di Francesco Medici
«Zaynab sollevò il capo verso il cielo, quasi volesse querelare alla sua equità la tirannia del mondo e dell’umanità, ovvero impetrare da Allah il perdono per la prepotente società cui apparteneva, e che pretendeva ciò che ella non desiderava affatto». La citazione (tradotta in italiano) è tratta dal volume Zaynab: Manāẓir wa aḫlāq rīfiyyah (Zaynab: Scene e costumi agresti), comparso nelle librerie del Cairo nel 1914, ovvero da quello che, secondo la maggioranza degli studiosi, sarebbe il primo vero romanzo della letteratura araba.
Consapevole del fatto che quel genere letterario, tradizionalmente occidentale, fosse ritenuto allora, nel mondo arabo, assolutamente marginale rispetto a quello della poesia, l’autore restò sbalordito dallo straordinario successo riscosso dall’opera, rimpiangendo forse di non avervi apposto il proprio nome, ma uno pseudonimo, nel comprensibile timore di poter incorrere nelle stroncature della critica più accreditata. Il misterioso «Miṣrī fallāh» («Un egiziano contadino») altri non era che Muḥammad Ḥusayn Haykal (1888-1956), un giovane avvocato originario di Kafr Ġannām (piccolo villaggio non distante dalla città di al-Manṣūrah), laureato in giurisprudenza al Cairo nel 1909, appena rientrato in patria da Parigi dopo aver conseguito un dottorato alla Sorbonne nel 1912.
Haykal compose Zaynab – originariamente concepito come un breve racconto, ma che in fase di stesura si ampliò fino a diventare un romanzo completo in tre parti – tra il 1910 e il 1911, durante il suo soggiorno di studi in Francia, ispirandosi ai grandi romanzi europei di cui fu un vorace lettore. Benché altri romanzi in lingua araba lo abbiano preceduto, Zaynab, date le scottanti tematiche sociali affrontate, «rimane una pietra miliare della narrativa araba contemporanea, un vero e proprio spartiacque tra il vecchio e il nuovo» (Camera d’Afflitto).
Haykal non era un autore esordiente, avendo tra l’altro preso parte, sotto l’iniziale tutela del connazionale Aḥmad Luṭfī al-Sayyid (1872-1963), alla querelle sulla questione dell’emancipazione della donna araba attraverso alcuni articoli in difesa del padre del femminismo arabo Qāsim Amīn (1863-1908), tra cui al-Mar’ah al-miṣriyyah (La donna egiziana), comparso sul quotidiano cairota «al-Ǧarīdah» (Il giornale) nel 1908. Nel 1922, impegnato nella redazione di uno studio sul filosofo francese Jean Jacques Rousseau, decise di dedicarsi a tempo pieno all’attività giornalistica e politica. Divenne consigliere del Partito dei Liberi Costituzionalisti (Ḥizb al-Aḥrār al-Dustūriyyīn), una formazione di stampo progressista e moderato da cui dipendevano le riviste «al-Siyāsah» (La politica) e «al-Siyāsah al-usbū‘iyyah» (La politica settimanale), di cui fu caporedattore insieme allo scrittore egiziano Ṭāhā Ḥusayn (1889-1973). Alcuni dei suoi articoli letterari comparvero anche su «al-Ḥadīṯ» (Il discorso), fondata nel 1927 ad Aleppo da Sāmī al-Kayyālī (1898-1972), nei quali si auspicava un rinnovamento radicale della società in nome della civiltà e del progresso.
Dopo il saggio Fī awqāt al-farāġ (Nel tempo libero, 1925) e il resoconto di viaggio ‘Ašarat ayyām fi’l-Sūdān (Dieci giorni in Sudan, 1927), Haykal pubblicò nel 1929, in forma leggermente ritoccata, la seconda edizione di Zaynab. Stavolta la ristampa recava il nome dell’autore, il quale era ormai sicuro che la cosa non potesse più nuocere né alla sua professione di avvocato, ormai deliberatamente abbandonata, né alla sua carriera di affermato scrittore. Il romanzo era anzi divenuto così celebre che un anno dopo il regista Muḥammad Karīm (1896-1972) ne trasse uno dei più acclamati film del cinema muto egiziano, ripresentato in versione sonora al Festival di Cannes del 1952.
