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Da borghi “dimenticati” a borghi “ritrovati”

 Chiapporato, particolari (ph. Bertinotti)

Chiapporato, particolari (ph. Bertinotti)

di Luca Bertinotti 

Stime più o meno attendibili riportano che fra i 6000 paesi abitati da meno di 5000 persone (il 70% dei comuni d’Italia) circa la metà sono completamente o quasi totalmente deserti. È pensiero comune che a questa seconda categoria, quella dei paesi abbandonati, appartengano circa mille insediamenti.

Sono stati realizzati o sono tuttora in corso alcuni progetti di catalogazione di borghi spopolati, con estensione territoriale più o meno ampia, promossi da enti accademici (es. Geografie dell’abbandono del DPA-Politecnico di Milano e della Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno) o da associazioni composte da professionisti di ambito lavorativo vario (es. I borghi abbandonati della Calabria dell’Associazione Map Design Project), tuttavia non risulta che esista ad oggi un conteggio ufficiale, certo e compiuto su scala nazionale, degli agglomerati urbani disabitati, dalle cittadine fino alle frazioni.

D’altra parte, lo si nota comunemente anche navigando nel web, la confusione anche solamente in merito alla definizione stessa dei termini del fenomeno è tanta e talvolta difficile appare la delimitazione dei confini di ricerca anche per coloro che si occupano di paesi abbandonati. A questo proposito, mentre non crea imbarazzo l’inserimento di luoghi costituiti da molti edifici tutti totalmente disabitati, ancor più se l’accesso è interdetto da un’ordinanza amministrativa (Craco nel comune di Matera), come si stabilisce il numero minimo di edifici che deve avere un gruppo isolato di case per inserirlo nella categoria dei borghi abbandonati? È ovviamente impensabile allargare i criteri di inclusione anche alle strutture abitative isolate in abbandono (le cascine della Pianura Padana o le coloniche toscane ne sono un classico esempio).

Un errore molto comune è poi quello di allargare la già numerosa famiglia dei paesi abbandonati comprendendo borghi che totalmente abbandonati non sono: Civita di Bagnoregio, il celebre “paese che muore”, ne è un classico esempio.

 Il borgo di Chiapporato, nel comune di Camugnano (BO), in prossimità del confine con la Toscana (ph. Bertinotti)

Il borgo di Chiapporato, nel comune di Camugnano (BO), in prossimità del confine con la Toscana (ph. Bertinotti)

Inoltre, con eccessiva leggerezza viene spesso dichiarata la morte demografica di cittadine il cui centro storico è effettivamente abbandonato e in rovina, ma che invece conservano, ad esso contigui, quartieri più o meno riccamente abitati: Maratea (PZ), Brienza (PZ), Senerchia (AV), Celleno (VT) sono solo alcuni dei vari paesi che appartengono a questa categoria di mezzo.

Oltre a queste realtà dal nucleo moriente, ma che ancora sopravvivono grazie alla periferia che, seppur con difficoltà, resiste, val la pena poi di fare una riflessione ancora su altre due particolari situazioni di abbandono. Della prima fanno parte i paesi “neo-abbandonati”, stravolti e desertificati in epoca a noi molto prossima da terremoti (vari luoghi nel Centro Italia, in anni recenti) o da movimenti franosi (Cavallerizzo di Cerzeto nel cosentino). Il loro destino non è semplice da indovinare, anche se,almeno in qualche caso, si può sperare che si realizzerà un ritorno degli abitanti.

L’altra peculiare categoria di abbandono è quella dei borghi, spopolatisi in passato, le cui abitazioni in epoca recente sono state ristrutturate, totalmente o in buona parte, e che oggi vengono utilizzate nei periodi primaverili ed estivi (Cappia e Succinto nel torinese, Montefatucchio in provincia di Arezzo e molti altri), restando invece deserte nelle altre stagioni.

I borghi abbandonati vengono, poi, comunemente denominati anche “paesi fantasma”. Contrariamente a quel che suggerisce il termine, coloro che ne hanno dimestichezza per antica conoscenza, per memoria familiare o per semplice curiosità personale sanno bene che, in realtà, di sovrannaturale questi posti possiedono ben poco. Invece, superato l’impatto emotivo iniziale, che risulta spesso assai intenso e non sempre positivo per le recondite paure che la visita ad un luogo abbandonato istintivamente suscita, chi prosegue nell’ardire di visitare questi templi della memoria si accorge ben presto che non sussistono particolari pericoli, eccezion fatta ovviamente per lo stato precario delle architetture. Piuttosto, la frequentazione dei borghi abbandonati svela gradualmente all’occhio allenato il pacato fascino di questi luoghi e permette di cogliere aspetti, dettagli, tracce, immagini che evocano l’esistenza passata degli antichi loro abitanti.

