Cabilia, Algeria, 1939, villaggio di Tasga
Li chiamano “quelli di Taast”, oppure “ i ricchi” o addirittura “ i fascisti”, sono i giovani studenti di Tasga, i protagonisti del romanzo di Mammerì: Mokrane, Menach, Idir e Meddour. La loro infanzia è legata inevitabilmente a quella degli avversari, i membri del gruppo rivale, i giovani scapestrati della “banda”, ragazzi poveri, senza scrupoli, i bulletti del villaggio: Ouali, Raveh e Mouh.
Nel mezzo ci sono le donne di Tasga, le giovani fanciulle cabile, adornate maestosamente di gioielli e vesti colorate che tessono la loro adolescenza in compagnia dei propri cugini. Davda e Aazi, così si chiamano le protagoniste femminili del romanzo innamorate dei due giovani amici Menach e Mokrane.
La trama del romanzo La colline oubliée (“La collina dimenticata”) di Mouloud Mammerì, (El Dar El-Othmania, Algeri, 1952), recentemente ristampato da Gallimard, si sviluppa come una lente d’ingrandimento che mette a fuoco le vicende legate a queste due coppie di giovani amanti la cui vita verrà per sempre segnata dalla seconda guerra mondiale. Mammerì accompagna per mano il lettore, mostrandogli la bellezza e la varietà dei paesaggi algerini, dal rigido freddo invernale all’esplosiva fertilità primaverile. Dunque, è la terra la protagonista effettiva di questo romanzo. I personaggi e le loro storie non sono altro che un contorno, vittime inesorabili del tempo che passa; mentre la terra, con i suoi cicli stagionali, mantiene fede alle proprie scadenze, assistendo impassibile alle angoscianti sorti del popolo cabilo.
La Seconda Guerra mondiale sta reclutando giovani soldati da ogni parte del Mediterraneo e basta poco perché la sua presenza si faccia sentire anche all’interno di Tasga, dove la routine quotidiana e le consuetudini locali si trovano impreparate ad affrontare l’impatto con la realtà mondiale.
Non è un caso che l’autore decida di aprire il romanzo con la parola “primavera”. Questa, simbolo di giovinezza e spensieratezza, assume un valore metaforico all’interno dell’opera. La stagione primaverile rappresenta una realtà ormai inesistente, l’adolescenza non è che un ricordo. Tutti a Tasga sono cambiati nel corso degli ultimi anni. La fame del dopoguerra porta molti giovani ad attraversare la frontiera europea in cerca di guadagno. Altri invece, in preda ad ideologie nazionaliste perorano la causa marocchina, schierandosi al fianco dell’esercito spagnolo. E poi c’è chi al contrario, come Mokrane, resta il più lontano possibile dalle questioni politico-ideologiche, assistendo al cambiamento con sguardo malinconico.
Il tempo separa i giovani del villaggio, sbiadisce i loro legami affettivi ma, sor- prendentemente, non li sradica dalla loro terra. Nonostante i personaggi del romanzo siano costretti a vivere lontano da Tasga per questioni politiche, lavorative o per ragioni di studio, il ritorno al villaggio è percepito come un richiamo ancestrale verso le proprie origini. Le occasioni in cui ci si ritrova di nuovo tutti insieme sono prettamente legate a cerimonie nuziali o di fidanzamento. È la donna che impone e sancisce il legame con la terra natia. La donna é la garante della tradizione popolare, custode indiscussa del ricco patrimonio letterario orale.
L’elogio che Mouloud Mammeri rivolge alla cultura cabila è palese durante tutto lo svolgimento del proprio romanzo. L’autore vuole sottolineare la ricchezza insita nella tradizione cabila ricalcando in maniera ridondante i momenti cruciali della vita quotidiana cabila: le riunioni serali e i rituali nuziali, nel valore e nel culto della parola orale.