Zaynab – noto ai lettori italiani come Zeinab, nella traduzione che ne fece nel 1944 l’illustre arabista palermitano Umberto Rizzitano (1913-1980) – è ambientato nella campagna egiziana e non manca di alcuni elementi autobiografici.
Il protagonista Ḥāmid, come lo stesso Haykal, è infatti il figlio maggiore di un ricco possidente terriero, un giovane colto «dalle idee addirittura rivoluzionarie» appartenente alla media borghesia, seguace della «dottrina del suo maestro Qāsim Amīn», che vive in un villaggio presso il delta del Nilo. Lo studente è innamorato della cugina ‘Azīzah, una ragazza educata in città, costretta dai genitori a maritarsi con un altro uomo. Anche il rapporto tra Ḥāmid e la bella Zaynab, un’umile contadina che lavora nei campi di cotone di proprietà della sua famiglia, si rivela di breve durata a causa della diversa estrazione dei due giovani. Nei capitoli centrali dell’opera si narra dunque dell’idillio tra la stessa Zaynab e Ibrāhīm, il capo dei braccianti. Ma il destino è nuovamente avverso: Zaynab, ancora adolescente, viene a sua volta obbligata dalla famiglia a un matrimonio d’interesse con Ḥasan, mentre l’amato Ibrāhīm deve suo malgrado partire alla volta del Sudan per assolvervi gli obblighi militari. La sposa infelice si rinchiude così nel proprio dolore finché, prostrata dalle sofferenze, muore prematuramente di tubercolosi.
I personaggi del romanzo sono rappresentati come vittime della «prepotente società» egiziana, oppressa dalla dominazione britannica, retrograda, superstiziosa, protesa unicamente a salvaguardare le proprie tradizioni obsolete e le proprie leggi ingiuste, che impediscono ai giovani di ogni ceto di assecondare le loro aspirazioni e i loro sogni. Haykal vi critica apertamente le consuetudini del matrimonio combinato e dell’uso del velo, denunciando la reclusione forzata delle donne, ormai rassegnate alla loro infausta condizione: «Cosa ne sappiamo noi, povere segregate, dell’amore? Nelle nostre tenebre godiamo solo di immagini irreali. Amare, per colei che i genitori hanno avviato a questa specie di clausura, è un errore: noi non siamo meno relegate delle monache, se pur non così devote. A voi [uomini] la bellezza del creato, a voi il cielo, i campi, l’acqua, la notte e la luna. Amate, godete di queste cose e lasciateci nei nostri eremi, nelle nostre prigioni».
Zaynab offre un’immagine idealizzata della campagna egiziana in cui è facile cogliere tutta la nostalgia dell’autore che la rievocava dall’estero. Secondo alcuni critici, l’intento di Haykal era quello di compensare con la bellezza della natura le dure condizioni di vita e le privazioni imposte ai contadini egiziani all’inizio del secolo scorso. Secondo altri, meno benevoli, era la formazione borghese a indurre l’autore a vedere nei braccianti dei campioni di abnegazione e nobiltà d’animo anziché dei servi della gleba retribuiti con salari da fame. Come ha scritto Francesco Gabrieli, «Haikal fece il primo audace tentativo di una rappresentazione diretta della vita delle classi rurali egiziane, fino ad allora oggetto al più di qualche rozza farsa semi-letteraria. L’umile vita del fallāh fu così per la prima volta sollevata, almeno nelle intenzioni, a dignità d’arte, ma, nel concreto risultato, la storia d’amore e morte di Zainab resta, nonostante gli intenti realistici, una sentimentale vicenda romantica trasportata sui campi di cotone del delta». L’influenza della letteratura romantica francese in quest’opera ancora immatura si avverte chiaramente nell’inserimento di elementi estranei all’ambiente agreste egiziano, al punto che, a tratti, Zaynab ricorda più l’eroina della Signora delle camelie (1848) di Alexandre Dumas che una contadinella analfabeta.
