Le argomentazioni qui proposte su questo delicato e attualissimo tema – non avendo io competenze di teologia – sono quelle di un comune cittadino che vive e analizza il suo tempo, osservandolo sotto l’inevitabile lente della deformazione professionale insita nell’ambito di ricerca in cui ha operato. Per limitare i miei inevitabili pregiudizi (nessuno ne è immune!), cercherò di fare come fece Giovanni Keplero nel suo Somnium (Kepler, 1984), quando, allo scopo di verificare la veridicità dell’ipotesi eliocentrica di Copernico, immaginò di osservare il cosmo e la Terra dalla superficie lunare, così da ampliare il suo campo di vista, limitando nello stesso tempo ogni coinvolgimento culturale ed emotivo, sempre foriero di giudizi preconcetti. Questo non vuol dire che l’analisi che farò sarà necessariamente obiettiva; se è vero, infatti, che dall’alto le cose si vedono più freddamente nella loro globalità e nelle loro interconnessioni, è anche vero che dall’alto si possono perdere dettagli importanti.
Per completezza, sempre per allontanare ogni presunzione di obiettività, aggiungo quanto ho già espresso in un precedente lavoro (Buccheri, 2016: 5), e cioè che ogni ragionamento, per quanto rigoroso, contiene sempre uno o più elementi non dimostrabili – elementi che sul piano formale possiamo assimilare a pregiudizi – e pertanto le sue conclusioni non possono mai portare verso verità assolute; lo stesso metodo scientifico può condurci a verità condivisibili solo nell’ambito delle nostre esperienze quotidiane, sempre che i fatti su cui sono basate siano verificabili sperimentalmente.
Possiamo di sicuro ritenere un fatto assodato la circostanza che la fede religiosa, la quale, secondo William James, «[…] consiste nel credere che esiste un ordine invisibile e che il nostro bene supremo è l’adattamento armonico ad esso. In questa convinzione e in questo adattamento consiste l’atteggiamento religioso dell’anima» (James, 1902), venga esercitata in ogni parte del mondo dalla stragrande maggioranza degli individui, al di là delle singole peculiarità dogmatiche e rituali. Nel concreto, è verosimile che taluni presupposti che stanno alla base di ogni specifico credo e le conseguenti modalità di esercizio dipendano in buona parte da usi e giudizi elaborati e condivisi nell’ambito di proprie tradizioni millenarie ereditate dalla società in cui si vive; tradizioni emerse, ad un certo stadio dell’evoluzione sociale di ogni popolo, dal carisma comunicativo di personaggi dalla enorme forza ideale, capaci cioè di trascinare grandi masse di popoli verso cambiamenti epocali che si sono poi consolidati nei secoli, permeando la cultura delle genti a venire e che tuttavia, con il tempo, hanno prodotto una grande varietà di frammentazioni, dalle più radicali alle più moderate, che inevitabilmente si riflettono sul dialogo reciproco.
Evoluzione ‘caotica’ dei Modelli Mentali di Realtà
Questa situazione di frammentazione non deve sorprendere: se è vero, infatti, che vivere nello stesso ambiente sociale implica la condivisione di usanze, tradizioni e modi di essere e di agire, è anche vero che ogni singolo essere umano, pur vivendo e operando nello stesso ambiente sociale, vive esperienze diverse nel corso della vita. Questo è un valido motivo per cui le sue valutazioni sulla realtà e sul senso della vita (come anche sull’esercizio della fede), pur avendo una base comune, non potranno mai essere del tutto identiche a quelle di un altro.
Nel suo La nouvelle alliance (Prigogine-Stengers, 1981), Ilya Prigogine (Premio Nobel 1977 per la chimica), osservò che la natura obbedisce sempre a un principio generale per il quale l’evoluzione temporale di tutti i fenomeni complessi avviene sempre attraverso la formazione e lo sviluppo di ordine per mezzo dell’autoorganizzazione, auspicando uno studio culturalmente unificato di tutti i fenomeni naturali, in qualsiasi ambito: scientifico, umanistico, economico, politico e sociale. La sfida fu colta in ambito sociale da Philip Johnson-Laird con i suoi studi sui cosiddetti Modelli Mentali di Realtà (Johnson-Laird, 1988) che già Kenneth Craik aveva descritto molti anni prima, anticipandone il concetto (Craik, 1943).
