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Lo sguardo illuminista di Edmondo De Amicis sul Marocco

copertinadi Nassih Redouan

Il libro Marocco è considerato quale diario di bordo che Edmondo di Amicis scrisse per narrare il suo viaggio compiuto in Marocco durante l’anno 1875, insieme ad altri personaggi della diplomazia italiana. Edmondo De Amicis è noto per essere l’autore del romanzo Cuore, opera molto popolare per aver veicolato concetti e valori morali come l’importanza della famiglia, dell’amicizia, della lealtà e dell’amore per la patria. Lo scrittore era stato chiamato ad accompagnare una delegazione italiana per visitare il Marocco, grazie all’invito del rappresentante della diplomazia del giovane Stato italiano che si era appena unificato nell’anno 1870, da M. Stefano Scovasso, a quell’epoca Console generale d’Italia a Tangeri.

Edmondo De Amicis (1846-1908), autore che ha dunque legato la sua fama in Italia per i libri di carattere pedagogico, oltre ai numerosi resoconti di viaggi, era nato in Liguria e decise inizialmente di intraprendere la carriera militare partecipando alla battaglia di Custoza e diventando poi giornalista e cronista di guerra. Scrisse a questo proposito il suo primo libro nel 1868, Vita Militare. Raggiunto un certo successo, De Amicis si dedicò esclusivamente alla carriera letteraria. L’opera di maggiore fama è senza dubbio Cuore. Questo romanzo è un insieme di storie volte a educare i figli della nuova nazione italiana, insegnando loro i doveri e i valori attraverso esempi di virtù e di sacrifici.

De Amicis fu soprattutto un moralista e un educatore. Ancora oggi è ritenuto uno scrittore di grande spicco, per la sua scrittura leggera e descrittiva, anche se risulta talvolta retorica e profondamente sciovinista. Le sue opere si caratterizzano per la freschezza e l’attualità nei resoconti dei numerosi viaggi compiuti all’estero. Fra queste narrazioni documentali che hanno acquistato molta importanza presso i critici letterari e gli storici è il libro Marocco. E da questa opera ricaviamo il maggior numero di informazioni sulla missione diplomatica italiana del nostro autore, durante la quale si reca da Tangeri a Fez nella primavera del 1875.

La città di Tangeri, dove sbarcarono e si radunarono i partecipanti a questa ambasceria, era in realtà sede della Legazione Italiana, che si trovava a quel tempo nella piazza del Soco Piccolo (Zoco Chico in spagnolo). A questa missione diplomatica parteciparono, oltre all’autore del libro Marocco, quattro funzionari e due pittori. Il primo, capo della spedizione, era il commendatore Stefano Scovasso, che già a partire dal 1869 si adoperò per dare un ruolo attivo all’Italia in Marocco, tramite trattati di commercio e accordi personali con il Sultano. Ma fino al 1875 nessuna missione diplomatica italiana si era mai recata fisicamente a Fez e si aspettava quindi di essere accolta con grande solennità dal giovane sultano Muley el Hassan I, salito al trono solo nel 1873. Il secondo fu il capo di stato maggiore Giulio di Boccard, che scrisse in questa occasione Considerazioni militari sul Marocco. Questo testo rappresenta un interessante rapporto, corredato di belle carte topografiche, finalizzato alla conoscenza a scopo militare del territorio e delle forze marocchine. Gli altri delegati furono Fortunato Cassone, capitano di vascello e comandante del regio trasporto Dora e Paolo Grande, vice console italiano a Tangeri e i due pittori: il fiorentino Stefano Ussi e il romano Cesare Biseo. Questi due artisti avevano già avuto modo di conoscere il vero Oriente con la loro esperienza diretta in Egitto.

Il libro Marocco nella sua essenza è una specie di relazione di viaggio con dettagli precisi che lo scrittore Edmondo de Amicis ha voluto lasciare come testimonianza per sottolineare il progresso dell’Europa in contrapposizione all’arretratezza di un Paese arabo-musulmano che il Marocco incarnava a quell’epoca. In effetti, quando lo scrittore arrivò nel sud della Spagna, fu difficile per lui nascondere quel sentimento di superiorità della civiltà europea rispetto a un mondo sconosciuto e che stava per scoprire. Le prime pagine, infatti, rendono palese il sentimento di disprezzo con cui l’autore-testimone in prima persona come narratore omodiegetico (Vittorini, 2013:10) descrive Tangeri e paragona tutto ciò che osservava e incontrava con le cose che aveva lasciato alle spalle nel suo continente europeo:

«Lo stretto di Gibilterra è forse di tutti gli stretti quello che separa più nettamente due paesi assai diversi, e questa diversità appare anche maggiore andando a Tangeri da Gibilterra. Qui ferve ancora la vita affrettata, rumorosa e splendida delle città europee; e un viaggiatore di qualunque parte d’Europa sente l’aria della sua patria nella comunanza d’una infinità d’aspetti e di consuetudini» (De Amicis, 1878: 1).

