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Voci mediterranee così vicine così lontane

Sicilia e nord africa in una carta del 1784

Sicilia e nord Africa in una carta del 1784

di   Bianca Cusumano

Quando, per le strade di Tunisi e nelle piazze, quel 13 gennaio 2011, è scoppiata la “primavera” in pieno inverno, il popolo declamava i versi di un noto poeta tunisino:

Se un giorno alla gente venisse voglia di vivere/ allora il fato dovrà rispondere,/ e la notte dovrà aprirsi e le catene spezzarsi/ chi vivere desidera il corpo non trattiene/  s’evapora e svanisce nel vasto cielo della vita. / Gli esseri, gli esseri tutti così mi hanno detto/ così mi ha parlato il loro spirito celato./ In cima alla montagna, nel più segreto albero/ nel mare scatenato, ascolta il mormorio dei venti:/ che io mi volga verso un luogo al mondo/indossi la speranza, mi spogli di prudenza. / Non temo sentieri rigorosi/ né fuochi alteri. / Rifiutare le alte vette,/ non è vivere, per sempre, nel fossato? [1].

Abū al-Qāsim al-Šābbī scrive negli anni del protettorato francese. Sebbene il poeta non abbia politicamente preso parte alla causa anticolonialista, al-Šābbī appare consapevole della missione civile e della funzione morale del poeta. In alcuni dei suoi versi, si rivolge al popolo tunisino incoraggiandolo a ribellarsi contro l’oppressore e a riconquistare la libertà perduta.

Malvagio oppressore, che ami le tenebre/ e sei ostile alla vita,/ hai schernito i lamenti di un popolo indifeso,/ la tua mano è macchiata del suo sangue. / Tu continui a mutilare il piacere della vita,/ a seminare/ spine di dolore nel suo campo./ […]/ Ma guàrdati! Ché sotto la cenere cova l’incendio,/ e chi semina spine raccoglie ferite [2].

In verità, alla sua morte precoce, il poeta tunisino non godeva di alcun prestigio o fama e seguirono decenni di oblio. I suoi versi furono rispolverati sul finire degli anni Cinquanta, negli anni della lotta contro lo straniero invasore. Oggi come allora, le parole di al-Šābbī hanno raccontato di una rivolta. I suoi versi si rivolgono al francese, ma interrogano anche Bīn ‘Alī, evocano libertà e ridestano le coscienze. Nella conquista della democrazia, le parole del poeta sono ancora in grado di parlare, scoperchiano logiche antiche e nuove, assumono la dimensione universale di denuncia. La rivoluzione ha viaggiato anche attraverso le parole la cui forza ha varcato i confini della Tunisia. Ritroviamo gli stessi versi che riecheggiano come uno slogan tra le città siriane assediate, nei murales e nei graffiti di piazza Taḥrīr come a Banġāsī, la capitale dei ribelli libici. Ironizza Tahar Ben Jelloun quando scrive che «i dittatori farebbero bene a leggere i poeti» [3]. In quelle piazze animate, il popolo declamava i versi di una poesia di quasi cento anni prima, li ripeteva nelle forme nuove di un coro unanime, rovesciando e denunciando soprusi antichi e moderni. Tuttavia, non si levavano solo poesie in quelle piazze. Altre parole cominciavano a liberarsi: negli hashtag su twitter, nelle frasi condivise con gli amici vicini e lontani su facebook, nelle barzellette sul tiranno fino alle sonorità rap di El General. Del resto, scrive Meriem-Faten Dhouib, «non è la rivoluzione del pane come tanti hanno predicato, ma la fame della parola. Abbiamo avuto fame di parlare, la bocca chiusa per decenni» [4]. Se è vero – come ci insegnano i linguisti – che le categorie linguistiche non solo veicolano la visione del mondo ma concorrono anche a determinarla, nel tempo della globalizzazione mediatica la parola moltiplica la sua peculiare forza produttiva, quella performatività che trasforma quei segni e quei simboli in atti e gesti precisi.

Il poeta tunisino, che si oppone con i suoi versi alla politica francese, scrive negli anni del protettorato e invoca una libertà che la storia della Tunisia ha visto più volte conquistata e perduta. Non era solo una libertà di parola quella che agognava al-Šābbī, ma un Paese libero dall’occupazione francese. ‘Alī al-Dū‘āğī scrive negli stessi anni del poeta, ma i loro percorsi sono piuttosto divergenti. Segno distintivo negli scritti di al-Dū‘āğī è una sagace ironia, che spesso si mescola e aiuta a celare un’amara tristezza. Tuttavia, quasi mai si risolve in disimpegno, e rappresenta piuttosto il tentativo di trovare un originale linguaggio in una società in cui il vecchio e il moderno convivono non senza contraddizioni.