Lasciando da parte però le suggestioni poetiche, ci rendiamo conto che quello dei borghi dove la popolazione residente risulta pari a zero, è un argomento in apparenza di scarsa importanza per la nostra nazione e per le sue istituzioni che, ogni giorno, si trovano a far fronte a ben altre e più pressanti questioni.

Ciononostante, proprio nel corso dell’anno corrente, il Governo ha iniziato a rivolgere maggiore attenzione nei confronti dei piccoli insediamenti urbani e, perciò, anche dei paesi in via di abbandono, se non già spopolati. Il 2017 è stato dichiarato, infatti, “l’Anno dei Borghi” dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in occasione del convegno La valorizzazione del patrimonio naturalistico, umano, culturale e artistico dei Borghi Italiani, tenutosi a Roma lo scorso febbraio. In più, risale a pochi mesi fa l’approvazione della cosiddetta Legge sui piccoli Comuni (Legge n. 158 del 6 ottobre 2017), il primo, seppur timido, passo verso la conservazione dei centri con una popolazione inferiore a 5000 abitanti.

Perciò, cavalcando l’onda di questo nuovo interesse generale nei confronti dei borghi abbandonati, testimoniato anche dalle numerose pubblicazioni editoriali nate soprattutto in anni recenti (vedasi in bibliografia), proviamo a definire i punti salienti del fenomeno per farne emergere la complessità, l’importanza e gli eventuali aspetti d’interesse.

Infine, si comunica che il tema trattato verrà ripreso e approfondito in occasione di un convegno che si terrà prossimamente a Pistoia.

Chiapporato, la piazzetta del paese (ph. Bertinotti).

Chiapporato, la piazzetta del paese (ph. Bertinotti)

Introduzione

Nel nostro Paese il cambiamento delle abitudini sociali, avvenuto dal secondo dopoguerra in poi, complice il boom economico e le migliori condizioni di esistenza che una ‘vita in città’ e il ‘lavoro in fabbrica’ garantivano, ha portato ad una trasformazione radicale del modo di vivere della collettività. Il profondo mutamento, avvenuto in un lasso di tempo molto, troppo breve, tra le altre cose, ha portato al rapido abbandono delle località dall’economia poco redditizia o troppo inospitali, zone montane, in primis, che rappresentano il 40% del territorio nazionale e dove dal XVI secolo fino ai primi decenni del 1900 la crescita demografica delle comunità stanziali era stata continua. In altre parole, «se la popolazione italiana negli ultimi 60 anni è cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse circa 900mila»(Cerea, 2016).

Luoghi che prima garantivano la sopravvivenza, secondo le regole della vecchia e frugale economia di sussistenza, improvvisamente non sono risultati più idonei a sostenere le esigenze di guadagno della società del consumo. I nuovi principi della civiltà moderna hanno, perciò, trasformato in posti invivibili territori dove il rapporto reddito/fatica del lavoro non fosse nettamente positivo.

Dalla metà del secolo scorso, il settore secondario (quello delle attività industriali) e il terziario (quello dei relativi servizi economico-finanziari) hanno sancito il crepuscolo dei molti mestieri legati al settore primario (agricoltura, allevamento, pastorizia, selvicoltura, pesca, attività mineraria e via dicendo), facendo sì che intere generazioni native delle aree rurali e montane si trasferissero definitivamente in pianura, nelle sempre più affollate realtà urbane. Riferendosi alla zona di maggior conoscenza dello scrivente, l’Appennino Tosco-Emiliano e, più in particolare, la Montagna Pistoiese, l’emorragia è tuttora costantemente in atto (Perulli, 2010).

Ovviamente, la perdita dell’umanizzazione della montagna, così come di buona parte della campagna, porta con sé svariate conseguenze, alcune più immediate e altre a medio-lungo termine.

Fra le prime, la disgregazione sociale dei piccoli centri abitati ha cancellato tradizioni, usanze e costumi. Fra i molti temi, ne citiamo solo alcuni: le manifestazioni della pietà popolare, le specificità agro-alimentari, l’abbigliamento tradizionale, le feste, le celebrazioni, i canti popolari, fino alla medicina tradizionale e ai riti di origine pagana. La cultura e il folklore locali solo in qualche caso continuano ad essere preservati – in tutt’altra forma rispetto all’originale – da istituzioni museali o produzioni editoriali e cinematografiche. Ovviamente, si potrebbero indicare molti virtuosi esempi. Qui ricordiamo il Museo della Civiltà Montanara di Sestola (MO), il Museo della Civiltà Contadina di Larciano (PT); fra i testi, le opere di Nuto Revelli, Il popolo che manca e Il mondo dei vinti; fra le produzioni cinematografiche, L’Albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi.