Il Mental Model of Reality (MMR) contiene la nostra visione globale del mondo, costituita dall’insieme delle valutazioni tratte dalle tante e disordinate esperienze vissute giorno dopo giorno e da tutti quegli aspetti legati alla coesistenza sociale (leggi, tradizioni, fede religiosa), interconnessi in un unico costrutto mentale atto ad interpretare la realtà e agire di conseguenza. Ogni visione individuale, tuttavia, oltre a tenere conto della enorme quantità di informazioni ricevute dall’esterno, comprende anche dati aggiuntivi non verificabili, acquisiti per intuizione o per credo (ideologico, religioso, politico, ecc…) e resi necessari per una visione quanto più organica possibile (anche se intrecciata da ambiguità e contraddizioni), in funzione delle necessità fisiche e psichiche individuali contingenti (Buccheri, 2005: 3-21).
Ogni singola visione è affetta da continue, temporanee, instabilità per effetto della interazione con gli altri individui della società e con l’ambiente esterno; instabilità che sottopongono l’MMR a continue modifiche, producendo variazioni che si ripercuotono anche sul confronto con gli MMR degli altri individui. A conferma dell’intuizione di Prigogine, il processo di interazione non è lineare e non è uguale per tutti, e presenta importanti analogie con i processi ‘caotici’ [1] per il fatto di incontrare di continuo dei punti di biforcazione che implicano scelte a cui rispondiamo in funzione del nostro stato (fisico, mentale, economico ecc.) contingente; scelte che, nell’evoluzione della propria visione, comportano di certo potenzialità ordinative future ma anche ambiguità, sia intrinseche che nel confronto reciproco, oltre che accomodanti retoriche e distanzianti utopie nei casi più estremi.
Il continuo confronto fra i modelli mentali dei singoli individui di ogni gruppo sociale fa comunque evolvere al suo interno un «modello sociale di realtà» (SMR, Social Model of Reality), una specifica visione collettiva del gruppo che, insieme ai SMR degli altri gruppi sociali, contribuisce, per esempio, alla definizione consensuale di metodologie di indagine nelle scienze e di regole di comunicazione (Hack-Battaglia-Buccheri, 2005: 164). La stabilizzazione di questi modelli è temporanea e soggetta, come per i singoli MMR, a continui punti di biforcazione (nuove scoperte, rivoluzioni, eventi eccezionali che coinvolgono l’intera comunità) evolvendosi mediante nuovi processi di auto-organizzazione verso modelli sociali più avanzati e comunque tendenti, con il tempo, a ridursi di numero per abbracciare un modello condiviso da una popolazione sempre più numerosa.
Un progetto nella materia vivente
La stessa specificità della materia vivente alimenta la frammentazione fra i singoli MMR. Come descritto in un altro mio precedente lavoro (Buccheri, 2016: 9), già ai primordi della vita, ancora nella fase di formazione della cellula vitale, emerge nel modo imprevisto e impredicibile – che ho definito cautelativamente ‘metafisico’ – il ‘progetto’ costituito dalla capacità di ‘informazione’ che acquista improvvisamente la materia inerte permettendo, con la formazione del DNA, la definizione e lo sviluppo programmato delle caratteristiche del vivente. Questa proprietà – l’essere dotati di un progetto, la teleonomia – è quella che, secondo Jacques Monod, costituisce la condizione necessaria per definire un sistema vivente, laddove la condizione sufficiente va ricercata nell’autore del progetto stesso, ovvero nelle forze esterne all’individuo che hanno forgiato il progetto o alla capacità di riproduzione dell’individuo (Monod, 1986: 22). Si tratta di una proprietà – il ‘progetto’ – che, se del tutto simile sul piano programmatico per tutti gli esseri viventi, si differenzia nettamente nel dettaglio quando si passa da un essere vivente all’altro, rendendo il ‘progetto’ di un individuo un ‘unicum’, mai identico a quello di un altro, che orienta quindi ognuno di noi ad affrontare le esperienze della vita in un modo unico e personale.
La varietà delle esperienze che ogni singolo individuo affronta nella vita (senza escludere gli interessi materiali e immateriali), gestite dal suo personale ‘progetto’, sono quindi la causa inevitabile delle differenze più o meno probanti che differenziano i modi di sentire e di valutare dei singoli individui; è necessario accettare tale inevitabilità non amplificandone il valore individuale se non si vuole ostacolare il dialogo fra persone, in particolare nel confronto fra fedi religiose.