Il viaggio nella letteratura araba

Il viaggio nella letteratura araba

Si tratta di un autore che in Italia è conosciuto soltanto per la traduzione a cura di I. Camera d’Afflitto del volume Ğawlat ḥawla al-qahūat al- Mutawassiṭ [5] un’opera che raccoglie le impressioni di un viaggio in alcuni Paesi dell’Europa, compiuto dallo scrittore nell’estate del 1933 e pubblicato su riviste a puntate tra gli anni Trenta e Quaranta prima di uscire in un unico volume. È noto che la letteratura di viaggio è uno dei generi letterari arabi tradizionalmente coltivati e sviluppati sin dall’epoca classica e medievale. Tuttavia, anche in questo come in tutti i suoi scritti, al-Dū‘āğī non è interessato a descrivere «le curiosità dei musei, oppure i prodotti delle fabbriche, gli abissi dei mari e le meraviglie della natura: le cime delle montagne e le profondità delle caverne» [6], non assume cioè la disposizione letteraria tradizionale al resoconto delle impressioni da viaggio ma intende piuttosto sfuggire alle immagini canoniche e un po’ oleografiche consegnate da certe rappresentazioni e “divertirsi” a fotografare, in forma di appunti, scene di vita quotidiana, istantanee di luoghi e di paesaggi, scorci di umanità, ironiche caricature di personaggi che ci rivelano un’epoca, uno stile, un modo culturale identificabile come europeo agli occhi di un giovane e acuto osservatore tunisino.

Bohèmienne nella sua vita assai disordinata, al-Dū‘āğī è stato scrittore non convenzionale nella letteratura araba e sperimentale nell’uso della lingua. Ha inaugurato nuovi generi e innovato la scrittura letteraria innestandovi modi popolari e dialettali, in una felice contaminazione anche con prestiti della lingua francese. La sua attenzione per ogni aspetto della materia verbale lo caratterizza in modo singolare e originale. Di carattere ribelle e anticonformista, versato per la satira e amante delle caricature, lo scrittore tunisino ha immesso nell’esangue letteratura della tradizione tunisina degli anni Trenta la linfa nuova di un realismo spesso grottesco, a volte sotteso di una mordace critica sociale verso i costumi religiosi, aperto a recepire le sollecitazioni della modernità. Fu, tra l’altro, collaboratore assiduo di periodici e riviste nonché illustratore di vignette e di caricature.

Eppure, lo scrittore occupa uno spazio marginale nei manuali di storia della letteratura araba – pressoché assente nelle biblioteche italiane – ed è destino che lo associa a tanti altri autori tunisini. La sua voce, come quella di molti altri scrittori del Mediterraneo maghrebino attendono ancora di essere pienamente ascoltate e valorizzate, anche se va riconosciuto che nel corso di questi anni il discorso storiografico si è potuto avvalere di nuovi orientamenti e di originali contributi e si è assistito a una proliferazione di opere che hanno sviluppato la questione della colonizzazione, sforzandosi di superare le tradizionali ottiche eurocentriche e di analizzare il mondo arabo-islamico spostando lo sguardo e il punto di vista “al di là della riva”. Tuttavia, nel tentativo di tratteggiare una breve storia della Tunisia in epoca coloniale, la bibliografia italiana appare ancora piuttosto esigua, le pubblicazioni scarseggiano quando non sono difficilmente reperibili poiché datate.