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Chiapporato, iscrizione su muro esterno (ph. Bertinotti)

Inoltre, la partenza dei più giovani ha fatto sì che l’età media dei paesi in via di abbandono si alzasse vertiginosamente: ormai solo gli anziani continuano ad abitare alcune zone d’Italia, che sono dunque destinate ad alimentare la già ricca schiera dei paesi abbandonati.

Infine, negli ultimi 50-70 anni, in qualche modo legato al fenomeno del consumismo, si è determinato un generale imbarbarimento della società, che ha ribaltato il detto “usa le cose e ama le persone”, finendo per portare ad “amare le cose e usare le persone”. Benché in modo meno accentuato rispetto alle città, questo sta accadendo anche in molti paesi posti in zone disagiate, dove si è perso il senso di comunità e la naturale tendenza ad aiutarsi vicendevolmente nei momenti di difficoltà, qualità che caratterizzava da sempre le piccole collettività.

Fra gli effetti di medio-lungo termine dello spopolamento, invece, si mettono in evidenza soprattutto:

1) L’aumentato rischio idro-geologico, non limitato soltanto alle zone interessate dall’abbandono. Già nel 1948 Manlio Rossi-Doria affermava che «la morte degli insediamenti umani in montagna potrebbe significare l’inizio di grandi rovine nei luoghi dove le attività umane si esercitano e si concentrano» (D’Angelis, 2015). Alla mancata cura dei terrazzamenti e delle opere di canalizzazione delle acque, infatti, conseguono spesso cedimenti dei terreni, frane, danni alle vie di comunicazione (strade, mulattiere, sentieri) fino a portare alla loro inagibilità, nonché allagamenti e inondazioni nelle zone abitate poste a valle a causa dei corsi di acqua non più regimentati.

2) Il rimboschimento, quando guidato da rigorose politiche mirate, determina indubbi benefici quali il rallentamento dell’erosione del terreno, la protezione da inondazioni e da valanghe, la ricostituzione della biodiversità, la riduzione dell’effetto serra. Se invece esso avviene in modo naturale, prendendo, cioè, selvaggiamente il posto di coltivazioni e di pascoli abbandonati, porta con sé notevoli problematiche ambientali, come il pericolo di incendi o di malattie parassitarie che rischiano di divenire incontrollabili a causa della fitta densità forestale; la maggior suscettibilità di caduta degli alberi durante le bufere per “effetto domino”; la perdita dei prati d’altura per il pascolo; la scomparsa dei terreni adatti alla coltivazione; la modifica dell’habitat che determina l’incremento delle risorse trofiche e il conseguente aumento della fauna selvatica (suidi, canidi, ungulati). Quest’ultimo aspetto comporta una maggior invasione delle zone antropizzate da parte delle diverse razze di animali, che, andando alla ricerca di cibo, danneggiano le attività agricole e pastorali, oltre ad essere corresponsabili di incidenti stradali spesso dalle serie conseguenze (Giornata di studi dell’Accademia dei Georgofili: Irrazionali danni da fauna selvatica all’agricoltura e all’ambiente, Firenze, 20 maggio 2014).

3) La trasformazione in rovine del patrimonio architettonico dei villaggi disabitati ad opera degli agenti atmosferici e la perdita, dunque, delle peculiarità strutturali, funzionali ed estetiche degli insediamenti un tempo popolati. Notevole interesse rivestono l’ingegno e l’originalità con cui gli abitanti riuscivano a superare le asperità dei luoghi per la fondazione dei villaggi, l’adattamento e l’integrazione dei fabbricati umani all’interno del territorio scelto, che veniva sfruttato al meglio, valorizzandolo e mai deturpandolo, poiché sostentamento primario per la popolazione residente. Tutti questi aspetti determinano la particolarità e l’irripetibile unicità di un paese abbandonato rispetto ad un altro.

È forse superfluo ricordare, inoltre, che l’abbandono di un territorio ne riduce inevitabilmente il potenziale turistico, che, secondo la logica del circolo virtuoso, al contrario, dovrebbe essere incentivato, con intelligenza, in considerazione del crescente interesse per il cosiddetto ecoturismo. In tale direzione va la “Carta per il turismo sostenibile” approvata già nel 1995 in occasione della prima Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile con finalità di indicare le regole per un turismo ‘intelligente’.