Al di là della statistica: ortodossia e rivoluzioni
Per quanto riguarda in particolare il sentimento religioso, esso è contrassegnato, in definitiva, da un fenomeno negativo di frammentazione a varie scale dimensionali [2] emerso dalle differenze individuali, opposto a un positivo fattore di coesione all’interno di pochi gruppi molto numerosi, emerso dalla loro storia [3]. Fattore di coesione che può, però, trasformarsi in un pernicioso limite allo sviluppo di un dialogo costruttivo con le altre fedi se alla esistente varietà di giudizi e comportamenti sono posti limiti troppo stringenti di ortodossia, dovuti a pregiudizi derivati da carenza di conoscenza dell’altrui cultura religiosa o causati da rigide imposizioni dogmatiche. È sempre difficile contrastare usi e opinioni correnti, specie quando esse sono radicate da secoli in una comunità: chi osasse farlo, correrebbe il rischio di essere inviso o, al limite, perseguitato alla guisa di un ‘eretico’ [4] (come è successo tante volte nella storia) [5]; d’altra parte, se tenace e comunicativo, potrebbe riuscire ad evadere i limiti imposti dall’ortodossia, ricavarne consenso e favorire un allargamento delle conoscenze e dei conseguenti comportamenti. Per quanto riguarda gli eventi positivi di ‘eresia’, la storia ci parla spesso dell’improvvisa ascesa nel contesto sociale di personalità di grande carisma, carica morale e capacità comunicative che nella religione (come anche nella scienza e nel governo dei popoli), sfidando con dolore e con determinazione le limitazioni imposte dall’ortodossia imperante, sono riusciti a stabilire nuovi e rivoluzionari modelli di vita per lunghi periodi di tempo.
La rivoluzione compiuta da Gesù con la sua predicazione, supportata da una travolgente e limpida forza morale che gli fece superare sofferenze e umiliazioni indicibili, ha affascinato una grande moltitudine di persone; fascino che si mantiene ancora oggi pressoché inalterato dopo duemila anni (parliamo di oltre 2 miliardi di cristiani sui circa 7 miliardi di abitanti della Terra), e che è forse l’esempio più illuminante e sublime di questo processo di rifiuto dell’ortodossia dei costumi e delle idee sul prossimo, qualsiasi ne sia l’interpretazione che se ne possa dare da posizioni teologiche o secolari diverse.
Se si volesse guardare a questo fenomeno in termini di fredda analisi statistica da una prospettiva kepleriana, il fenomeno Gesù potrebbe apparire fuori dalla norma data la sua eccezionalità. Nondimeno, considerando i grandi numeri in gioco, caratterizzanti le parecchie decine di miliardi di persone che si sono succedute dagli inizi della civiltà umana ad oggi, la probabilità di un evento del genere non è necessariamente bassissima e, in ogni caso, la predicazione di Maometto, seicento anni dopo quella di Gesù, con la conseguente emersione di una nuova importante fede religiosa, ne è la prova. Né è improbabile che possa accadere ancora nel futuro nei riguardi delle nuove ortodossie di costume che si vanno via via stabilizzando, anche se a più elevati livelli di vita culturale e sociale, nelle diverse società umane.
In un interessante libro di Giorgio Montefoschi e Fiamma Nirenstein, vengono analizzati i rapporti fra le tre religioni monoteistiche attraverso l’intervista a tre loro rappresentanti – il domenicano Padre Claude Geffré, il rabbino David Rosen e il professore Mustafà Abu Sway –, ai quali sono indirizzati dei quesiti, alcuni qui riportati insieme alle risposte date (Montefoschi-Nirenstein, 2001: 178-189).