È evidente per qualsiasi lettore che il nostro autore vuole sottolineare in questo rapporto diplomatico il fatto di considerarsi totalmente europeo e di non nascondere questa appartenenza topografica all’Europa. Di conseguenza, questo sentimento dichiarato di attaccamento al mondo occidentale lo rende estraneo alla vita del Marocco, che gli è anche distante e ostile. Per di più, il Marocco, è ritenuto da De Amicis come terra da conquistare o piuttosto da riconquistare, un Paese anticristiano, senza dubbio, nemico della moderna civiltà europea:

«A tre ore di là, il nome del nostro continente suona quasi come un nome favoloso; cristiano significa nemico, la nostra civiltà è ignorata o temuta o derisa; tutto, dai primi fondamenti della vita sociale fino ai più insignificanti particolari della vita privata, è cambiato; e scomparso fin anche ogni indizio della vicinanza d’Europa. S’è in un paese sconosciuto, al quale nulla ci lega e dove tutto ci resta da imparare. Dalla spiaggia si vede ancora la costa europea, ma il cuore se ne sente già smisuratamente lontano, come se quel breve tratto di mare fosse un oceano e quei monti azzurri un’illusione. Nello spazio di tre ore, è seguita intorno a noi una delle più meravigliose trasformazioni a cui si possa assistere sulla terra» (De Amicis, 1878: 1-2).

 Lo sguardo dello scrittore che era poco amichevole riguardo questo nuovo mondo che ha lineamenti orientali ed esotici – anche se non è orientale dal punto di vista geografico, giacché in realtà il nome arabo del Marocco è Maghreb ovvero occidente – gli impedisce di accostarsi alla vita e alla cultura araba con serenità e obbiettività. Si può anche aggiungere che nel Marocco deamicisiano sono presenti non pochi elementi negativi che compongono una realtà diversa e povera, qualche volta nemica per la questione della religione, per la differenza delle abitudini e per la storia arabo-musulmana. La paura di essere infettato da qualche malattia contagiosa, o dai pidocchi e la costatazione della mancanza di igiene portano l’autore ad un distanziamento psicologico e ad uno atteggiamento da europeo illuminista.

foto1In fondo per De Amicis, questo viaggio costituisce un processo di auto-identificazione nella nuova Italia, giovane e appena unificata, contestualmente alla scoperta dell’alterità, identificata nel Marocco, quale Paese nazione e quale immagine antagonista della civiltà europea. Per l’autore, infatti, l’esperienza si configura come un incontro-scontro con un Paese extraeuropeo del Nord Africa e la cultura marocchina viene definita in opposizione e negazione della civiltà occidentale, laica, liberale e razionale, assai diversa da quella islamica, confessionale e oscurantista. Perfino nelle pietanze della cucina locale, De Amicis sottolinea con disgusto le differenze:

«Non saprei esprimere quello ch’io sentii nella bocca fuorché paragonandomi a un disgraziato costretto a far colazione coi vasetti d’un parrucchiere. Eran sapori di pomate, di cerette, di saponi, d’unguenti, di tinture, di cosmetici, di tutto ciò che si può immaginare di meno proprio a passare per una bocca umana» (De Amicis, 1878: 52).
orta di Tangeri, olio su tela, 1890

Porta di Tangeri, olio su tela, 1890

È interessante ricordare qui un confronto che ha proposto la storica marocchina Bahija Simou nel suo libro intitolato Le relazioni italo-marocchine 1869-1912. Vi è paragonato il viaggio compiuto e descritto dal diplomatico marocchino Driss Jaiidi nell’ambito di una ambasceria in Italia e il libro Marocco di Edmondo De Amicis. La storica osserva che ciò che scrive il diplomatico marocchino nel suo rapporto di viaggio non è inficiato da pregiudizi culturali nella descrizione della realtà italiana con un occhio da osservatore oggettivo. Driss Jaiidi non ha ritenuto di criticare alcun aspetto della vita e dei costumi italiani, anzi rimane incantato di questa nuova società occidentale. Il diplomatico marocchino non pare abbia voluto sovrapporre la sua appartenenza alla cultura islamica all’osservazione di quella italiana, volendo attenersi alla missione e rappresentare il Marocco in modo ufficiale, al contrario di De Amicis che aveva messo molto del suo e si era lasciato andare al di là della descrizione ad una valutazione soggettiva del Marocco. La storica marocchina così scrive a proposito:

«Il valore scientifico del suo libro non risiede nel suo contenuto come materia o impostazione ma in quanto risponde alle condizioni della sua composizione. Il libro Marocco racchiude un discorso politico che viene segnato dalle condizioni della sua scrittura e dalle sue circostanze. Perciò si è distinto per l’uso di uno stile caratterizzato dalla violenza nei pregiudizi, e nell’intolleranza che hanno caratterizzato tutte le scene che sono state descritte. Se ne trova conferma nel fatto che la visione di De Amicis si contrappone totalmente a quella che fece Lina Maddalena Cisotti Ferrara. Malgrado sia anche lei italiana, non si è limitata solo alla descrizione, ma ha utilizzato le foto per avvicinare il lettore a quella realtà. Ha espresso dinanzi a certi eventi una sorta di oggettività nella descrizione, ancora di più, ha manifestato, a volte, la sua ammirazione per la cultura e le tradizioni marocchine originali» (Simou, 2003: 219, trad. mia).

La verità è che l’ideologia che animava lo spirito deamicisiano era nei fatti un’ideologia colonialista. Infatti per lo scrittore italiano il Marocco non era altro che un Paese da conquistare, non diversamente da come avevano fatto le altre potenze straniere dell’imperialismo europeo, e in questo contesto il nuovo Stato italiano appena unificato politicamente si riteneva in diritto di giudicare arretrata la realtà economica, sociale e culturale del Marocco. A questo proposito la relazione diplomatica deamicisiana voleva consegnare il Marocco all’Italia in quanto Stato africano candidato ad essere colonizzato, soprattutto se valutiamo la debolezza economica e militare della monarchia marocchina e gli interessi delle due potenze rivali dell’Italia, in questo caso la Francia e la Spagna che aspettavano solo il momento giusto per occupare il Paese maghrebino che aveva in quell’epoca una posizione rilevante dal punto di vista strategico.

Dialoghi Mediterranei, n.18, marzo 2016 
Riferimenti bibliografici
Rosalia Bivona, Deux italien à Tanger: De Amicis et Moravia, in «Tanger au miroir d’elle –même Horizons Maghrebins», n°31/32- Printemps 1996-12e année.
Edmondo De Amicis, Marocco, Fratelli Treves, Milano 1878
Costanza Ferrini, L’immaginaire du Maghreb à la naissance de l’état italien trois oeuvres par trois écrivains: Edmondo De Amicis, Emilio Salgari, Mario Scalesi, des années 70 du XIXe s. aux années 20 du XXe s. in Revue d’histoire maghrebine (époque moderne et contemporaine) 30ème annee Numeros 112 Juin/June 2003 Fondation Temimi pour la Recherche Scientifique et l’Information-Zaghouan
Bahija Simou, Le relazioni italo-marocchine 1869-1912, La Commissione marocchina per la storia militare, Casablanca, 2003
Valerio Vittorini, Littérature de voyage et réalité: le cas de Marocco, de E. De Amicis, Loxias-Colloques, mis en ligne le 30 janvier 2013.
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Nassih Redouan, docente di lingua e letteratura italiane presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane di Casablanca, ha studiato presso l’Università di Bologna – Dipartimento di Italianistica. Specializzato nell’Orientalismo italiano e nella storia degli arabi nel sud dell’Italia, in special modo la Sicilia saracena, ha contribuito alla nascita del secondo Dipartimento di studi italiani a Casablanca dopo quello già esistente a Rabat, la capitale del Marocco. Svolge anche l’attività di traduttore per enti pubblici e privati. Dal 2010 ricopre il carico di capo del Dipartimento degli studi italiani presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane di Casablanca.

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2 risposte a Lo sguardo illuminista di Edmondo De Amicis sul Marocco

  1. khalid bendaoud scrive:

    Buonasera professor redouane,
    La ringrazio ho trovato l’articolo molto interessante, nonché la bibliografia, sarà un prezioso valore aggiunto per me.

    la mia sincera stima;

    khalid bendaoud.

  2. FRANCESCO TAMBURINI scrive:

    Salve Prof. Redouan, saprebbe dirmi se il lavoro da lei citato di Bahija Simou, Les Rélations italo-marocaines 1869-1912, Casablanca 2003, esiste effettivamente solo in arabo? non sono riuscito a trovarne traccia.
    Grazie

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