Questo nuovo modo di ‘fare vacanza’, il “turismo minore”, è in costante crescita in Italia e, più in generale, in Europa, e si tiene lontano dalle località scelte dal “turismo di massa” negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso (grandi città storiche, celebri zone montanare e balneari, siti d’arte e archeologici di grande fama), preferendo itinerari di trekking, in bicicletta o a cavallo in aree rurali; visite a parchi naturali, aree protette o a siti archeologici posti lontano dalle zone urbane; percorsi enogastronomici spesso arricchiti da finalità educative riguardanti gli aspetti naturalistici della zona visitata o le caratteristiche demo-etno-antropologiche dei suoi abitanti; rotte che percorrano antiche strade di transito (Vie Francigene, Via del Sale, Via degli Abati, etc…) alla riscoperta degli aspetti ecologici, culturali o religiosi dei vari posti raggiunti e visitati.

Il buon proposito di tutto ciò riguarda la destinazione dei ricavi, in massima parte trattenuti dalle comunità locali che possono così autosostenersi in armonia con l’ecosistema in cui si trovano.  Tutto questo è ecoturismo, o turismo ecologico, «un modo di viaggiare responsabile in aree naturali, conservando l’ambiente in cui la comunità locale ospitante è direttamente coinvolta nel suo sviluppo e nella sua gestione, ed in cui la maggior parte dei benefici restano alla comunità stessa», secondo la definizione dell’International EcoTurism Society.

Spesso l’ecoturismo abbraccia, infatti, anche i principi dell’ecosostenibilità e viene, cioè, attuato secondo attente strategie di conservazione dell’ambiente e di gestione e di protezione delle risorse naturali, rispettando la compatibilità turistica e il livello di ricettività del luogo. 

 Chiapporato, interno di casa (ph. Bertinotti).

Chiapporato, interno di casa (ph. Bertinotti)

Perché un paese muore?

Torniamo a parlare di borghi spopolati. Mentre le cause di abbandono sono molteplici, le modalità temporali sono di certo solo due: lenta o rapida. Un paese può morire lentamente perché non lo hanno mai raggiunto vie di comunicazione più idonee a rendere agevoli i collegamenti col resto del mondo (Savogno in Lombardia o Lavacchielli in Emilia Romagna). Oppure un paese può morire mentre il terreno su cui è stato fondato diviene franoso per cause naturali (Roscigno Vecchia in Campania) o artificiali (Castelnuovo dei Sabbioni in Toscana) o perché troppo umido (Tratalias in Sardegna) e ne inizia a corrodere i basamenti. In qualche caso è poi il mare ad affermare la propria potestà territoriale sugli insediamenti umani (Costanziaco ed Ammiana nella Laguna Veneta). Esiste poi l’abbandono dei paesi minerari (Ingurtosu e Naraculi e molti altri in Sardegna, Rocca San Silvestro in Toscana): quando i filoni si esauriscono, miniera e relativo paese vengono abbandonati, soprattutto se situati in luoghi disagevoli.

Ma un paese può morire anche in modo subitaneo, se un terremoto (Poggioreale in Sicilia) o un improvviso smottamento del terreno (Craco e Campomaggiore Vecchia in Basilicata) ne danneggiano le abitazioni tanto da renderle completamente inabitabili; se una valanga di massi e di terra, staccatasi dalle montagne sovrastanti, lo ricopre (Zambana Vecchia in Trentino Alto Adige); se lo sommergono le acque impazzite di un fiume che straripa (California in Veneto, Africo e Roghudi in Calabria) o di un lago che esonda (Stramentizzo in Trentino Alto Adige); se viene incendiato (Camerata Vecchia nel Lazio) o bombardato (San Pietro Infine in Campania o San Paolo in Alpe in Emilia Romagna) o, infine, se viene sommerso per creare un lago artificiale (Fabbriche di Careggine in Toscana, Curon Vecchia in Trentino Alto Adige). Anche un’epidemia di vaste proporzioni può decimare tanto la popolazione di un centro cittadino da renderlo inabitato (Galeria Antica nel Lazio) e farlo poi abbandonare per sempre.

Qualche volta, infine,è meno facile capire perché il borgo sia andato deserto (Toiano in Toscana e Case Scapinie Cjà Ronc in Emilia Romagna) e, in mancanza di testimonianze dirette o indirette, si possono formulare soltanto ipotesi difficili da verificare.