Alla domanda Quali sono le differenze teologiche fra le tre religioni monoteistiche? sono state date le seguenti risposte:
«Diciamo che il Dio dell’Ebraismo è essenzialmente il Dio creatore e dell’alleanza. L’Ebraismo è una religione messianica, una religione dell’attesa, della trasformazione della società verso la giustizia e la pace. Il Cristianesimo, come sappiamo, testimonia in Gesù Cristo un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. L’Islam è la religione per eccellenza dell’affermazione dell’unicità di Dio […]. L’Islam rifiuterà sempre il Cristianesimo proprio perché esso, secondo l’Islam, introduce una sorta di divisione all’interno di Dio stesso, […] non ha, a differenza dell’Ebraismo e del Cristianesimo, il cosiddetto senso messianico, e cioè il senso della trasformazione e della storia […]». (Geffré)
«[Secondo al-Bìrunì, un filosofo musulmano medievale,] “l’essenza del Cristianesimo è la Trinità, la fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo”. L’essenza dell’Islamismo, invece, è la dichiarazione di fede: esiste un solo Dio, e Maometto è il suo profeta […]. Lo stato in cui si trova l’anima, per così dire, è nel Giudaismo anzitutto prodotto dal modo con cui un individuo conduce la sua vita. E l’osservanza della ‘vita giudaica’ riguarda sia il personale rapporto con Dio sia la relazione con gli altri esseri umani. Quindi la teologia e l’ideologia sono molto meno importanti nella religione ebraica di quanto non lo siano per cristiani e musulmani […]; la differenza fondamentale e inconciliabile scaturisce dalla posizione teologica del mondo cristiano e di quello islamico: da una prospettiva giudaica, il concetto di Trinità e l’incarnazione di Dio in Cristo compromettono l’idea stessa del monoteismo puro. Dio è la sorgente della vita fisica, ma non è fisico; Dio trascende i limiti fisici, Dio non può essere diviso in categorie o componenti […] Per l’Islamismo direi che il problema cruciale sta nel fatto che i musulmani […] affermano che il Corano è il vero testo sacro, mentre la Bibbia è solamente una falsificazione […] Il problema insuperabile con i musulmani sta dunque nel decidere quale sia il vero testo che Dio ha rivelato per guidare le nostre vite». (Rosen)
«La differenza basilare tra l’Islam e l’Ebraismo è che l’Ebraismo rifiuta Maometto, il Profeta. Tra l’Islam e il Cristianesimo, invece, è il concetto della Trinità. Per l’Islam, Dio non assomiglia a niente altro, come è detto nel Corano. Il Corano non parla di Trinità; perciò il concetto della Trinità non può essere accolto». (Mustafà)
Senza entrare nel merito di queste affermazioni – che solo i teologi possono fare con competenza –, se guardiamo ad esse da una prospettiva kepleriana, possiamo solo dire che le differenze osservate possono essere attribuite a pure questioni di fede, derivanti da concezioni a priori, determinate dalla storia culturale e dalle tradizioni dei popoli da cui le tre religioni sono nate e in cui si sono sviluppate e fortificate da convinzioni personali, pur differenziandosi nel dettaglio dei riti e della pratica giornaliera.
Un secondo quesito sottoposto ai tre religiosi Perché gli scontri reciproci? riceve le seguenti risposte:
«La principale fonte di conflitto e di rivalità tra il Cristianesimo e l’Ebraismo è l’accusa formulata dai cristiani contro gli ebrei, allorché il popolo ebraico è stato considerato il responsabile della morte di Gesù». (Geffré).
«Semplicemente, nel corso dei secoli, i popoli si sono sempre scontrati fra loro. […] Specialmente quando una certa religione dichiara di avere il monopolio del rapporto con Dio e della verità, e un’altra afferma di essere l’unica a possedere quelle prerogative […]». (Rosen)
«[…] il confronto a volte si manifesta in modi assolutamente inammissibili. Nessuno dovrebbe essere obbligato ad accettare una religione, e questa non dovrebbe essere usata come fonte di ricatto nei confronti di altri. […] Come musulmano, non posso non ricordare le crociate. […] In questo secolo siamo invece stati testimoni dell’avvento del sionismo, che ha avuto il suo culmine con la proclamazione dello Stato di Israele; e questo è un grosso punto di attrito, non ancora risolto, tra l’Islam e l’Ebraismo». (Mustafà)
Se aggiungiamo le risposte alla domanda Quanto è importante per la sua religione convertire gli altri, evangelizzare?, si ha l’idea di come ognuna delle tre religioni si considera ‘più vera’ delle altre:
«Di fatto il Cristianesimo e l’Islam sono due religioni missionarie, che pretendono di detenere il segreto della salvezza dell’uomo, la salvezza eterna, e per questo desiderano convertire gli altri alla propria fede per assicurare loro la salvezza eterna. […] non si può dire che l’Ebraismo sia una vera e propria religione missionaria». (Geffré)
