immagini
di Carlo Baiamonte
Sulla street art esiste un’ampia letteratura, sia nel versante dell’estetica dell’arte post-moderna, sia della sociologia urbana e della semiotica. Più che una sola idea di street art riconducibile a canoni fissi e stabili vi sono campi diversi di esperienza che pongono di volta in volta istanze nuove capaci, in alcuni casi, di determinare una rilettura costante di questo fenomeno culturale complesso.
La street art, che una parte della critica tenta da un decennio di restituire ad un momento unitario e fondamentale di inizio riconoscibile nello stile autorale, nelle tecniche e nelle figurazioni che possa far capo ad orientamenti di gruppo, “scuole” o esperienze metropolitane è però solo un aspetto delle pratiche di produzione artistica urbana.
Il presente report, frutto di una delle passeggiate urbane che mi piace svolgere nei ritagli infrasettimanali, raccoglie alcuni esempi e modalità delle pratiche di scrittura urbana a Palermo, ordinarie, abusive, anonime e senza una esplicitazione di pretese artistiche da parte degli autori.
Uno dei principali caratteri della street art è dato dall’effimero, da un culto del tempo assente come determinazione proiettiva, che si svolge nel presente e nel consumo ordinario degli spazi e delle rappresentazioni urbane, caotico, fluido, con una proposta che non si cura della conservazione e del mantenimento se non in termini di traccia, di segno provvisorio.
Ciò non significa che al prodotto artistico non possa corrispondere un pensiero o un progetto e, in questo senso, mi vengono in mente i murales dei quartieri Ballarò, Albergheria, Borgo Vecchio e, più recentemente, un progetto coordinato da Igor Scalisi Palminteri che insieme ad un gruppo di artisti coinvolge in uno scambio culturale due quartieri a Palermo e a Lecce.
Le pratiche artistiche urbane però favoriscono una lettura diversa, appartengono ad un fenomeno comunicativo complesso e stratificato che si posiziona e si riposiziona continuamente perché la presenza di nuove forme, all’atto in cui si modifica lo spazio urbano, ha già permeato una nuova rappresentazione e percezione funzionale ad ospitare altre opere ed altre espressioni di riscrittura.
Lo spazio percepito e rappresentato collettivamente nella street art è il prodotto di specifiche modalità d’intervento in cui si assume un segno, lo si ristabilisce nel reticolo degli altri segni preesistenti, in una interconnessione vitale che assume altre forme e nuovo senso.
Leggo spesso interventi di critica estetica, del tutto legittimi, in cui si denunciano i rischi di un abuso delle pratiche di riscrittura urbana, capaci anche di deturpare il prospetto di un edifico o di un monumento, alterando e contaminando la rappresentazione. Molte delle operazioni di riscrittura urbana sono giudicate poco rispettose della storia e della memoria identitaria.
Senza entrare nel merito di questioni che evidenziano l’illegalità e la corrosività della street art, mi limito a osservare che la sua lettura richiede l’esame della stretta correlazione che questa tipologia di arte intrattiene con le superfici e con la città.
In particolare le pratiche di riscrittura urbana che sono oggetto di questo report e che non seguono un progetto, se vogliamo tentare una riproduzione discorsiva del senso, costituiscono l’esempio di un’estensione progressiva dello sguardo che si determina quando attraversiamo la città, quindi vanno ricondotte all’esperienza visiva della fruizione libera e spontanea.
L’attraversamento visivo della città si svolge spesso nell’indifferenza, la relazione tra il corpo visivo della città a cui siamo abituati e gli elementi introdotti con la riscrittura urbana non è immediatamente accessibile. Si richiede un occhio ed uno sguardo inclini ad abbandonare l’immediata riconversione del visivo nel discorsivo, rinunciando alla ricerca di una unità perduta, di un nuovo equilibrio che il segno della pratica di riscrittura urbana ha scardinato. Nella riscrittura caotica degli spazi urbani difficilmente si può ristabilire un significato ordinato e lineare.
Possiamo limitarci ad osservare e a fotografare il segno della riscrittura urbana. La stessa pratica della fotografia, che si sovrappone al segno materiale catturandolo, diventa parte integrante della riscrittura e della comunicazione che si svolge intorno allo spazio urbano contraddistinto da una nuova esperienza, una interrelazione non prevista, non vista, non raccontata.
La cultura visuale pone un’istanza nuova e forte che forse richiede anche altri strumenti di analisi. È un trauma culturale e visivo che funziona come la pratica dei tatoo in cui si richiede una nuova ridefinizione della relazione con il corpo. Lo scontro e la presenza di un dibattito e di uno scontro dialettico intorno alle pratiche di scrittura urbana, soprattutto intorno alla versione più aggressiva della street art, fanno in ogni caso bene alla cultura visiva.
Le città e in generale gli spazi urbani vanno considerati sistemi semiotici sincretici complessi in cui il segno, in modo rivoluzionario, denota un nuovo essere, nuove cose o insiemi di «esseri e cose», che possono talvolta assumere un valore artistico (qui entra in ballo l’eterna questione dell’estetica del gusto) ma che esprimono sicuramente una istanza di socialità e di resistenza agli archetipi che vogliono e accolgono un’architettura solo se è stata pensata dall’alto.
A Palermo la street art costituisce un fenomeno recente che ha trovato un buon grado di accoglienza e di tolleranza politica.
Da qualche anno la città ha sviluppato un orientamento specifico, sia accogliendo sempre con maggiore frequenza personalità artistiche provenienti da altre capitali culturali, sia favorendo la presa in prestito di artisti da altre pratiche come, ad esempio, la pittura.
Il fenomeno interessa il centro storico e la periferia e si sta intensificando con l’adesione a progetti nati in partenariato con le istituzioni. Ma questa è un’altra storia, un altro tassello su cui ritorneremo a discutere. La street art a Palermo appare ancora come una pratica spontanea.
Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022
_____________________________________________________________
Carlo Baiamonte, vive e lavora a Palermo, insegna Filosofia e Scienze Umane all’Istituto Regina Margherita di Palermo. Si è laureato in Filosofia nel 1993 e si è occupato a lungo di ricerca, progettazione e programmazione dei servizi socio-sanitari svolgendo attività di consulenza nel Terzo settore e negli enti locali, in particolare nella valutazione della qualità. È giornalista pubblicista, ha collaborato con la rivista “Prometheus” come responsabile della sezione scienze sociali e ha svolto sino al 2013 l’incarico di direttore responsabile di Medeu.it, quotidiano di informazione socio-sanitaria. Appassionato di fotografia, ha al suo attivo diverse pubblicazioni con contributi saggistici in ambito di sociologia della comunicazione. Nel 2018 pubblica con People&humanities il saggio fotografico Nel segno di Palermo, nel 2019 con Giusy Tarantino Di moka in moka. Storie di donne davanti a un caffè pubblicato da Edizioni Ex Libris.
_____________________________________________________________