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Chiapporato, esterno (ph. Bertinotti)

Rovine e macerie. Comunemente i due termini vengono utilizzati indifferen- temente. Tuttavia fra le due parole sussiste una certa differenza di significato. Con “rovine” si indicano i resti di singole o di molteplici costruzioni edilizie la cui struttura è ancora ben riconoscibile sebbene consumata dal naturale deterioramento causato dal tempo, dagli agenti atmosferici e dalla mancata cura dell’uomo. Il secondo termine, “macerie”, viene, invece, più propriamente usato in caso di edifici crollati o abbattuti per mano dell’uomo (bombardamento ad es.) o per improvvisi eventi catastrofici naturali (terremoti, alluvioni, etc…) che li hanno ridotti a resti informi. In ogni caso, rovine e macerie hanno catturato l’interesse dell’uomo da sempre e in tutte le epoche (vedasi la voce “Rovinismo” nell’Enciclopedia online Sapere.it) fino a raggiungere il loro massimo fra il 1700 e il 1800, nell’esaltazione che ne fece il Romanticismo. Tuttavia, anche in epoca recente, il luogo abbandonato è un’occasione di riflessione che suscita immancabilmente molto interesse. Interesse in marcata crescita, peraltro, negli ultimi anni, sia fra gli studiosi competenti che fra i profani.

A livello accademico non esiste una disciplina unica che studi in modo omnicomprensivo tutti gli aspetti del fenomeno dell’abbandono dei luoghi abitati. L’argomento viene, infatti, scorporato in differenti settori di studio ed è trattato – raramente raggiungendo il podio dell’interesse scientifico – da storici, antropologi, sociologi, geografi, urbanisti, geologi, economisti. Fra tutti quelli citati forse i più attivi sul tema sono gli antropologi e in particolare i demo-etno-antropologi, anche se per tali studiosi sono di maggior interesse, rispetto a quelli spopolati, i paesi in via di abbandono, dove ancora può essere efficace un’opera di valorizzazione delle tradizioni e delle usanze locali nel tentativo di recuperare l’integrità delle comunità ivi residenti. L’apripista nel mondo accademico è stato il lavoro sistematico di Vito Teti: un’estesa ricerca, condotta per vari anni sui paesi abbandonati della Calabria, poi divenuta un importante libro, Il senso dei luoghi (Teti, 2004) seguito dal più recente Quel che resta (Teti, 2017), testi che rappresentano senza dubbio un punto di riferimento per lo studioso che si interessa seriamente di “abbandonologia”, un cacofonico neologismo che ha il merito di essere facilmente compreso e che comunque non ha trovato per ora un degno sostituto.

Sicuramente il tema dei paesi disabitati e, più in generale, dei luoghi abbandonati suscita poi un grande interesse, per l’intrinseco fascino che possiede, sia in ambito letterario (poesia, letteratura romanzesca) che artistico (fotografia, cinematografia, pittura). Esiste, infine, un coacervo fatto da professionisti, spesso con impieghi lavorativi di tutt’altro ambito, e da semplici appassionati che si dedicano al tema dei borghi abbandonati forse non con gli strumenti culturali adeguati, ma senz’altro con una passione non meno intensa rispetto ai cattedratici. A nostro modesto parere, essi sono il motore che spinge l’interesse generale verso la riscoperta e la valorizzazione dei luoghi in abbandono.

Tanto per portare qualche esempio, sono varie le iniziative di recupero di borghi in via di spopolamento o già disabitati attuate non solo da importanti enti con alti scopi culturali e didattici (su tutte la Fondazione Nuto Revelli, che ha recuperato la Borgata Paraloup),ma anche da più modeste ma operosissime associazioni amatoriali, fortemente legate al proprio territorio, che hanno salvato o stanno tentando di salvare vari luoghi da sicura distruzione. Fra le tante, rammentiamo solo le alcune, scusandoci con quelle non citate: il Centro Occitano di Cultura “Detto Dalmastro” per Narbona, il Progetto Campo Carlo nato per Praglasso, l’Associazione Amici di Laturo, per l’omonimo borgo teramano, la Comunità Montana Bussento Lambro e Mingardo a San Severino di Centola.