«[…] il Giudaismo ritiene che Dio ami i giusti di ogni Paese del mondo. Non è necessario che tu sia giudeo per essere accettato da Dio. Ma il Giudaismo è uno stile di vita, ed è lo stile di vita che Dio si aspetta dagli ebrei. […] Perciò il Giudaismo giudica il passaggio di un proprio fedele a un’altra religione come un fatto sgradevole e molto triste». (Rosen)
«[…] l’Islam come religione non ha tenuto comportamenti sbagliati. Se ci sono stati degli errori, questi sono stati commessi dagli uomini. Ma in nessun momento della storia islamica, […] ci furono tentativi di convertire gli altri con la forza o con altre forme di coercizione. […] per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti delle altre religioni, l’Islam è l’unica religione tollerante verso le altre. […] Il nostro concetto di “infedele” è quello di una persona che si trova comunque sotto la protezione di Dio, sotto la protezione della shari’a». (Mustafà)
Non mancano, d’altra parte, giudizi accomodanti che riconducono i contrasti a caratteristiche umane legate a problematiche sociali, come anche all’avidità di potere, che aprono le porte a un tollerante dialogo:
«Direi che, da questo punto di vista, al di là dello scontro propriamente religioso, c’è stato un dissidio tra due civiltà: l’impero cristiano, in particolar modo l’impero di Bisanzio, e la civiltà islamica, che è una civiltà di ordine religioso e allo stesso tempo politica e militare. Ancor oggi si assiste a una rivalità tra l’Islam e il Cristianesimo […] il Cristianesimo appare come la religione dei Paesi più ricchi e sviluppati, mentre l’Islam sarebbe la religione delle nazioni più svantaggiate, dei Paesi del terzo mondo. […] Rimane l’idea che il Cristianesimo sia l’origine della cultura occidentale, che nella nostra epoca è divenuta la cultura dei diritti dell’uomo, ma anche forse di un certo permissivismo, mentre l’Islam pretende di essere la religione che tiene alti i diritti di Dio rispetto ai diritti dell’uomo, e osserva una maggiore rigidità nel campo delle relazioni umane, nel campo della sottomissione alla legge. L’Islam appare come una sorta di contropotere rispetto al materialismo della cultura occidentale […] A volte tende a confondere il materialismo con il Cristianesimo stesso». (Geffré)
«Credo che questa domanda riguardi la natura umana, non gli abusi delle religioni e neppure le religioni monoteistiche. […] E anche quando, all’apparenza, ciò accadeva in nome della religione, c’era sempre qualche altra motivazione vera alla base di quei fatti: territori da conquistare, potere, controllo, motivi per i quali la religione viene manipolata e asservita ad altri interessi. […] Comunque non nego che i popoli siano entrati in guerra per motivi religiosi, ma qui c’è un paradosso che sarebbe ridicolo se non fosse tanto tragico: due popoli che si fanno la guerra invocando lo stesso Dio per sconfiggere il nemico […] La questione essenziale, qui, è l’abuso del potere. (Rosen)
«Dovremmo arrivare al punto di rispettare il diritto all’esistenza di ognuno, pur seguendo la nostra strada, e lasciando le porte aperte a coloro che desidereranno entrarvi». (Mustafà)
Alla luce di queste valutazioni, non sembra peregrino affermare che un dialogo fra diverse fedi religiose (come, in generale, fra differenti opinioni in altri campi) che sia foriero di vera comprensione reciproca e quindi di possibilità di mediazione, sia solo possibile cercando di guardare profondamente dentro se stessi per capire quanto i dettagli della propria fede siano dipendenti da concetti a priori, magari legati alla cultura della comunità di appartenenza e pertanto legittimi e rispettabili sul piano dell’espressione del proprio sentimento religioso, ma difficilmente da considerare verità assolute.
Dal necessario efficace dialogo ad una possibile super religione
Cercherò di trarre qualche valutazione conclusiva da quanto espresso in precedenza – sempre dalla prospettiva di Keplero – con le cautele di chi sa che la storia dei popoli, per l’enorme numero di parametri in gioco, segue sempre vie caotiche e imprevedibili.
Indubbiamente, per un proficuo dialogo, un traguardo da raggiungere dovrebbe essere quello di una rispettosa e sincera tolleranza reciproca, dove ognuno possa conservare il diritto a rimanere ancorato con sicurezza alle proprie tradizioni senza forzare o reprimere le tradizioni altrui, così sradicando il radicalismo conflittuale, latente in special modo quando la convinzione sulla verità della propria fede viene amplificata da altri fattori contingenti (come questioni di potere, economiche, ideologiche o altro), sempre in agguato in ogni individuo e in ogni gruppo sociale.
