di Nella Tarantino
I.
Hanno dipinto nei punti più bui.
La pittura è figlia della notte.
La notte, la fiamma, le torce, l’ombra.
Hanno dipinto nel silenzio del cuore della grotta.
E noi, che ora c’inoltriamo, sentiamo quasi come se stessimo disturbando quella oscurità.
Mille occhi ci guardano.
Paul Klee ci invita a dimorare nel cuore della creazione, ove si condensano forme intime e potenti.
Viaggio all’indietro in profondità inesplorate. Figure misteriose che riemergono e si inabissano.
Iniziazione alla visione. Nel Regno del sacro.
Ci consegniamo alle fiamme, alle ombre, all’oscurità. Nel Regno del Sogno.
Ci immergiamo nell’Inizio, in attesa di scorgere il rivelarsi del mondo.
Lo stato nascente.
Il rivelarsi delle immagini. Il loro fissarsi nell’invisibile intreccio del visivo percepito e dell’inconscio sognato.
Le immagini, le meravigliose immagini, figlie della notte.
Tempo e tempo ancora.
Così nacque il primo ritratto. La notte, la lanterna, l’ombra.
L’infinito dolore dell’imminente partenza.
L’amaro presagio che non ci sarà un ritorno.
II.
È già tardi, molto tardi, nella notte.
Sale verso di me un incendio, ma non ritorno,
non c’è più tempo.
Notte immensa, notte pura, libera della mia immagine, stanca,
la cancelli, e tornano a invaderti,
all’apparire delle tue stelle, nascoste,
le tracce ed ombre degli assenti e dei morti, che t’hanno attraversato
e ti abitano ancora.
O notte scura. Sulle tue rive naufraga la speranza.
Inesplorato oceano da cui nulla potrà mai tornare. Se non le fantastiche visioni del sogno.
Hai scavato a mani nude tra le macerie, dall’ombra, figure sepolte, scomparse, perdute.
Umanità pietrificata salvata nell’istante dello sguardo.
“Realtà di essenza nuova” riemergono e si fissano sull’impercettibile confine oltre il quale si spalanca l’orrido sfondo del nulla.
III.
Impercettibilmente quello sguardo, verso dove?
Slittamento di quel che vedo verso qualcosa di profondo, come un’immagine interiore.
Mi arresto ai margini di un confine, come in sogno.
Quale desiderio o paura si nasconde nei tuoi occhi, traccia di luce nella notte?
Vago senso di morte, cosa ti trattiene e ti imprigiona nell’invisibile silenzio dell’attesa?
Qualcosa di non raffigurabile che non risale e si perde, come uno scarto, un residuo, una scomparsa.
Con la mia fotografia vorrei riuscire a fissare il segno di questa distanza,
materia perduta e tralasciata,
il dolore di questa ferita che non rimargina, l’ombra che diventeremo,
la lontananza che ci separa.
Sudari di carta aprono un varco nei muri millenari. Appare un palinsesto di figure svanite e di racconti rimossi. Apparizioni, resurrezioni di fantasmi che presto svaniranno lasciando tracce intermittenti nella coscienza e nel ricordo del passato.
Le immagini di dissepolti fantasmi sostano per un tempo inafferrabile sul confine indefinito che separa l’essere dal non essere, la morte e la resurrezione, si aggrappano come incerte tracce del visibile, rassegnate a tornare a morire.
Fugace e inattesa apparizione, definitiva e dolorosa sparizione, l’immagine materiale si dissolve, il fantasma riapparso nuovamente arretra nell’ombra, “ma il sortilegio persiste nella memoria dei vivi”.
Immagini, stralci, lacune, improbabili combinazioni.
Immagini pericolose e quiete della notte.
Immagini reali e dolorose del giorno.
Sostano “sulle pendici di una terra misteriosa, da dove brillano nella lontananza assoluta delle nostre notti”.
IV.
La fotografia è la mia “zona”, là dove regna il silenzio, dove il tempo si è fermato.
Fotografare è superare il filo spinato, la garitta delle guardie, l’ultima luce sull’asfalto.
Diventare uno stalker, entrare, senza accorgersene, nella zona d’alienazione,
come in una febbre seguire il desiderio, scrutare il caso, la vita, il destino.
Immergersi nel mistero, e dimenticare.
Mi guarda in volto per l’ultima volta tutto quello che perdo e si allontana.
Si scrostano tutti i veli, gli intonaci antichi, finalmente vedo.
Non parto più, da tempo, resto ad aspettare, la zona è arrivata fino a qui, da me, sotto casa mia,
non posso più arretrare, sfonda ogni porta, mi è venuta a prendere, come un oscuro mare,
continua a salire fino ad annegare.
Ma, e potreste stupirvi, niente più mi spaventa, io Vi lascio entrare.
Dalla nebbia che sale,
dagli acquitrini della palude, voci di suppliche di preghiere. Care anime dei morti,
fantasmi delle mie notti, volti lontani d’ombre d’altre vite che credevo perdute.
We always return, I am no longer afraid of dying.
Esplode l’autoritratto in mille schegge di mille immagini, di volti, frammenti, citazioni.
Inciampa la memoria nell’intreccio impenetrabile, che si richiude e cancella ogni perduta forma.
S’illumina la memoria alla sopravvivenza d’ogni insepolta differenza, inatteso fantasma.
Così, nell’infinita lontananza del tempo, della storia, d’ogni esistenza, di buchi neri, squassati relitti di naufragi, memoria che inghiotte, che l’ingoia.
L’artiglio che scrosta e graffia l’immagine dimenticata d’ogni perduto amore.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
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Nella Tarantino, architetto e fotografa. I suoi lavori di architettura sono stati pubblicati su riviste e cataloghi nazionali e internazionali. Hanno scritto o espresso pareri sul suo lavoro di architetto: Paolo Taviani, Gillo Dorfles, Bruno Zevi, Cesare De Sessa, Predrag Matvejevic. Dal 2017 si dedica esclusivamente alla fotografia, «lontana dal rumore del mondo». Ha partecipato a diverse mostre personali e collettive a Roma, Vercelli, Agropoli: l’ultima a Milano “DIALOGUE” con Francesco Tadini (11 febbraio/5 marzo 2023) e ha pubblicato diversi volumi fotografici. Tra i più recenti si segnalano: L’Oeil de la Photographie, 2022; We always return 2022.
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