Ancora, soprattutto per meriti divulgativi sull’argomento, occorre ricordare che esistono vari siti internet, a carattere non accademico, ma tuttavia piuttosto rigorosi, che godono di un ampio seguito da parte di chi si occupa della materia. Assai noto nella rete è Paesi Fantasma di Fabio Di Bitonto. Ci sono, poi, Paesi Abbandonati di Paolo De Lorenzi, che descrive soprattutto i borghi perduti dell’Appennino ligure e piemontese; Dove comincia l’Appennino, ricco di notizie sui paesi abbandonati appenninici; Sardegna Abbandonata per i villaggi fantasma dell’isola; Desertis Locis dell’omonima Associazione presieduta da Maggy Bettolla, specializzata anche in visite guidate a ville abbandonate, periodicamente aperte col permesso dei proprietari. Altri siti che trattano, seppur meno direttamente, il nostro argomento sono A un passo dalla vetta, Sentieri d’autore, Gulliver, Sentieri Natura. Infine, non meno presente, soprattutto nel social network Facebook, è il tema, trattato nei vari gruppi Paesi fantasmi in Italia, Borgi Abbandonati, Paesi abbandonati, l’Italia dei apesi fantasma, Ghotst- città fantasma e borghi abbandonati.

Per ciò che riguarda,inoltre, le produzioni editoriali, citiamo in particolare le due opere di Antonio Mocciola, Le vie nascoste del 2011 e Le belle addormentate del 2015, che, uniche di respiro nazionale, per questo motivo primeggiano sui numerosi e validissimi testi citati in bibliografia.

Infine, fra i non molti eventi dedicati al tema dell’abbandono, se ne ricordano alcuni svoltisi recentemente. Nel luglio del 2011 si tenne a Paraloup (CN) il primo Festival nazionale del ritorno ai luoghi abbandonati, ideato e ospitato dalla Fondazione Nuto Revelli in collaborazione con l’Università della Calabria, le comunità provvisorie dell’Irpinia, il movimento per la ricostruzione dell’Aquila e numerose altre associazioni (successivamente a questo evento è nata nel 2013 la Rete del ritorno ai luoghi abbandonati). Inoltre, in una delle varie sessioni del XXXII Congresso Geografico Italiano, svoltosi a Roma dal 7 al 10 giugno 2017, si è parlato di paesi abbandonati in Italia e all’estero (Luoghi abbandonati, luoghi ritrovati. Percorsi in Italia e altrove).

 Chiapporato, particolare (ph. Bertinotti)

Chiapporato, particolare (ph. Bertinotti)

La ‘9cento e i paesi “fantasma”

Fin dalla sua nascita, una delle attività prioritarie della Associazione 9cento,  associazione storico-culturale con sede a Pistoia, è stata la riscoperta e la valorizzazione – non solo in senso fotografico – del patrimonio dei paesi abbandonati dello Stivale (Vedasi nella sezione “Alcuni argomenti” sotto la voce Paesi abbandonati).

Ad oggi sono 357 i borghi a popolazione residente zero che sono stati visitati. Essi sono distribuiti nel ventaglio delle 20 regioni italiane in modo difforme, come mostra la Tabella 1. Pur essendo attinente alla nostra personale esperienza, si può dire che la rappresentazione grafica rispecchi abbastanza fedelmente la realtà italiana complessiva, eccezion fatta per Liguria, Emilia Romagna e Toscana che vengono ampiamente sottostimate. La ricerca è infatti ancora in corso e l’autore ha preferito dare la precedenza innanzitutto alle regioni più lontane rispetto al proprio luogo di residenza.

-Una-sintesi-dei-paesi-abbandonati-visitati-dall’autore-durante-il-settennio-di-ricerca-2010-–-2017.-Il-grafico-mostra-la-numerosità-dei-borghi-visitati-suddivisi-per-regione.

Una sintesi dei paesi abbandonati visitati dall’autore durante il settennio di ricerca 2010–2017. Il grafico mostra la numerosità dei borghi visitati suddivisi per regione

Un convegno nazionale

La vasta rete di contatti intessuta nel corso dei sette anni di viaggi e ricerche, nonché la mole di dati raccolti, ci ha indotti ad organizzare un convegno di dimensioni nazionali che riunirà accademici di più discipline di studio ed amatori che si occupano a vario titolo dei borghi abbandonati. Fra gli obiettivi primari si hanno quelli di riunire per la prima volta un numero consistente di studiosi che s’interessano, a vario titolo di ricerca, direttamente o indirettamente, di borghi in abbandono (antropologi, sociologi, storici, architetti, geografi, geologi, storici dell’arte, economisti e altri ricercatori a vario titolo); in secondo luogo si vuole estendere l’invito a rappresentanti di alcune delle associazioni che hanno permesso il recupero di paesi fantasma, ad artisti (poeti, narratori, pittori, fotografi, registi cinematografici), amatori (escursionisti, mountain bikers, etc..) e, inoltre, semplici curiosi dell’argomento.