Si tratta di un risultato molto difficile da raggiungere per le profonde modifiche di se stessi che esso implica in virtù di quanto espresso in precedenza sui MMR e che pertanto non sembra attuabile nel breve periodo e nelle attuali condizioni. Al contrario, ciò che può essere previsto nell’immediato – e che sembra già in atto costituendo motivo di pessimismo – è lo scontro fra gli SMR di gruppi sociali diversi, pressoché stabilizzati da secoli, scontro che porta all’esasperazione delle tante, piccole e grandi, differenze trovatesi a confronto improvvisamente e non sempre volutamente in luoghi dove si professano fedi diverse da quelle delle culture in cui si è vissuti.
Un elemento di ottimismo per una possibile efficace mediazione in un futuro sperabilmente non troppo remoto – ma sicuramente al di là del tempo di una breve vita umana – può, tuttavia, essere tratto dalla considerazione che, come già espresso prima, gli SMR sono stabili solo temporaneamente e, per quanto con lentezza, vanno via via evolvendosi sulla base di fenomeni occasionali che, sfuggendo alla statistica della ‘normalità’, permettono di superare le ortodossie imperanti per avanzare verso una maggiore uniformità di giudizi e di costumi; equilibrio a cui tende inevitabilmente la continua interazione fra genti originarie di culture e di fedi diverse che per lunghi periodi di tempo abitino ambienti omogenei e usufruiscano di uguali strumenti nella vita quotidiana.
Nell’articolo di Marco Ventura, che è alla base delle valutazioni di questo come di altri interventi del precedente e del presente numero di Dialoghi Mediterranei, l’autore riferisce del progetto di realizzare uno spazio comune a tre luoghi di culto, con una chiesa, una sinagoga e una moschea a contatto, dove
«[…] far cadere i muri tra le religioni monoteistiche, […] abbattere le barriere tra fedi in nome di una religione aperta, tollerante, senza riserve sull’eguaglianza tra uomo e donne, sui diritti degli omosessuali e sul dialogo tra fedi diverse” come “segno, l’ennesimo, dell’inizio di una nuova super-religione». (Ventura, 2016)
Data la brevità dell’articolo, non è dato sapere cosa l’autore intenda esattamente per super-religione, al di là dell’abbattimento di note e discusse barriere su temi certamente molto importanti, ma necessariamente contingenti in quanto riferibili alla nostra epoca presente. In un’ottica kepleriana che non prevede limiti di tempo, la presente situazione di globalizzazione delle conoscenze, con le epocali trasmigrazioni dei popoli facilitate dalla pervadente tecnologia delle comunicazioni e dei trasporti che favorisce il vivere in comune – virtualmente o fisicamente – per lungo tempo, non può non facilitare l’abbattimento progressivo prima dei muri dell’intransigenza e poi l’omologazione progressiva delle tradizioni, finendo per mettere in evidenza solo i valori fondamentali ai quali aderisce ogni religione; una mediazione che potrebbe culminare in una, forse utopica, super-concentrazione delle fedi monoteiste in un unico gruppo – una super-religione appunto – dove, superate le diffidenze reciproche e le tensioni dovute alle difficoltà di conciliazione delle differenze teologiche e ai conflitti storici, condivida una certa uniformità di valutazione e di costumi rituali, con le differenziazioni e i radicalismi a più piccola scala temperati e perciò stesso meno conflittuali.
Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017
Note
[1] Il termine ‘caotico’ è qui inteso in senso matematico e si riferisce alla caratteristica scientifica di sistemi complessi a molti parametri dal comportamento non lineare, pertanto sensibili a variazioni anche minime delle condizioni iniziali, che rendono gli stati successivi del sistema tanto più imprevedibili quanto più a lungo nel tempo si cerca di stabilirne la direzione (es. caso delle previsioni meteo).
[2] Per quanto riguarda le tre religioni monoteiste, è noto, ad esempio, che a) nell’ebraismo vigono punti di vista diversi sul concetto di onniscienza di Dio, b) il Cristianesimo è diviso fra importanti e organizzate suddivisioni (Cattolici, Protestanti, Ortodossi, Anglicani) oltre a innumerevoli altre differenziazioni nella pratica rituale e c) nell’Islam convivono conflittualmente sciiti e sunniti e relative suddivisioni (zayditi, ismailiti e imamiti per i primi e hanafiti, malikiti, shafi’iti e hanbaliti per i secondi) oltre a molte altre famiglie e scuole.
