vendita della solfatara, non a caso, venne firmata dal solo Raimondo e non anche dal fratello Gagliano. D’altra parte, nella Sicilia di allora il giogo della mafia sugli affari era pieno. Ad esempio, come risulta da un saggio di Emanuele Macaluso, il tentativo dei fratelli Raimondo e Galvano di concedere in affitto a delle cooperative alcuni loro feudi del Nisseno – feudi gestiti da Calogero Vizzini, Genco Russo e soci – fu vanificato da occupazioni, intimidazioni e azioni varie, anche giudiziarie, messe in atto da chi difendeva, con ogni mezzo, lo status quo [14].
Per Raimondo Lanza di Trabia, dopo una vita da primadonna, clamorosa e disinibita, una morte densa di sospetti, tenebre, incertezze; e il “Principino” fa ancora parlare di sé: pone interrogativi in attesa di risposte, lascia tanti dubbi che chissà se il tempo riuscirà a dissipare.
Resta però alla nostra memoria, indipendentemente dalle circostanze che condussero alla sua morte, l’immagine di un uomo che mai saremmo riusciti a vedere scalfita dal tempo, invecchiata come normalmente accade; l’immagine di un uomo che camminò tutta la vita sopra i carboni ardenti e che sfidò – vitale all’eccesso e potentemente trasgressivo, nietzschianamente al di sopra del bene e del male – la morte. L’immagine di un uomo del tutto alieno alle regole, come del resto lui stesso confessava:
‹‹Se avessi seguito le regole sarei stato sempre bastardo. Non avrei buttato piatti di vermeil e reliquie di santi tra i flutti. Non avrei amato Magdalene. Non avrei fumato oppio. Non avrei amato la morfina e l’alcol. Non avrei risparmiato la vita a un comandante repubblicano in cambio del suo impermeabile. Non avrei fuil so 72 motori. Non avrei comprato un uomo. Non avrei ballato coi tonni in punto di morte. Non saprei che gusto si prova ad andare in giro nudo. Non saprei se le americane baciano meglio delle italiane. Be’, mi sarei perso molte cose›› [15].
Dialoghi Mediterranei, n. 35, gennaio 2019
Note
[1] Nella sua prima versione il testo della canzone fu censurato. ‹‹Un attimo d’amore che mai più ritornerà››, troppo osè allora, fu cambiato in ‹‹abito da sposa primo e ultimo suo amor››, leggasi Laura Laurenzi, La vera storia del principe che diventò l’uomo in frac in La Repubblica del 4-7- 2011.