I risultati attesi sono quelli di far conoscere questa Italia “minore” alle Istituzioni e alla gente comune, suggerire la possibilità di un turismo sano e responsabile dei borghi spopolati ed incoraggiare la realizzazione di opere di salvaguardia e recupero delle strutture architettoniche in abbandono così come delle caratteristiche demo-etno-antropologiche e culturali locali. Non ultimo, è speranza dello scrivente che tale evento possa invogliare anche altri ad organizzare futuri aggiornamenti sul tema in differenti zone d’Italia.

Dialoghi Mediterranei, n.29, gennaio 2018 
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Scacchia Sergio, Silenzi di pietra. Ghost Town, chiese e tratturi tra Laga e Sibillini, Demian, Teramo, 2010.
Scaglia Valentina, Wilderness in Italia. A piedi nei luoghi del silenzio, Hoepli, Milano, 2016.
Scillitani Alessandro, I viaggi di Paolo Rumiz: Le Dimore del Vento [Documentario], Tico Film Company, 2016.
Tarpino Antonella, Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi, Torino, 2008.
Tarpino Antonella, Il paesaggio fragile. L’Italia vista dai margini, Einaudi, Torino, 2016.
Tarpino Antonella. Spaesati: Luoghi dell’Italia in abbandono tra memoria e futuro, Einaudi, 2016.
Teti Vito,  Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei paesi abbandonati,  Donzelli, Roma, 2014.
Teti Vito, Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni, Donzelli, Roma, 2014.
Vaschetto Diego, Borgate fantasma del Piemonte, Edizioni del Capricorno, Torino, 2017.
Villano Domenico,  L’utopia come pratica. Alla scoperta di ecovillaggi e comunità intenzionali, Domenico Villano, Salerno, 2017.
Vulpio Carlo, L’Italia nascosta, Skira, Milano, 2016.
Weisman Alan,  Il mondo senza di noi, Einaudi, Torino, 2008.
Zampetti Emanuele, Le città perdute del Lazio…e i loro segreti, Eremon, Latina, 2009.
Zanardi Cristiano, I Villaggi di Pietra. Alla scoperta di un mondo antico, Blurb, Venezia, 2014.
Filmografia
Videoproduzioni contenenti scene riprese all’interno di paesi abbandonati o quasi abbandonati (adattata ed estesa attingendo prevalentemente dal sito Paesi Fantasma)

Castelnuovo dei Sabbioni (AR):

Ivo il tardivo (1995) di Alessandro Benvenuti
Il mondo morto (2004), di Fabrizio Bonci e Caterina Scala

Civita di Bagnoregio (VT):

Amici miei (1975) di Mario Monicelli
L’armata brancaleone (1966) di Mario Monicelli
Contestazione generale (1969) di Luigi Zampa
I due colonnelli (1962) di Steno (Stefano Vanzina)
Il nome della rosa (1986) di Jean-Jacques Annaud
Non ci resta che piangere (1984) di Roberto Benigni e Massimo Troisi
Pinocchio (2009) di Alberto Sironi
La Strada di Fellini
Terra Nostra 2 – La speranza (telenovela)

Consonno (LC):

Figli di Annibale (1998) di Davide Ferrario
Skypocalypse (2013) – seconda stagione – di Mattia Pozzoli e Mattia Ferrari

Craco (MT):

Agente 007 – Quantum of Solace (2008) di Marc Forster
Basilicata coast to coast (2010) di Rocco Papaleo
The Big Question (2004) di Francesco Cabras e Alberto Molinari
Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi (l’arrivo di Carlo Levi a Gagliano)
King David (1985) di Bruce Beresford
La lupa (1953) di Alberto Lattuada
Un medico di campagna (2012) di Luigi Di Gianni
Montedoro (2017) di Antonello Faretta
Murder in the dark (2013) di Dagen Merrill
Nativity (2006) di Catherine Hardwicke
Ninfa plebea (1996) di Lina Wertmüller
Rei do Gado(1996-1997) di de Luiz Fernando Carvalho
Oddio, ci siamo persi il papa (1986) di Robert M. Young
La passione di Cristo (2004) di Mel Gibson (l’impiccagione di Giuda)
Il sole anche di notte (1990) di Paolo e Vittorio Taviani
Il tempo dell’inizio (1974) di Luigi Di Gianni
Terra bruciata (1999) di Fabio Segatori

Canale Monterano (RM):