Tunisi in rivolta

Tunisi in rivolta

Sebbene la Tunisia sia «il Paese di civiltà araba più vicino geograficamente, il più legato, per oltre duemila anni di storia, all’Italia, e quello che mantiene ancora oggi le relazioni economiche e culturali più strette col nostro paese» [7], sembra persistere una sorta di renitenza e reticenza nello studio e nella pubblicazione di opere che possano farci conoscere la storia dell’altra riva. Non sarebbe operazione di poco conto ricostruire il colonialismo tunisino, non più dalla prospettiva europea dei fasti coloniali, bensì attraverso la ricostruzione storica di memorie, diari, scambi epistolari e, in una parola, quella che possiamo definire la storia del colonizzato; ricostruire cioè la storia dalla prospettiva rovesciata, dalle pagine del Mediterraneo conquistato, a partire da quelle voci rimaste ai margini della storiografia italiana. A questo proposito, l’ironia di al-Dū‘āǧī, i versi di al-Šābbī, le pagine di Mas‘adī, pressoché sconosciuti in Italia, sono senza dubbio “carte storiche”, prodotti letterari, documenti e testimonianze umane che possono aiutarci a vedere “la storia” da un’altra angolazione. Non appare possibile, difatti, comprendere le motivazioni che hanno spinto il popolo tunisino a rivendicare oggi diritti e dignità nelle piazze senza aprire uno squarcio sulla sua storia o, peggio ancora, ignorando le contraddizioni, le evoluzioni, le travagliate vicende politiche ed economiche del Paese.

Poco sorprende se nei manuali di letteratura araba contemporanea vi è una netta predominanza di autori provenienti dal Medio Oriente. Quel Mašriq, Egitto in testa, ha occupato gran parte dell’attenzione della critica letteraria, ne ha disegnato le traiettorie e gli orientamenti, ne ha definito i modus scribendi, i generi letterari e le tematiche, non senza l’influenza determinante dell’Occidente, dell’avvento del cinema e della televisione, del rilievo assunto dalla stampa. Ma, se il ruolo di prestigio che ha assunto il Medio Oriente nella rinascita della letteratura araba è fuori discussione, se è vero che il processo di rinnovamento culturale, civile e tecnologico ha luogo prima di tutto nel palcoscenico egiziano, è vero anche che una storia della letteratura maghrebina è ancora tutta da scrivere. Stretti in poche righe, i suoi autori vivono quasi sempre all’ombra e sulla scia di quel “fascinoso Oriente”, da cui sembra tutti abbiano attinto a piene mani. Una rapida ricerca nelle biblioteche e un veloce e sommario sguardo alle opere edite, ci pongono davanti all’evidenza: gli autori tunisini sono sempre segregati nelle note a piè di pagina, quasi del tutto marginale sembra essere lo spazio assegnato specificatamente alla letteratura tunisina, ancora più modesto è il numero delle opere che hanno incontrato il successo della critica. Godono invece di prestigio e fama gli autori mediorientali, numerose sono le traduzioni in italiano, di gran lunga superiori l’attenzione critica e le pagine loro dedicate.

Pur nella consapevolezza che bisogna aspettare gli anni Sessanta per avvertire un vero e proprio rinnovamento nel campo della letteratura tunisina, anni in cui una folta schiera di autori abbandona le sclerotizzate forme della tradizione per abbracciare correnti e orientamenti moderni, va tuttavia precisato che la letteratura della Tunisia, come quella dell’Algeria, della Libia, del Marocco e della Mauritania, non è ispirata esclusivamente all’egemone Mašriq, né tanto meno le sue evoluzioni letterarie sono da attribuire frettolosamente al solo contatto con l’Occidente. Non poche sono infatti le voci originali e interessanti, gli autori che, secondo le diverse e peculiari ispirazioni di ciascuno, sono espressione di un modo condiviso di essere e di sentire la realtà che li circonda, sensibili e partecipi delle vicende di un Paese che durante il periodo coloniale è stato teatro di profondi e rapidi mutamenti, lacerato da vistose contraddizioni. Numerosi sono i profili di scrittori che meriterebbero più equilibrata e meditata attenzione, di uscire cioè da quel cono d’ombra che li ha oscurati per anni, di essere conosciuti nelle traduzioni in lingua italiana e di incontrare possibilmente il favore della critica. Voci mediterranee, forti o sussurrate, di uomini e donne liberi o schiavi, voci che si alzano dai vicoli trafficati o dal silenzio delle distese desertiche. Eppure, troppo poco ancora conosciamo di questo mondo e di questa letteratura.

La questione appare diversa se si guarda ai manuali che si occupano di letteratura tunisina redatti in lingua francese. È appena il caso di precisare che la posizione che ha avuto la Francia nell’area maghrebina, a seguito delle politiche postcoloniali, ha influito non poco nel determinare questo rinnovato interesse. Tutt’altro che esigua è infatti la schiera di penne nordafricane che di preferenza si espressero in lingua francese, in parte spinte dal desiderio di un successo più allargato, in altra parte riconoscendo in quella lingua un effettivo e storico legame culturale. Ma il ruolo che la Francia ha avuto, a livello politico e culturale sul Maġrib, non basta a giustificare la mancanza o penuria di studi italiani su questa area geografica, una disattenzione incomprensibile se si considera l’enorme patrimonio culturale di comuni eredità e l’antico legame che unisce la Tunisia all’Italia.