[3] La popolazione aderente alle cinque maggiori religioni (Cristianesimo, Islamismo, Induismo, Buddismo, Taoismo) ammonta a circa l’80% degli abitanti del mondo (dati di Wikipedia).
[4] Per la definizione del termine ‘eresia’ mi riferisco al Treccani che cita: «idea o affermazione contraria all’opinione comunemente accettata» e al De Mauro che cita: «opinione in contrasto con ideologie ufficiali». Il concetto di ‘eresia’ può essere usato in ogni campo della cultura, laddove vige un’ortodossia di pensiero e di costumi che venga superata con nuove e fortemente contrastanti visioni. Sono anche da considerare le ‘eresie’ in direzione negativa, che hanno prodotto drammatiche involuzioni e disastri nella storia dell’uomo.
[5] Un significativo esempio nel contesto del nostro discorso è costituito dalla vicenda di Akhenaton, il faraone eretico che già nel 1370 a.C. tentò senza successo, per la feroce opposizione dei sacerdoti di Amon fedeli alla tradizione politeista, il culto di Aton, un Dio unico paladino dell’amore e dell’uguaglianza, improponibile per quei tempi (Mahfuz, 2001).
Riferimenti bibliografici
Rosolino Buccheri, La dualità dell’uomo tra fede e scienza. Dalla neurofisiologia alla letteratura, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 19, maggio 2016.
Rosolino Buccheri, L’origine della vita fra fisica e metafisica, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 21, settembre 2016.
Mauro e Rosolino Buccheri, Evolution of Human Knowledge and the Endophysical Perspective, in Endophysics, Time, Quantum and the Subjective, World Scientific Publishing Co., 2005
Kenneth Craik, The Nature of Explanation, Cambridge University Press, 1943
Margherita Hack, Pippo Battaglia, Rosolino Buccheri, L’idea del Tempo, Cap. IX, UTET, Torino, 2005.
William James, The varieties of the religious experience, Longmans, London, 1902, Cap. III
Philip N. Johnson-Laird, Modelli mentali, Il Mulino, Bologna, 1988 (titolo originale Mentalmodels. Towards a Cognitive Science of Language, Inference and Consciousness, Cambridge University Press, 1983)
Johannes Kepler, Somnium. Opera postuma sull’astronomia lunare, Edizioni Theoria, Napoli, 1984
Nagib Mahfuz, Akhenaton, il faraone eretico, Newton & Compton, Roma, 2001
Jacques Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970
Giorgio Montefoschi, Fiamma Nirenstein, Un solo Dio, tre verità. Arabi, ebrei e cristiani: l’enigma della fede, Mondadori, Milano, 2001.
Ilya Prigogine, Isabelle Stengers, La Nouvelle Alliance. Metamorphose de la Science, Einaudi, Torino, 1981.
Marco Ventura, Per una super religione, La lettura-Corriere della Sera, 10 luglio 2016
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Rosolino Buccheri, già Dirigente di Ricerca del CNR in Astrofisica e Fisica Cosmica, direttore dell’Area della Ricerca CNR di Palermo e docente di Istituzioni di Fisica Nucleare e di Storia del Pensiero Scientifico all’Università di Palermo. Ha rappresentato l’Italia alle missioni spaziali della NASA e dell’E.S.A. e annovera la scoperta della prima pulsar binaria superveloce. È autore di oltre duecento pubblicazioni, coautore del libro L’idea del Tempo con Margherita Hack e co-curatore di diversi libri. È Accademico dell’Accademia Siciliana dei Mitici e Presidente dell’Associazione di Astrofili ORSA.
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Articolo molto profondo e ben informato. Condivido naturalmente tutto il contesto, ma dubito che il riferimento dei religiosi a testi sacri, che non arriverò mai a ritenere
rivelati, consentirà mai di elevarsi a qualcosa di universale. Purtroppo le religioni generalmente si sono evolute solo dopo il loro crollo.
Non so cosa Lei intende per ‘qualcosa di universale’; per me vuol dire solo migliorare al massimo possibile le proprie conoscenze e riuscire ad integrare in modo coerente con le proprie intuizioni. È umanamente il massimo che si può fare e, di fatto, solo alcuni grandi ci sono arrivati vicini con le loro opere: opere laiche ma anche religiose come i testi sacri.