Arrivederci amore, ciao (2005) di Michele Soavi
Ben-Hur (1959) di William Wyler
Brancaleone alle Crociate (1970) di Mario Monicelli
Guardie e ladri (1951) di Mario Monicelli e Steno (Stefano Vanzina)
I misteri della città eterna - puntata 4, Canale Monterano (luglio 2005) di Media Dab
Il figlio (2005) del Centro sperimentale di Cinematografia
Il Marchese del Grillo (1981) di Mario Monicelli
Joe Petrosino (2006) di Alfredo Peyretti
La freccia nera (2006) di Fabrizio Costa
La visione del Sabba (1988) di Marco Bellocchio
Le tre rose di Eva – Serie 3 (maggio 2014) diRaffaele Mertes
Sulle ali della pace (2006) dell’Associazione culturale la tribù dell’arte

Case Noas (UD):

Un frèt inviér (2017) di Gianluca Fioritto

Pozzis (UD):

Porca vacca (1980) di Pasquale Festa Campanile

Roscigno vecchia (SA):

Cavalli si nasce (1989) di Sergio Staino
Noi credevamo (2010) di Mario Martone
Radio West (2003) di Alessandro Valori

San Pietro Infine (CE):

The Battle of San Pietro (1943) di John Huston
La Grande Guerra (1959) di Mario Monicelli

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Luca Bertinotti, laureato in Medicina e Chirurgia, lavora presso l’Ospedale pubblico di Pistoia. Ha visitato vari Paesi esteri, prediligendo la fotografia di paesaggio e di viaggio. Da qualche anno ha spostato il suo interesse verso la “fotografia dell’abbandono”: esplorazioni urbane ed extraurbane  per la documentazione e lo studio fotografico di costruzioni dismesse; ricerca e catalogazione dei  “paesi fantasma”. È socio fondatore e Presidente dell’Associazione di promozione culturale ‘9Cento. È autore del volume, Le Croci del Mistero. Origini, sviluppo e declino delle croci della Passione, edito nel 2015. Alcune sue opere fotografiche sono state pubblicate in vari testi.

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5 risposte a Da borghi “dimenticati” a borghi “ritrovati”

  1. Caterina scrive:

    Molto interessante questo articolo , l’ho trovato utile per le ricerche della mia tesi sulla riqualificazione di un paese abbandonato della Calabria l’inserirò nella mia bibliografia sicuramente. Grazie mille

  2. luigi vitelli scrive:

    Ciao Luca, ho appena letto il tuo bellissimo articolo.
    Sono il coordinattore del progetto Storylines -The Lucanian Ways, che si occuperà del rapporto fra emigrazione e spopolamento della Basilicata attraverso un documentario e una video-installazione e che sarà parte del programma culturale ufficiale di Matera -Capitale europea della cultura 2019. Mi tieni informato sul convegno che citavi alla fine dell’articolo? Saremmo molto interessati a partecipare e/o ad interagire. Grazie mille! Luigi

    • Luca Bertinotti scrive:

      Ciao, Luigi. Sarò ben felice di darti tutte le notizie di cui hai bisogno. Sul sito della nostra associazione figura una pagina (attualmente in costruzione) che specificherà lo svolgimento dell’evento e gli aspetti logistico-organizzativi dello stesso.
      Inoltre, senza scendere ancora troppo nel dettaglio, anticipo qui che, tra l’altro, il “linguaggio video-fotografico”, insieme ad altre forme espressive, sarà adottato con particolare piacere durante la due giorni di convegno e affiancherà l’esposizione al pubblico del fenomeno in studio (borghi abbandonati) mediante le relazioni classiche degli oratori. Esse ovviamente verranno mantenute secondo il modello abituale con cui si organizzano le conferenze.
      Per ulteriori delucidazioni e per collaborazione puoi contattarmi per email a:
      associazione9cento@gmail.com. Mi farà piacere! luca bertinotti

  3. Aurora scrive:

    Molto interessante. Complimenti a Luca per la grande passione e per la capacità di analisi in una ricerca tutt’altro che semplice. Mi pare che il lavoro e l’interesse facciano riferimento a luoghi caratterizzati da abbandoni recenti, nel passato recente, dove si conservano ancora memorie materiali, non solo di case, vie e piazze, ma anche di oggetti del vissuto quotidiano.
    I paesi che amo definire parlanti, perchè a differenza degli abbandoni medievali, conservano ancora storie di vita leggibili, emozioni palpabili.
    Ringrazio Luca per avercele trasmesse, anche attraverso le belle foto, ricche di significato.
    Il convegno sarà sicuramente un successo, l’argomento è sensibile!

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