A dimostrazione di ciò vi è la presenza di non poche parole in lingua cabila all’interno del romanzo. Parole imbevute di significato, connesse non solo alla topografia della regione ma anche al lessico della vita quotidiana come la forma di saluto Laaslama o vocaboli indicanti il potere locale, come l’assemblea del villaggio Tajmait. Parole chiave di una lingua e di una cultura che nel confronto con l’altro rischia di perdere la propria identità. Quest’ultimo è un ulteriore aspetto denunciato dall’autore all’interno dell’opera. L’importanza che Mammerì conferisce all’oralità e il pericolo che questa si stia perdendo a causa dell’istruzione francese e allo sfaldamento della vita quotidiana dopo l’avvento del conflitto mondiale è espresso chiaramente da queste parole:
«Mais il n’y avait plus à Tasga d’orateur qui put parler longuement et dignement; les vieux, parce qu’après le cheikh et mon père, ils n’avaient rien à dire, les jeunes parce qu’ils étaient incapables de prononcer en kabyle un discours soutenu; quand par hasard l’un d’eux prenait la parole, on voyait s’abaisser une à une les têtes barbues et ravagées de tous les vieux assis en ligne sur les dalles du fond; un malaise les parcourait tous, car les discours des jeunes ressemblaient aux conversations des épiciers: ils étaient secs, froids, sans ordre, sans citations, ils ne visaient à rien qu’à la solution d’un petit détail précis, leur grand mot était “Lmoufid”, le minimum: alors qu’est que l’assemblée pouvait attendre de harangues qui visaient ouvertement au minimum?».
La Colline Oubliée è dunque un’opera di denuncia a tutto tondo. Una critica apertamente rivolta al regime coloniale francese e al danno che il dominio straniero, in generale, ha causato alla popolazione autoctona, vista non come indigena ma come portatrice di una cultura altra avente un valore culturale altrettanto profondo e valido.
La lettura politica del romanzo conduce a soffermarsi sulla propaganda francese, sull’impatto devastante che la guerra ha portato anche in un villaggio dell’entroterra algerino, un microcosmo dove la gente ricerca la baraka del santo locale e la vita scorre lenta seguendo il ritmo dei pascoli e delle stagioni. Un luogo incontaminato dove il dolore, la fame, lo scontro tradizione/modernità si consumano in un arco di tempo troppo rapido rispetto a quello dell’infanzia e dell’adolescenza.
Al termine del romanzo il lettore non può far altro che rimanere in silenzio, lasciandosi sopraffare da un’amara malinconia. Se sin dall’inizio si ha l’impressione di essersi immedesimati nel personaggio di Mokrane, verso le ultime pagine del romanzo, il lettore si rispecchia nella controversa figura di Menach. Costui, che durante tutto il romanzo è l’emblema del cambiamento e dell’inquietudine del tempo si rivela il vincitore morale della storia. Una sorta di antieroe letterario, vittima delle avversità della vita, apparentemente cinico ed egoista ma intimamente buono.
Il romanzo di Mammerì, da cui è stato tratto l’omonimo film, La colline oubliée, diretto da Abderrahmane Bouguermouh (1996, Algeria), è la messa in scena di una tragedia, con eroi, divinità, amori tormentati, eppure è spaventosamente reale: é il racconto di vita di quattro giovani cabili nella prima metà del Novecento e, più ampiamente, un frammento di storia sociale e culturale di una minoranza etnica e di una comunità sottomessa al potere coloniale.
Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
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Ada Boffa, attualmente insegnante d’italiano L2 ed esperta di Studi Berberi, ha conseguito il titolo di Laurea Magistrale in Scienze delle Lingue, Storie e Culture del Mediterraneo e dei Paesi islamici, presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, discutendo una tesi in Lingua e Letteratura Berbera: “Temi e motivi della letteratura orale berbera: racconti tuareg dell’Aïr”, svolta in collaborazione con tutor esterno presso l’Università di Parigi, INALCO. Ha partecipato al convegno ASAI, Africa in movimento (Macerata 2014), presentando un paper sulla favolistica tuareg.
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