A conferire tuttavia un indubbio tono di veridicità alla narrazione contribuisce l’introduzione della lingua volgare egiziana nei dialoghi. L’obiettivo dell’autore era duplice: svecchiare la lingua araba, svincolandola dai canoni tradizionali, al fine di potersi esprimere in un modo conforme ai grandi cambiamenti che la società egiziana stava vivendo; poter annoverare anche nel genere del romanzo storico una produzione nazionale egiziana. Per Haykal il rinnovamento non doveva tradursi in una mera imitazione dei modelli occidentali, ma innestare questi ultimi sulle radici della storia culturale del proprio Paese, dall’era faraonica al presente, attraverso un lento ma incessante processo riformistico, come si evince da Ṯawrah al-adab (La rivoluzione della letteratura, 1933) e Fī manzil al-waḥy (Nella dimora dell’ispirazione), scritto nel 1937 dopo il pellegrinaggio alla Mecca, in cui l’autore rivedeva le posizioni troppo filo-occidentali assunte in precedenza.
Nel 1938 Haykal fu nominato ministro dell’Interno e successivamente ministro della Pubblica Istruzione durante il secondo governo di Muḥammad Maḥmūd (1877-1941), poi, dal 1945 al 1950 rivestì la carica di presidente del Senato. Nel 1951 e nel 1952 diede alle stampe la sua autobiografia politica in due tomi Muḏakkirātuhu fī’l-siyāsah al-miṣriyyah (Le sue memorie sulla politica egiziana). Tra i suoi titoli più noti vi sono anche l’autobiografia epistolare Waladī (Figlio mio, 1931) e il romanzo Hakaḏā ḫuliqat (Così fu creata, 1954), che non replicò comunque il successo di Zaynab. Come divulgatore storico, fu autore di una biografia del Profeta dell’Islam, Ḥayāt Muḥammad (Vita di Muḥammad, 1935), seguita da quelle dei primi tre Califfi: Ḥayāt al-Ṣiddīq Abū Bakr (Vita di Abū Bakr “il Veritiero”, 1944), Ḥayāt al-Fāruq ‘Umar (Vita di ‘Umar “il Giusto”, 1945) e Ḥayāt ‘Uṯmān Ibn ‘Affān (Vita di ‘Uṯmān Ibn ‘Affān), pubblicata solo dopo la sua morte.
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Riferimenti bibliografici
Allen, Roger (2006), La letteratura araba, Bologna: il Mulino: 216- 222
Avino, Maria, Camera d’Afflitto, Isabella, Salem, Alma (2015), a cura di, Antologia della letteratura araba contemporanea. Dalla naḥda a oggi, Roma: Carocci: 63-64.
Camera d’Afflitto, Isabella (2007), Letteratura araba contemporanea. Dalla naḥdah a oggi, Roma: Carocci: 91-95.
Gabrieli, Francesco (1967), La letteratura araba, Firenze-Milano: Sansoni/Accademia: 283, 289-290.
Haikal, M. Husein (1944), Zeinab, traduzione di U. Rizzitano, Roma: I.T.L.O.
Rizzitano, Umberto (1969), Letteratura araba, in Storia delle letterature d’Oriente, vol. II, Milano: Vallardi: 200-201.
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Francesco Medici, membro ufficiale dell’International Association for the Study of the Life and Work of Kahlil Gibran (University of Maryland), è tra i maggiori esperti e traduttori italiani dell’opera gibraniana, nonché autore di vari contributi critici su altri letterati arabi della diaspora tra cui Mikhail Naimy, Elia Abu Madi e Ameen Rihani, del quale ha curato la traduzione italiana dei romanzi Il Libro di Khalid (2014) e Juhan (2019). Si è inoltre occupato di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare di Leopardi, Pirandello e Luzi. Docente di materie letterarie nella scuola secondaria, lavora attualmente in un CPIA di Bergamo come insegnante di italiano L2.
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