Questo “mondo”, altrimenti indistinto e sfocato, così vicino geograficamente eppure così distante, è rimasto per troppo tempo ai margini degli studi arabi. È un fatto che l’atteggiamento dell’arabistica italiana nei confronti della Tunisia, e del Maġrib più in generale, presenti carenze e ritardi. Il discorso italiano sull’Africa settentrionale, sebbene negli ultimi anni abbia registrato la pubblicazione di contributi fondamentali, rimane comunque marginale nel contesto degli studi occidentali, restando il Mašriq il palcoscenico preferito degli studi arabistici. «Secondo una recente bibliografia, ancora in fase di elaborazione, dal 1945 al 1999 sono stati pubblicati circa una novantina di opere di autori arabi, di cui soltanto nove sono di autori maghrebini che scrivono in arabo»[8]. Non è tutto. Al numero esiguo e alla penuria di pubblicazioni si aggiunge il fatto che in molte occasioni questi studi restano confinati entro un circuito ristretto, non godono di diffusione alcuna, disseminati in una pubblicistica pulviscolare, peraltro di difficile reperibilità. Non solo è necessario allora che il numero dei lavori a stampa sui nostri vicini del Mediterraneo aumenti esponenzialmente, ma è auspicabile anche che gli studi sul mondo maghrebino escano fuori da quel cono d’ombra che li tiene oscurati, che ce li rende distaccati e distanti, quando non del tutto sconosciuti. Ciò è tanto più vero oggi, per l’esigenza e l’urgenza di contrapporsi a un’immagine stereotipata, amputata, uniforme e quasi immutabile dell’Islām. Nei mass-media imperversa quella rappresentazione che è più prossima alle nostre pigrizie e convenzioni mentali. L’Islām plurale non trova spazio nei nostri pensieri irretiti dai luoghi comuni e dai facili conformismi. Se così non fosse non saremmo rimasti sorpresi né impreparati davanti al fenomeno delle rivoluzioni che hanno di recente fatto irruzione nella storia del mondo. Con riguardo a queste questioni le istituzioni culturali hanno non poche responsabilità.

Queste voci che si levano dalla Tunisia vanno ricondotte nel contesto più ampio di quel Mediterraneo che è stato «spazio di movimento» [9] secondo la definizione di Braudel, «polo di attrazione e di acculturazione» [10] per usare le parole di Aymard. In questo mare, cuore e crocevia del Vecchio Mondo, in cui tutto si mescola e si dissolve come il sale nell’acqua, si custodisce l’antica lezione della storia che dobbiamo forse tornare a imparare, raccogliendo la sua più importante eredità, eminentemente fondata sul primato del dialogo e sul valore dello scambio. Nella consapevolezza che il Mediterraneo non è un luogo comune ma è un luogo in comune, alle parole della letteratura può essere probabilmente affidato il compito di ricercare e ritrovare questo luogo.

Dialoghi Mediterranei, n.6, marzo 2014
Note

[1] Corrao, F. M. (a cura di), Antologia della poesia araba, ed. La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2004, p. 373.

[2] Borruso, A., Arabeschi. Saggi di letteratura araba, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 129.

[3]  Jelloun, T. B., La rivoluzione dei gelsomini, Bompiani, Milano, 2011, p. 20.

[4]   Dhouib, M., Ho fame voglio parlare, in http://www.pontes.it/articoli.html.

[5]   Al-Dū‘āǧī, In giro per i caffè del Mediterraneo, trad. it. a cura di I. Camera D’Afflitto, Abramo Editore, Catanzaro, 1995.

[6]   Idem, p. 19.

[7]   Gallico, L., L’altro Mediterraneo tra politica e storia, Vecchio Faggio Editore, Chieti, 1989, p. 141.

[8]   Camera D’Afflitto, I., Premessa a Le letterature del Maghreb: recupero della tradizione o risposta all’egemonia culturale? in “Oriente Moderno”, LXXVII, 2-3, Istituto per l’Oriente, Roma, 1997, p. II.

[9]   Braudel, F., Il Mediterraneo, Bompiani, Milano 1992, p. 51.

[10]  Aymard, M., Migrazioni, in Braudel, F. (a cura), Il Mediterraneo, cit., p.236.

 

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